In un momento di rinascita della canapa industriale abbiamo parlato con Alessandro Palumbo, presidente della cooperativa Hemp Farm Italia fondata in Abruzzo a Tortoreto. Parlando della cooperativa e della sua storia, Alessandro ci ha raccontato come la coltivazione della canapa e dei grani autoctoni stia diventando un modello efficiente di agricoltura sostenibile. Con la speranza di una filiera della canapa tutta italiana.
Come hai cominciato a coltivare canapa industriale?
Dopo molti anni di studio e scambi di esperienze sulla canapa, questa pianta era diventata per me il simbolo del “pubblico contro il privato”, della libertà di essere autosostenibili contro la forzatura di dover pagare per una risorsa che appartiene alla collettività. Ho quindi deciso di unire passione e lavoro partecipando nel 2013 a un bando di finanziamenti per l’imprenditoria giovanile. Ho presentato un progetto per l’acquisto di una spremitrice, una decorticatrice, piccole confezionatrici e un modulo fotovoltaico off-grid. Volevo chiudere la filiera con un modello auto-sostenibile di produzione, trasformazione e commercio senza intermediari. Un modello di questo tipo può garantire al consumatore la qualità del piccolo centro di produzione, il basso prezzo del Km 0.
Come andò il finanziamento?
Preferirono attività come bar e steakhouse, ma io avevo già avviato un’azienda agricola e cominciato la semina di Futura 75 su due ettari in tre campi seminati in diversi mesi per limitare l’altezza e ridurre i problemi di trebbiatura. L’ultimo campo è stato seminato a giugno, quando ho avuto la fortuna di incontrare Daniele Di Martino. Con lui siamo arrivati alla mietitura di settembre senza mai dare acqua, diserbanti, pesticidi o concimi, e abbiamo quindi cercato un impianto di spremitura. Questo è stato un lavoro complesso perché volevamo mantenere nel prodotto alimentare tutte le qualità originarie del seme di canapa.
Che tipo di molini cercavate?
Nelle Marche l’oleificio Cartechini lavorava anche semi di canapa, ma i loro impianti erano troppo grandi per un test con 100 chilogrammi di seme. Inoltre volevamo una macinatura a pietra a bassi giri. In questo modo avremmo evitato spremiture grossolane e avremmo estratto maggiore quantità di olio. Le macchine industriali lavorano i semi a 150 chilogrammi all’ora e producono farina grossolana, mentre i sistemi che cerchiamo noi hanno una velocità di 30 chilogrammi all’ora e naturalmente ottengono una qualità di olio migliore.
Come pensate di muovervi e trasformare in futuro?
Dopo l’esperienza compiuta volevamo aumentare la produzione di canapa. Però non avrebbe avuto senso trasformare presso terzi, con il costo di spremitura e macinazione. Avremmo quindi comprato i macchinari. Arrivammo alla conclusione che il modo migliore per avviare questo modello di sviluppo della canapa italiana, era unirci, mettere del capitale e strutturarci come cooperativa agricola. Così, il 17 Marzo 2015, è nata l’Hemp Farm Italia. Quest’inverno, abbiamo coinvolto anche una azienda agraria del Teramano, Gioie di Fattoria di Giulio Amadio Fiore, punto di riferimento nazionale per quanto riguarda i cereali antichi e sostenitore da sempre del vero biologico ed OGM-free. Giulio, oltre all’enorme esperienza in ambito agricolo, aveva ciò che a noi serviva e che avevamo già in mente di valorizzare: i cereali antichi. Saragolla, Farro, Senatore Cappelli, Solina e altri, poco produttivi, ma di grande valore nutrizionale e culturale. Poi siamo andati ad Ascoli, all’Antico Molino Santa Chiara, dove, grazie a esperienza e molino a pietra, la nostra farina assunse un aspetto “alla tedesca”, che era il nostro standard qualitativo da raggiungere. In molti casi la percentuale di olio è superiore al 10% e alcuni distributori italiani di farine devono poi rimacinare la farina di canapa per ottenere una migliore granularità. La molitura a pietra ci permette invece di ottenere una percentuale di olio inferiore al 10% e la lavorazione all’interno dei nostri impianti ci permette di mantenere prezzi più bassi rispetto a quel tipo di prodotti.
Come avete analizzato il vostro olio?
Lo facemmo subito analizzare nella sua componente acidica dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo. Così, avendo preparato la metà della nostra produzione come campioncini assaggio, andando a proporlo sul territorio sapevamo bene di cosa stavamo parlando. Poi abbiamo avuto il piacere di stilare due convenzioni con le Università di zona. La prima con la facoltà di Bio-Scienze di Teramo, dove possiamo eseguire molte nostre analisi quest’anno e in cui abbiamo seguito e supportato un adesso tecnico alimentare, Alessandro Placa, che ha ulteriormente analizzato il nostro ed altri oli, durante la ricerca per la tesi sulla caratterizzazione dell’olio di canapa ottenuto tramite spremitura meccanica, in cui ha evidenziato, ci ha fornito e confermato le basi di partenza per il miglioramento della shelf-life e della commestibilità del prodotto. La seconda con l’Università di Camerino, sede di San Benedetto del Tronto, dove ho fatto da tutor aziendale a Michela Barboni, adesso biologa nutrizionista, con una tesi sulla farina di canapa nella quale ha constatato le eccezionali proprietà nutraceutiche del seme di canapa evidenziato come la canapa sia una vera e propria risorsa vegetale, paragonabile a nessun altra e che con un’adeguata introduzione nella dieta abituale dia enormi benefici al nostro organismo.
Quali problemi vedi nella canapa italiana?
Mi è capitato di affrontare questa domanda qualche mese fa, ad un incontro con Felice Giraudo e Margherita Baravalle di Assocanapa. Stringo il discorso in tre punti.
1. Per massimizzare l’economicità della cosa, per gli agricoltori è necessaria almeno una doppia destinazione della pianta: sia del fusto che del contenuto delle infiorescenze/semi. A questo si potrebbe sopperire con dei laboratori di prima trasformazione del seme, anche piccoli ma coordinati insieme che lavorino facendo seguire e seguendo una buona prassi di coltivazione e raccolta.
2. Per competere con il mercato estero, per quanto riguarda il fusto, dobbiamo allestire un centro di prima trasformazione con la tecnologia giusta. Un impianto mobile data la conformità collinare della maggior parte del nostro territorio o di uno con tecnologia tipo quella usata dai francesi che però necessita di investimenti maggiori, e inoltre abbassare i prezzi dei prodotti. Inclusi i prezzi di ritiro agli agricoltori che però potendo contare sulla duplice destinazione, guadagnerebbero di più rispetto ad ora. Non è possibile che i francesi vendano canapulo qualitativamente migliore a 0,33cents/kg., mentre Assocanapa vende canapulo a 0,59cents/kg. Senza mercato non c’è profitto, e se non c’è profitto con gli attuali impianti di trasformazione che abbiamo in Italia (e si sta parlando di un prossimo impianto nel Centro-Italia logisticamente necessario), stiamo buttando solo soldi. Per quanto riguarda il seme ed i suoi derivati invece, abbiamo già tutte le carte in regola per battere i maggiori concorrenti alimentari, come i canadesi ad esempio. Noi abbiamo una cosa che gli altri non possono avere e che ci ha reso famosi in tutto il mondo nel ‘900 per le genetiche giganti naturalmente selezionale nel corso del tempo sul territorio: il nostro micro-clima ideale che permette inoltre una maggiore concentrazioni di tutti gli elementi nutrizionali nel seme e dei principi attivi nei fiori. Per quanto riguardo la qualità dei nostri prodotti alimentari quindi, non c’è storia.
3. Per massimizzare la produzione abbiamo bisogno di genetiche autoctone. E’ impensabile che da circa vent’anni, l’associazione e poi srl, che si è preposta per il coordinamento nazionale della canapicoltura propone a tutto il Paese, nel 90% dei casi, genetiche francesi, selezionate e replicate sui loro terreni, nel loro micro-clima: in Francia con la Futura-75 ad esempio hanno una media di produzione, oltre alle paglie, di 1000 chilogrammi per ettaro di seme. Noi, con la stessa genetica, produciamo una media di circa 500 chilogrammi per ettaro di seme, salvo casi eccezionali. Il processo per creare una nuova genetica non è affatto complicato: o si acquisiscono dal CRA delle genetiche già stabilizzate da loro, si replicano e si rendono disponibili, oppure, in collaborazione con un istituto di ricerca, si prendono due genetiche esistenti, si ibridano, si selezionano, si stabilizzano e si replicano. Questo percorso dura circa 4-5 anni ma sicuramente al termine ci sarà una genetica molto meglio stabilizzata per il nostro micro-clima e quindi sicuramente più produttiva. In merito a quest’ultimo pensiero, abbiamo avviato quest’anno della raccolta dati con il CRA di Monsampolo (AP) per iniziare appena esce il prossimo bando utile del PSR, la procedura di selezionare, stabilizzazione e replica di nuove genetiche buone per la raccolta del seme e molto più produttive, dovendo crescere vari anni nel nostro micro-clima quindi molto meglio adattate.
In che modo Hemp Farm Tortoreto vuole proporre canapa al mercato agroalimentare?
Proporremo solo canapa italiana. Molte aziende che si sono affacciate al settore non hanno produzione per giustificare i prodotti in commercio o l’hanno in minima parte ma poi ordinano dove la canapa te la tirano dietro e non hanno problemi per processi di produzione, come in Canada. Così si seguono solo le logiche del business, del capitalismo ad ogni costo, senza essere utili a nessun tipo di sviluppo. Infatti, leggendo dietro alle etichette la provenienza della materia prima, nel 90% dei casi la provenienza è estera. La maggior parte delle volte poi, addirittura riportante la dicitura “agricoltura non UE”. Per noi la canapa è da usare come legante e attrattiva per un modo agroalimentare realmente italiano.
Quali sono le dimensioni dei vostri campi oggi e quali varietà coltivate?
Quest’anno coltiviamo 45 ettari, con 25 ettari destinati al conferimento verso terzisti e gli altri utilizzati direttamente dalla nostra cooperativa. Abbiamo seminato Uso 31 e Futura 75 comprati direttamente da Helmut Frank, un replicatore della varietà Uso e distributore della Futura. Ci siamo consociati per un acquisto insieme ad altri agricoltori e così abbiamo ottenuto un prezzo migliore. Per l’anno prossimo i contadini della nostra zona hanno reso disponibili altri 25 ettari.
Come garantite i consumatori?
A noi non interessa scrivere sigle come Bio o IGP sui nostri prodotti, ma inseriremo un QR Code sui nostri lotti di produzione che rimanda a un sito web con tutte le informazioni sulle aziende produttrici. In questo modo garantiamo la tracciabilità della produzione e la canapa diventerà anche il testimone di nuove coltivazioni autoctone e prodotti alimentari di alta qualità a filiera corta.
Mario Catania e Stefano Mariani