Lo studio del CNR per valutare le capacità nutrizionali di diverse varietà di canapa

Canapa alimentare //

“La canapa è stata largamente usata in passato, ma il crescente utilizzo dei prodotti alimentari contenenti farina di semi di canapa è un fenomeno abbastanza recente. Il seme non è mai stato studiato in modo approfondito, cosa che stiamo iniziando a fare ora visto il forte interesse per il seme ed i suoi derivati”. La dottoressa Incoronata Galasso dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria (IBBA) del CNR riassume così lo studio effettuato l’anno scorso su 20 diversi genotipi di canapa, italiane e non, al fine di verificare le capacità nutrizionali dei diversi semi.

“Abbiamo trovato una grossa variabilità per alcuni composti. In particolare per quelli che vengono chiamati composti antinutrizionali che sono spesso presenti nei semi delle piante. Nel momento in cui si affacciano sul mercato sempre più cibi con elevata capacità nutraceutica, devono essere tenuti presenti anche questi composti, che abbassano il valore nutrizionale dell’alimento, ma servono al seme per proteggersi da eventuali predatori. I genotipi italiani di canapa ne hanno meno di quelli provenienti da nazioni estere, cosa che potrebbe favorire la ricerca e la produzione di varietà di canapa autoctone e poi utilizzarle anche per migliorare altre varietà”.

Lo studio intitolato “Caratteristiche qualitative e quantitative del seme di Cannabsi Sativa L.” (qui un relativo articolo in italiano) è stato pubblicato su Frontiers in Plant Science e noi abbiamo contattato la dottoressa Galasso, che ha guidato la ricerca, per farci raccontare i risultati.

Il gruppo di ricerca IBBA-CNR, grazie ad alcuni progetti (Velica e Filagro) finanziati dalla Regione Lombardia e dal CNR sulla valutazione nutrizionale del seme, ha intrapreso questo studio già da diversi anni.

Il presupposto dello studio è stato che: “Il seme della canapa (Cannabis sativa L.) contenente proteine di alta qualità e circa il 75% di acidi grassi polinsaturi potrebbe costituire una nuova risorsa di proteine e olio per l’alimentazione umana e degli animali”.

Poi la dottoressa spiega che: “Questa indagine ha mostrato contenuti trascurabili di tannini condensati, glicosidi cianogenici e saponine, mentre ha confermato che il contenuto in acido fitico ed inibitore di tripsina è piuttosto alto, anche se molto variabile tra i diversi genotipi. Come si può osservare dalla figura 2 (a destra) esiste un’ampia variabilità per entrambi i composti antinutrizionali tra i diversi genotipi analizzati.

Il livello di acido fitico è compreso tra 43,7 e 75,5 g kg -1 di peso secco, mentre il contenuto di inibitori di tripsina varia tra 10,8 e 27,8 unità mg -1 di peso secco. I genotipi Kc Dora, Carmaleonte, CAN40 e CAN26 presentano la quantità più bassa di entrambi i composti antinutrizionali.

In generale, ad eccezione di CAN48, tutti genotipi di origine italiana (CAN19, CAN24, CAN40, Carmagnola, CS, Fibranova, Codimono, Carmaleonte) mostrano un contenuto di acido fitico ed inibitori di tripsina inferiore rispetto alle varietà francesi (Futura, Felina e Ferimon)”.

Nelle conclusioni dello studio si legge che: “Le nostre analisi confermano che il seme di canapa è un prodotto eccellente per la preparazione di alimenti e mangimi in termini di contenuto proteico, composizione dell’olio e profilo amminoacidico, ma il contenuto di alcuni composti antinutrizionali, in particolare l’acido fitico e inibitori di tripsina, può influenzare negativamente il suo potenziale valore nutrizionale. Pertanto, un miglioramento genetico per questi caratteri sarebbe auspicabile.
Sebbene le nostre analisi hanno esplorato solo una piccola collezione di diversi genotipi di canapa, i risultati ottenuti mettono in evidenza che esiste una buona variabilità per tutti i componenti del seme e che questa variabilità potrebbe essere utilizzata per migliorare la qualità del seme.
Infine, le conoscenze acquisite sulla struttura primaria di tutte le proteine di riserva del seme potranno essere utilizzate, in un immediato futuro, per velocizzare il ritrovamento di nuovi peptidi bioattivi anche in silico mediante l’uso di diversi programmi informatici”.

Mario Catania

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