Canapa tessile: può tornare ad essere il nostro “oro verde”?

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Quella che ci aveva reso primi al mondo per qualità della nostra canapa, era proprio la fibra, dalla quale si ottenevano ad esempio corde e vele per le navi, ma anche corredi per le spose, biancheria, tende e rivestimenti per materassi e poltrone. Le navi della famosa ed imbattibile flotta britannica avevano le vele realizzate in canapa italiana, così come l’Amerigo Vespucci, ancora oggi, per statuto deve avere le vele di canapa di Carmagnola. La stessa fibra tessile che in passato era considerata “oro verde”: un prodotto dal forte valore aggiunto lavorato in modo artigianale. La successiva diminuzione delle coltivazioni ha purtroppo impedito, tra le altre cose, anche il passaggio da una lavorazione artigianale a quella industriale meccanizzando i processi di lavorazione come la macerazione o la pettinatura successiva. Il risultato è che oggi in Italia, nonostante alcuni recenti tentativi come quello del gruppo Fibranova, non ci sia la possibilità di produrre tessuto di canapa, quello a disposizione viene importato dall’estero. Se pensiamo che il cotone è una delle colture più inquinanti del pianeta, mentre la canapa non necessita quasi mai di diserbanti o fitofarmaci, avremmo un ragione in più per andare in questa direzione, nonostante sia un investimento non indifferente. Immaginiamo però il valore che potrebbe avere una canapa made in Italy, coltivata con nostre genetiche, che dia vita a capi di vestiario fatti in Italia.
Secondo Marco Antonini, ricettore dell’ENEA e presidente del consorzio Arianne che si occupa di fibre naturali, “la tecnologia per realizzare la filatura invece esiste già, quindi si tratterebbe di rispristinare o creare degli impianti nuovi. In Italia l’abbiamo già fatto per la lana e quindi non dovrebbe essere un problema farlo anche con la canapa”. Ne abbiamo parlato con Mauro Vismara, dell’azienda Maeko tessuti, che si occupa appunto di filati provenienti da materie naturali, canapa compresa.

Qual è il problema per una possibile filiera tessile: la grandezza dell’investimento, o la paura che non sia poi economicamente sostenibile?
Se sia conveniente o meno non lo so, bisognerebbe fare uno studio approfondito, la cosa sicura è che poi, lavorando canapa italiana, si creerebbe sicuramente un valore aggiunto rispetto ad esempio ai tessuti di canapa cinesi. Il problema principale è che l’impianto che permette di fare la filatura a umido è molto costoso: si tratta di un investimento che supera i 10 milioni di euro.

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Ma il problema è la macerazione?
La macerazione si può fare, non è quello il problema. Con le giuste varietà la macerazione la si può fare in campo o in laboratorio, il problema è quando vai a fare il processo di stigliatura, di pettinatura e poi la filatura a umido.

Tu l’acuisti già lavorata o la lavori tu?

Maeko tessutiQuella che lavoro qui l’acquisto principalmente per fare delle mischie perché in questo modo si riesce a lavorare con altri macchinari e si fa canapa e lana di Yak, canapa e cachemire, o ad esempio con il cotone; però il puro non ho alternative: devo per forza comprarlo da fuori.

C’è qualcuno in Europa che esegue questo tipo di filatura?
Nessuno fa la filatura a umido per la canapa. Qualcuno la fa per il lino, ma bisognerebbe adattare i macchinari e non è una cosa semplice, si tratta di due processi industriali diversi.

Ci son stati dei tentativi in passato di ripristinare questo tipo di lavorazione, ma non sono andati a buon fine…
Perché è un processo industriale complesso. Non si è arrivati a nulla perché senza un aiuto o un progetto economico non ce la si fa.

E tu che prodotti realizzai con la canapa?
Una volta che è filato posso realizzare dei telai a Jersey o dei telai a Navetta per fare la camicia, il pantalone, il cappotto o le t-shirt, oltre al reparto arredamento.

E c’è richiesta per questo tipo di prodotti?
C’è molto interesse anche se parliamo di un prodotto che non ha origine in Europa e quindi quel valore aggiunto lo perdi e logicamente si fa fatica ad entrare sul mercato in questo modo, dove non c’è niente di chiaro. Con una filiera controllata di made in Italy sarebbe tutto un altro discorso.

Tu come la vedi per il futuro?
Teniamo presente che non si tratta solo del tessile, quella potrebbe sicuramente essere una bella vetrina, ma dagli scarti della lavorazione della canapa tessile si possono ottenere moltissimi altri prodotti che spaziano dalla zootecnica al pellet, per arrivare ad esempio alla bio-edilizia che è un settore in via di crescita. Al massimo il problema è che si tratta di un materiale che andrebbe ad inserirsi in diversi settori, toccando quindi molteplici interessi.

Mario Catania – Versione integrale dell’estratto su Canapa Industriale n°4, speciale 2016

 

 

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