Coltivare la canapa in maniera condivisa in modo da affrontare in gruppo le sfide del settore, dividere le competenze e portare a compimento un progetto di coltivazione nel bellunese. E’ il progetto di Manuela Pierobon (nella foto), giovane di Ponte nelle Alpi che, dopo la laurea in Scienze e tecnologie per l’ambiente ed il territorio, ha deciso di approfondire le potenzialità della pianta di canapa ed ideare un progetto condiviso con vari comuni per mettere le basi concrete per la creazione di una moderna filiera della canapa che possa portare lavoro, oltre ai benefici che questo vegetale può offrire dal punto di vista ambientale e produttivo.
“Dopo la laurea – racconta Manuela a canapaindustriale.it – ho avuto modo di leggere diversi documenti e ascoltare testimonianze dirette che parlavano della canapa come di una straordinaria risorsa rinnovabile che per vari motivi è stata messa da parte per lasciare spazio a sistemi di vita più consumistici che sono quelli che hanno poi portato i problemi che oggi stiamo vivendo tutti”.
E quindi cosa ha pensato di fare?
Essendo molto sensibile alle tematiche ambientali mi aveva colpito come questa pianta si possa inserire nei tessuti produttivi con un impatto positivo per l’ambiente partendo dalla bioplastica di canapa completamente biodegradabile per arrivare alla carta di ottima qualità che si potrebbe produrre a partire dalla canapa e senza usare sbiancanti chimici: è davvero un’opportunità per l’industria e per l’agricoltura. Un paese qui vicino si chiama Canevoi, un termine che risale al 1400 e che deriva dalla parola canapa, il che fa capire come fosse una coltura tradizionalmente praticata e radicata in queste zone. Inoltre mia zia, Maria Vignante, tempo fa aveva organizzato una mostra, la prima in queste zone, con tutti gli attrezzi da lavorazione tradizionale e manufatti portati dalle persone del posto ed è stato un evento partecipato nel quale si è parlato di canapa a livello storico. Ed è così che ho pensato di far partire il mio progetto tornando a coltivare canapa.
E’ partita dunque con una coltivazione sperimentale?
Sì, ho iniziato con un campo di 420 metri quadrati anche perché sapevamo di andare incontro ad una raccolta manuale ed è stata un’esperienza di informazione e divulgazione con incontri in diversi comuni dislocati in tutta la provincia come Ponte nelle Alpi, Alpago, Feltrino, Sinistra Piave e Cadore. Eventi duranti i quali ho constatato come l’interesse per questa coltivazione continuava a crescere, grazie anche alle richieste di giovani agricoltori. C’erano però due problemi, il primo, comune a tutti gli agricoltori, che è rappresentato dalla mancanza di macchine specifiche per la raccolta e il secondo è che essendo in montagna le persone hanno di solito dei piccoli appezzamenti di terra, per i quali un sacco standard da 25 chilogrammi di seme che serve per seminare circa 5mila metri quadri di terreno, era troppo.
E quale è stata la soluzione?
Mi sono impegnata per stabilire una procedura di condivisione delle sementi che potesse tutelare l’agricoltore evitando fastidi burocratici. L’idea è che un coltivatore avrebbe comprato il sacchetto da 25 chili, poi avrebbe fatto la fotocopia del cartellino che certifica la varietà dando una parte dei semi, insieme ad una ricevuta, all’altro agricoltore interessato, per poi fare una comunicazione alle forze dell’ordine che fosse condivisa tra tutti gli agricoltori in modo che anche le forze dell’ordine avessero un unico documento con la tracciabilità dei semi. Il problema è che la procedura doveva essere ufficializzata. Dopo vari tentativi mi hanno detto che l’unico interlocutore era il ministero delle Politiche agricole e così ho scritto direttamente al ministro. Mi hanno risposto dicendomi che si poteva fare e così siamo partiti.
In quanti siete?
Siamo 14 agricoltori che hanno diviso le semenze. E’ stata una bella esperienza anche per l’aspetto simbolico della condivisione sia dei semi, sia delle nostre conoscenze. Ci sono infatti degli agricoltori professionisti ed aziende agricole ma anche semplici amatori che volevano provare questa strada, oltre a due gruppi naturalistici, un orto botanico e un orto didattico. Siamo sparsi in tutta la provincia e anche questo è un aspetto positivo.
Ed è una cosa che vale solo per la provincia di Belluno?
Attualemente credo di sì, ma solo perché qui abbiamo richiesto i permessi. Facendo altrettanto credo sia un’esperienza replicabile in tutta Italia e infatti ho avuto modo in alcune recenti manifestazioni sul tema di divulgare e raccontare il modello che abbiamo ideato.
E’ per questo che ha creato il sito canapicultura.it?
Il sito inizialmente è nato per dare informazioni circa la produzione e la raccolta manuale di canapa, quindi in assenza di macchine agricole. Si possono trovare informazioni pratiche sulle diverse tipologie di semina, pulitura essiccazione o ad esempio i contatti per la spremitura di semi, oltre alla questione della divisione del sacco con la spiegazione del procedimento.
Avete già raccolto la canapa seminata?
Sì abbiamo già raccolto e abbiamo legato le cime in mannelli per l’essiccazione in ambiente arieggiato che è il sistema usato tradizionalmente. Poi faremo la pulitura in diversi passaggi.
E saranno destinati ad uso alimentare?
Sì anche perché attualmente è la filiera che si può chiudere in modo più pratico. Tutto a chilometro zero visto che sono tutte piccole coltivazioni con la filiera locale come soluzione visto che un’agricoltore ha poi la possibilità di rivendere il prodotto.
Ho visto che ha da poco pubblicato un libro dal titolo “I costi e i benefici della partecipazione”. Parla anche di questa esperienza?
No, anche se sulla canapa ci sto lavorando perché comunque studiando ho recuperato un sacco di testimonianze e interviste anche degli anni ’70 e sto pensando di organizzarle anche in un libricino. Il libro che ha citato riguarda un altro progetto ma che potrebbe essere benissimo legato a questo. Quando mi sono laureata ho fatto la tesi sulla partecipazione della cittadinanza valutando un percorso di inserimento della cittadinanza nelle politiche del territorio. Coinvolgendo i cittadini si ha più probabilità di fare scelte giuste per il territorio che cittadini conoscono nel bene e nel male; dall’altro lato è giusto che anche i cittadini partecipino attivamente: non si può solo delegare bisogna assumersi le responsabilità anche nei confronti del territorio. La canapa, in questo senso, è il mio contributo.
Prossimi progetti?
Ho iniziato il progetto per passione personale e per i miei interessi ambientali che mi hanno portato a questa coltivazione, spero che nel futuro possa diventare un lavoro a tempo pieno, perché la canapa è anche questo, una possibilità concreta per creare nuovi posti di lavoro in tempi di crisi.
Come vedi il futuro della canapa italiana?
Attualmente ci sono molte difficoltà dovute alle ristrettezze normative e burocratiche: speriamo che diminuiscano o si azzerino del tutto visto che la canapa può essere la coltivazione principale di un nuovo sviluppo rurale sostenibile. Viviamo in un mondo in cui vengono finanziati i progetti più disparati, anche cose senza futuro, mentre io penso che la canapa possa essere davvero una chiave di volta.
Mario Catania