Qual’è lo stato attuale della coltivazione di canapa in Italia e dell’industria per la sua lavorazione? Abbiamo parlato di questo ed altro con Rosario Scotto, presidente di Sativa Molise, un’associazione che riunisce aziende agricole e alimentari insieme a tecnici e imprenditori decisi a sperimentare la produttività della canapa nel territorio molisano.
Sativa Molise è una nuova realtà nel mondo della canapa industriale italiana. Chi siete e quali sono i vostri obiettivi?
Sativa Molise è stata fondata da quattro giovani che credono nella nuova generazione della canapa in Italia. Io sono il presidente, Davide Petrollino è biotecnologo e vicepresidente, Marzio Ilario Fiore è imprenditore agricolo e tesoriere, e Tarquinio Di Felice è un esperto in farine. È un’associazione senza scopo di lucro che rappresenta alcune aziende agricole decise a introdurre canapa nelle loro coltivazioni. Queste imprese rendono oggi disponibili 2mila ettari in Molise e alcune centinaia di ettari in Abruzzo per realizzare una filiera molisana della canapa, dal seme al prodotto finito a chilometro zero.
Come avete cominciato e quali ostacoli si sono presentati?
Abbiamo seminato 22 ettari per iniziare le sperimentazioni con semi di provenienza nordeuropea. In Molise la canapa è scomparsa da molti anni e quindi non erano disponibili dati utili per capire le migliori modalità di coltivazione. Le varietà rese disponibili in Italia non presentano informazioni facilmente applicabili alla realtà territoriale molisana: abbiamo infatti alcuni appezzamenti a quota mare, ma la maggior parte si trova a circa 700 metri di altitudine. Stiamo puntando maggiormente sull’alimentare rispetto alla fibra perché i costi di trasporto ad Avetrana, il più vicino impianto di trasformazione del canapulo, sono troppo elevati. Durante la sperimentazione sul campo abbiamo collaborato e coinvolto nell’associazione aziende alimentari come oleifici, forni e pastai. Per cominciare la costruzione della filiera abbiamo effettuato i primi test su macchine di lavorazione che ci porteranno fra breve a costruire i nostri primi impianti.
Qual è lo scenario agricolo molisano in cui la canapa potrebbe insediarsi?
La canapa potrebbe contribuire alla rinascita dell’agricoltura molisana e al ripopolamento del suo territorio, in particolare in un alto Molise che sta subendo lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione. Abbiamo oltre 200mila ettari abbandonati a causa della crisi nella zootecnia e altri 200mila che necessitano di una nuova coltura da rotazione. Grano, girasole, barbabietola e fieno, ad esempio, non offrono più ritorni apprezzabili, mentre la canapa potrebbe essere perfetta per la rotazione se venisse creata una filiera. Potremmo quindi guadagnare un contributo alla rinascita e alla tutela del territorio insieme a nuovi prodotti alimentari locali di alto valore nutrizionale.
Cosa succede nelle altre regioni?
In Puglia come in altre regioni ci sono belle realtà con le quali speriamo di collaborare per un’integrazione della filiera a livello nazionale oltre che regionale. Le difficoltà sono molte visto che dagli anni ’40 ad oggi l’Italia è passata dalla posizione di leader mondiale nella canapa a una produzione su circa 500 ettari non coordinati e non realmente produttivi. Nel 2002 con i campi di Caserta e Ferrara siamo arrivati per breve tempo a oltre 1000 ettari seminati, con finanziamenti europei e privati che hanno permesso di costruire gli impianti per fibra e filati. Oggi però la produzione si è fermata e i problemi riguardano la rete di imprese, le logiche di finanziamento e le leggi che regolano il settore. Se crediamo in questa coltivazione dobbiamo contarci, misurare gli ettari e capire quali sono le aziende che possono e vogliono davvero investire, sperando che il legislatore fornisca presto normative più chiare e complete.
Come potrebbe migliorare la legge sulla canapa industriale italiana?
Anche se il problema principale è il coordinamento fra operatori della filiera, è vero che manca il supporto di leggi specifiche, ad esempio per la spremitura dei semi e per l’integrazione nelle accoppiate di rotazione delle colture. C’è poi il problema del contenuto di THC per i prodotti alimentari: questo dovrebbe essere portato dallo zero attuale allo 0,2%. Il prodotto resterebbe comunque non psicoattivo ma i processi di coltivazione e lavorazione risulterebbero semplificati. La situazione legislativa attuale sta anche ostacolando lo studio genetico e la ricostituzione di varietà locali stabili.
Cosa possono fare le associazioni per aiutare la rinascita della canapa italiana?
Dobbiamo passare da una situazione direi hobbistica ad una professionale, trovando e offrendo agli agricoltori le risorse e le competenze tecniche che finora le associazioni non sono state in grado di rendere disponibili. In questi anni molti hanno acquistato semi e poi lasciato le paglie sul campo per mancanza di filiera locale e in ogni caso non è possibile puntare solo sulla fibra. In Italia, la coltivazione di 300mila ettari è un obiettivo realistico se prima si fonda un organizzazione sovraregionale in grado di convogliare le risorse per il supporto alla filiera e di prevenire qualsiasi monopolio. Ci serve un progetto in grado di coinvolgere tutti per 15 o 20 anni di lavoro a ritmi serrati e il prossimo ciclo naturale di questa coltura va affidato ai giovani. Fra loro credo che Claudio Natile (presidente CanaPuglia, ndr) abbia dimostrato sul campo di avere le competenze per un ruolo da vice presidente di un vero organo di coordinamento della canapa in Italia.
Stefano Mariani