Pubblichiamo qui di seguito il comunicato stampa di Barbara Giuliani di Fapi Marche, che, insieme a Sativa Molise e al Consorzio Agrario di Gubbio e all’associazione Canapa Tuscia ha partecipato alle audizioni presso la Camera dei Deputati per la nuova legge che disciplinerà la canapa industriale italiana.
Massimo Guido Conte e Valerio Zucchini, in rappresentanza di Fapi, assieme agli amici di Sativa Molise col validissimo contributo dei rappresentati del Consorzio Agrario di Gubbio, hanno detto – ci pare abbastanza chiaramente – che la coltivazione della Canapa è – essenzialmente – un fatto agricolo e che occorre favorire la possibilità di lavorare senza inutili vincoli, per di più fortemente discriminanti. Nella mattinata, Conte e Zucchini, hanno presentato alla segreteria del Mipaaf le ragioni delle loro posizioni e crediamo di poter affermare che quell’impianto legislativo, così com’era stato concepito, non dovrebbe approdare da nessuna parte.
Fapi, oltre ad illustrare i motivi di perplessità e contrarietà all’impostazione dei diversi progetti di legge ha anche affermato di essere disponibile a collaborare per la definizione di un disegno normativo, davvero, a favore dello sviluppo della coltivazione e lavorazione della Canapa in Italia. Complimenti a Rosario Scotto per l’accorata esposizione dei problemi degli agricoltori ed agli amici umbri i quali hanno dimostrata in nuce la fattibiltà di quei progetti che anche noi, assieme agli amici de I Gre delle Marche abbiamo cercato di concretizzare ma con minore fortuna.
Sicuramente il loro esempio e, speriamo la loro collaborazione, ci aiuterà nella prosecuzione del progetto. Dall’audizione è emerso con chiarezza, ed in modo unanime, che la legislazione sulla Canapa dovrebbe essere ispirata al principio secondo cui tutto debba essere possibile tranne ciò che è vietato e non il contrario, ovvero che tutto sia vietato tranne ciò che è espressamente consentito e conseguentemente normato e che la cosiddetta filiera del tessile, in Italia, non può essere riesumata per legge e che le possibilità di sviluppo della filiera si trovano altrove: alimentare, nutraceutico, chimico, edilizio…
Di seguito il testo completo della relazione lasciata agli atti della Commissione
L’agricoltura italiana è perfettamente in sintonia col resto del Paese: soffre. Vi sarebbe molto da fare ed in fretta. La questione, però, è che tutto ciò che si dovrebbe fare sarebbe, in qualche modo, rivoluzionario e questo, si sa, non è affatto facile in Italia. Innanzitutto occorrerebbe accorciare la filiera. Un proponimento da tutti evocato ma difficilmente realizzabile.
Non vivendo in un regime di socialismo reale, la filiera non si può accorciare con un Decreto Legge. Occorre realizzarla attraverso la costituzione di reti di imprese, consorzi, cooperative e qualsiasi altro strumento utile a rendere tutti gli attori, protagonisti dell’intero film e non semplici comparse.
Spesso, però, chi propone l’attuazione di nuovi scenari si trova di fronte un muro di gomma alzato da chi, preferisce l’assetto attuale non comprendendo – forse – che è proprio il perpetuarsi di queste dinamiche a rendere l’agricoltore del tutto simile ad una bestia da soma al quale garantire – si fa per dire – esclusivamente in necessario alla sopravvivenza. Sospinti, forse, dal rinnovamento generazionale avvenuto in altri campi, anche in agricoltura molti giovani stanno cercando di re-interpretare le condizioni di gestione dell’ambito agricolo.
Ed è principalmente ad essi che Fapi rivolge la sua azione di assistenza, nel tentativo, anche di superare le divisioni talvolta campanilistiche, talvolta dettate dall’orgoglio personale di chi ritiene possa esservi un diritto di primogenitura della riscoperta della coltivazione della Canapa.
Alcuni tentativi si vedono all’orizzonte e molti di questi riguardano la coltivazione della Canapa che, in effetti, rappresenterebbe una formidabile occasione di sviluppo in grado di riequilibrare significativamente la bilancia dei pagamenti relativi alle esportazioni, oltre ad eliminare qualche tonnellata di pesticidi dai terreni e fornire impulso ad un indotto che è tutto da costruire e che potrebbe attingere anche ad assetts dismessi operando una proficua operazione di recupero.
A proposito dell’indotto, ad esser onesti, più che da costruire, sarebbe ancora da progettare e per farlo occorrerà sgomberare il campo dalle troppe approssimazioni dei tanti Guru della Canapa che si potrebbero rivelare più dannosi dei detrattori; soprattutto, servirebbe una visione marketing oriented al posto di quella, tutta product oriented di coloro che vorrebbero adattare la pianta della Cannabis Sativa agli impianti industriali, senza comprendere che il mercato non compra ciò che gli proponi per fare un favore al produttore ma è questi che deve capire cosa serva al mercato e proporlo con un rapporto qualità/prezzo conveniente.
In assenza di valutazioni corrette, le inevitabili delusioni degli agricoltore potrebbero ri-seppellire la coltivazione della Sativa per altri sessant’anni o, addirittura, definitivamente. La coltivazione della Canapa sarebbe in grado di rivitalizzare, oltre al comparto agricolo, almeno una mezza dozzina di altri ambiti in cui troverebbe applicazione la mitica piantina che tanto divide e fa discutere. Dall’edilizia all’agroalimentare, dall’automotive al tessile, passando per l’industria nutraceutica, cosmetica e farmaceutica.
Qualcuno parla di boom della coltivazione della Canapa e cita dati che, relativamente presi, sarebbero anche significativi (+150%) ma che tradotti in valori assoluti lasciano a dir poco perplessi. Il totale è meno di un decimo dei cugini d’Oltralpe e la media Ettari/Aziende produce un ben misero risultato: meno di tre Ettari per azienda.
L’eccessiva frammentazione si estende su tutto il territorio nazionale rendendo impossibile qualsiasi speranza di poter far sorgere centri completi per la lavorazione e trasformazione del prodotto finito appetibile sui mercati e soprattutto per quanto riguarda la fibra e i canapuli derivanti dalla lavorazione del fusto della pianta. Parliamo, ovviamente, di impianti con qualche speranza di sopravvivenza autonoma in grado di andare oltre il ciclo di vita garantito da sovvenzioni e sussidi.
Certo che se, invece, ci riferissimo a stabilimenti pagati dal pubblico (statale o europeo non cambia) che dopo due anni vengono chiusi, allora la musica cambia ma non è certo una melodia che ci possa piacere. Di cattedrali nel deserto lasciate marcire per tutta l’Italia, il Gabibbo ci ha fornito amplissima documentazione; senza contare, poi, che in questo caso sarebbero al più delle Parrocchiette nel deserto.
La Canapa potrebbe rispondere ad alcune esigenze del comparto agricolo ma a condizione che – realisticamente ed onestamente – si affronti la questione per quella che è, senza malcelati tentativi di arricchimento dovuti non alla lavorazione del prodotto ma alla mera realizzazione degli stabilimenti nei quali dovrebbe, forse un giorno, avvenire.
Da ciò consegue che, nell’attesa che il Parlamento vari Leggi – o adegui quelle esistenti – che consentano la coltivazione della Canapa in forma industriale, per un settore (il tessile) praticamente inesistente, si possa puntare sull’impiego dei semi, almeno, per scopi alimentari e cosmetici. Gli impianti per il trattamento dei semi, infatti, hanno già una discreta diffusione sul territorio nazionale e sono alla portata degli imprenditori.
Secondo il parere di tecnici sicuramente qualificati e dati alla mano, è vera insensatezza proporre di investire considerevoli scorte di danaro da destinare alla produzione, o ammodernamento, di impianti per la separazione della fibra dal canapulo. Fapi mette in guardia gli organi competenti dall’imbarcarsi in avventure che, domani, sicuramente porterebbero all’ennesimo fallimento con sperpero di ingenti somme di danaro.
Dobbiamo lavorare tutti per costruire un trampolino di lancio ed evitare, invece, di scavare la fossa alla Canapa la quale dopo sessant’anni di ostracismo interessato da parte dei produttori di fibre sintetiche, non merita certo la pessima nomea che potrebbe scaturire da avventuristiche esperienze dettate, quando va bene, dalla volontà auto-celebrativa di coloro i quali, innamorati della Canapa, fingono di non vederne gli aspetti difficoltosi della sua coltivazione.
Certo che si può andare sulla Luna ma non leggendo i romanzi di Jules Verne. Qualificatissime agenzie, una tra tutte la Coldiretti recentemente a Cernobbio, diffondono dati che, qualora fossero veri, certo non supporterebbero le conclusioni a cui, a forza, si vuole giungere.
Dati, tra l’altro, assolutamente privi di quei ragionamenti di natura tecnico-scientifica necessaria per passare dal sogno alla realtà. Dati sciorinati a supporto di tesi che necessiterebbero di analisi serie e qualificate. Non si contestano i numeri ma il fatto che essi rappresentino un boom.
Come associazione di categoria, come soggetto attento all’ambiente ma, prima ancora, come contribuenti di quel danaro che si chiede venga speso, lanciamo un allarme con valore di diffida: attenti a non sprecare gli ultimi spiccioli e soprattutto gli ultimi scampoli di tempo e fiducia degli agricoltori.
Moralmente non è mai stato accettabile lo spreco di danari pubblici ma oggi non ce lo possiamo nemmeno più permettere.
E non dite che non ve l’avevamo detto.