Il progresso della legalizzazione americana e la conseguente modifica della quantità di THC ammessa nei derivati della cannabis ha dato vita a una nuova generazione di prodotti contenenti cannabinoidi. Questi diverranno una delle scelte di consumo a casa, al bar o al ristorante. Uno stesso prodotto alimentare può essere consumato a scopi ricreativi, nutraceutici o terapeutici e in ogni caso deve indurre effetti esattamente prevedibili nella maggioranza delle persone adulte. Il controllo sulle quantità assunte e la limitazione degli effetti indesiderati sono più complesse quando dall’assunzione per via inalatoria si passa agli “edible”, i prodotti alimentari. La responsabilità riguarda sia l’industria farmaceutica, sia il nascente settore nutrizionale, ricreativo e parafarmaceutico.
Le potenzialità industriali della cannabis terapeutica e ricreativa sono maggiori rispetto a quelle di Internet nei primi anni 2000. Due miliardi di persone utilizzano oggi internet tutti i giorni, mentre quasi tutti i 7 miliardi di persone assumono sostanze lievemente o moderatamente psicoattive. Nel mondo occidentale è difficile pensare a una relazione romantica che non sia favorita da un uso responsabile di alcool, come non si trovano aziende la cui produttività non sia garantita anche da consistenti quantità di caffeina. Nei prossimi anni, lo sviluppo delle tecniche di estrazione sarà uno dei più importanti fattori di innovazione per l’industria della cannabis, con molte risorse impegnate nello sviluppo di nuovi prodotti. E la competizione si giocherà soprattutto su diversificazione degli effetti e certificazione del contenuto di cannabinoidi.
I laboratori di analisi cromatografica sono oggi in grado di garantire con precisione il profilo di cannabinoidi e terpeni per ciascun lotto di infiorescenze o derivati. Oltre alla certificazione di laboratorio assume oggi importanza sempre maggiore l’etichettatura di bibite, cioccolato, biscotti e qualsiasi altro prodotto contenga cannabinoidi. A tutela di consumatori, pazienti, minori e golosi. La confezione dei prodotti contenenti THC risulta oggi importantissima per la vendita emozionale sugli scaffali, ma anche per impedire l’accesso ai prodotti da parte di bambini o neonati e per la prevenzione dei sovradosaggi. La Cannabadge ha inventato etichette commestibili (nella foto) applicabili direttamente sul prodotto alimentare e decorabili con qualsiasi immagine o testo. Rispetto all’etichettatura sul pacchetto, l’etichetta commestibile ha il vantaggio di avvertire gli adulti sul contenuto in modo più diretto, persistente e sicuro rispetto al riquadro posto sulla confezione di torte, pasticcini e biscotti. Questo accorgimento tutela il consumatore, ma anche l’azienda produttrice, che ha così meno probabilità di essere citata in giudizio in caso sovradosaggi accidentali. Gli ingredienti dell’etichetta commestibile sono tutti naturali, ma aggiungono ulteriori zuccheri al già devastante contenuto zuccherino dei dolcetti alla cannabis.
Diverso è il caso degli alimentari a base di derivati dei semi di cannabis: oli e farine per preparare e condire infiniti alimenti tradizionali e di nuova concezione, privi di THC e di effetti psicoattivi. I derivati dei semi di cannabis non contengono cannabinoidi e quindi non esercitano specifiche azioni terapeutiche, ma la presenza di acidi grassi come Omega 3 e Omega 6, oltre a proteine nobili e numerosi microelementi, li rendono parte integrante di qualsiasi dieta orientata alla salute. La canapa industriale certificata da seme può però contenere lo 0,2 percento di THC. Questa percentuale, se presente nei derivati alimentari, non provoca alcun effetto tossico o psicoattivo e quindi, in attesa di una modifica alla surreale normativa che impone contro ogni evidenza scientifica un contenuto di THC pari a zero, l’industria della canapa alimentare italiana non riesce a esprimere le sue grandi potenzialità economiche e i benefici per una più vasta platea di consumatori.
Stefano Mariani