Le recenti notizie a riguardo all’inquinamento della terra dei fuochi, nate dai verbali desecretati del pentito Carmine Schiavone, gettano una nuove luce sulla tragica situazione campana. O perlomeno hanno dato l’ufficialità ad una situazione conosciuta da anni ma non compresa nella sua gravità. Fatto sta che nel discutere dei rimedi possibili, si è parlato delle possibilità della canapa nel combattere l’inquinamento.
La canapa è una pianta che può aiutare l’ambiente in mille modi, sia durante la coltivazione, sia durante il suo successivo utilizzo. Come ricorda Michele Castaldo, membro del consiglio direttivo di Assocanapa e referente per le Regioni Campania e Calabria, “gli effetti immediati della filiera sono molteplici. Tra questi spiccano la riduzione dell’uso di pesticidi, fitofarmaci e diserbanti; la riduzione del consumo idrico in agricoltura; bonifica dei siti in cui è sconsigliato coltivare prodotti per l’alimentazione umana o animale; riqualificazione dei terreni sani e tutela dei prodotti; tutela della salute; ristorazione delle aziende agricole coinvolgendole nella filiera; favorire la ricerca di enti e istituti di ricerca; oltre che la produzione di materia prima per prodotti necessari alla riqualificazione energetica degli edifici. Tutti prodotti che non presenteranno mai problemi di riciclo”.
“Si attiva quindi – continua Castaldo – un processo di fitobonifica, miglioramento della fertilità dei suoli, azione di contrasto alla deforestazione e desertificazione, riqualificazione energetica delle abitazioni e un’importante azione di cattura e sequestro di anidride carbonica. Quest’ultima azione avviene tramite varie fasi. In fase di crescita cattura CO2, utilizzata in edilizia sequestra CO2 e utilizzata nella riqualificazione energetica degli edifici riduce le emissioni di CO2” . Gli edifici infatti hanno un ruolo centrale nel raggiungimento dei target sul taglio delle emissioni che l’Unione europea si è data al 2020. Essi, infatti, rappresentano circa il 40% dell’energia primaria che viene consumata.
Ultimamente si parla spesso delle potenzialità della canapa nel processo di fitorimediazione o fitorisanamento (phytoremediation). In generale si tratta di un processo per il quale, tramite l’azione di assorbimento dell’apparato radicale della pianta, vengono estratti dal terreni componenti organici o inquinanti come i metalli pesanti. Si può applicare anche alle acque e all’aria, non solo per quello che riguarda l’anidride carbonica ma anche ossido di azoto, ozono e gli inquinanti che costituiscono il cosiddetto indoor pollution. Dopo essere stati assorbite, le sostanze vengono o metabolizzate e trasformate in qualcos’altro (fitometabolizzazione) o stoccate (fitodeposito) o recuperate (fitoestrazione) come si può fare con piombo zinco e ferro.
Riguardo la canapa nella fitorimediazione, come segnalato da Katja Zaccheo su Lavocedimanduria.it, “esistono già autorevoli studi e alcuni significativi precedenti di applicazione pratica. Dal 1993 nella zona interessata dagli effetti devastanti di Chernobyl, dal 1994 in Polonia per il risanamento dei terreni inquinati dai metalli pesanti residuati dal ciclo produttivo della metallurgia e in Italia la sua coltivazione inizia a farsi spazio nei terreni inquinati della Campania, in quelli di Porto Marghera nel Veneto e in Puglia”.
Grazie all’azione di CanaPuglia il progetto di bonifica è da due anni in corso a Taranto, nei terreni della nota masseria del Carmine, simbolo del dramma della comunità tarantina dove furono abbattuti centinaia di capi di bestiame in seguito alla contaminazione da diossina contenuta anche nelle carni oltre che nel latte. All’interno del progetto C.A.N.A.P.A. (Coltiviamo Azioni per Nutrire, Abitare, Pulire l’Aria), come spiegato da Marcello Colao, membro del team CanaPuglia, nonché ingegnere ambientale socio dell’Abap (Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi), è prevista la creazione di una green belt (cintura verde) di canapa che circondi l’imponente polo industriale ionico.
Altra iniziativa quella del Coordinatore Regionale Francesco Della Corte, d’intesa con il Presidente Nazionale Vincenzo Pepe e i coordinatori provinciali, ha inviato una nota all’Assessore Regionale all’Agricoltura Daniela Nugnes, per sottoporgli delle proposte operative, come il procedere alle coltivazioni no food come la pawlonia e la canapa.
In tutto questo l’associazione Lucanapa ha deciso di finanziare un progetto in questo senso per rendere partecipe la comunità circa lo stato dei terreni nei pressi delle attività petrolifere e contemporaneamente dare un’opportunità di rinascita all’agricoltura con colture no food (fibra, biomassa ecc) migliorando l’ambiente grazie alle proprietà fitoestrattive della Cannabis Sativa. L’obiettivo dell’associazione è di raggiungere 10mila euro per finanziare una borsa di studio all’Unibas e coprire i costi della ricerca attraverso la campagna “Adotta un canapone”.
Redazione di Canapaindusriale.it