Immaginiamo un mondo senza petrolio. Un mondo senza plastica, asfalto, gasolio, benzina e tutti gli altri prodotti ottenuti mediante la sua raffinazione. Un mondo basato sulle soluzioni ecologiche, su menti ed intelletti nuovi e su un’economia finalmente sostenibile, per noi e per l’ambiente in cui viviamo.
Per parlare di questo è indispensabile introdurre il concetto di biomassa e cioè l’insieme di coltivazioni, degli scarti agricoli e forestali, dei bio-carburanti e dei gas utilizzati a scopi energetici: in sintesi parliamo di sostanze di origine biologica in forma non fossile.
L’utilizzo di prodotti agricoli rinnovabili per creare prodotti industriali non è una nuova tendenza: era il lontano 1934 quando il dottor William J. Hale, chimico, ha coniato il termine “Chemurgy” per riferirsi a questa pratica. George Washington Carver, venerato come il padre della Chemiurgia, credeva che ogni bisogno umano potesse essere soddisfatto sintetizzando materiali provenienti da ciò che cresce in natura e che centinaia di prodotti, dall’inchiostro ai carburanti, passando per bio-plastiche e tessuti, potessero essere ricavati da colture comuni che crescono a quasi tutte le latitudini. Era invece il 1937 quando la rivista Popular Science pubblicò l’articolo “Hemp: The New Billion-Dollar Crop”, che elencava oltre 25mila possibili utilizzi industriali della canapa.
L’ormai mitica Hemp Body Car di Henry Ford, automobile realizzata in bio-plastica ricavata dalla canapa ed alimentata da etanolo, un combustibile a basso impatto ambientale ottenuto sempre dalla canapa, è stata ispirata proprio dal lavoro di Hale e Carver, e Ford è diventato uno dei primi sostenitori della Chemiurgia per esplorare diverse colture agricole (tra le quali la canapa industriale) per il loro potenziale. “Perché esaurire le foreste che sono nate attraverso i secoli e le miniere che necessitano di molti anni per formarsi, se possiamo ottenere l’equivalente di una foresta e dei prodotti minerari attraverso la coltivazione annua dei campi di canapa?”.
In questa frase di Henry Ford è racchiusa la sua ambiziosa visione, stoppata dal galoppante proibizionismo che di lì a poco avrebbe provato a cancellare questa pianta e tutto il bene che ne può derivare.
Accadde infatti che i grandi interessi commerciali del tempo ebbero il sopravvento, facendo vietare tutte le forme di coltivazione di cannabis, con lo scopo di garantire un mondo che fosse petrolchimico-dipendente. Con il crescere dell’industrializzazione infatti, il cambiamento è stato quello di allontanarsi sempre di più dal concetto di sostenibilità ambientale con prodotti non biodegradabili, né rinnovabili e soprattutto tossici per l’ambiente, per gli animali e per l’uomo.
È ora di cambiare il modo in cui industria e agricoltura interagiscono. La canapa è rinnovabile, biodegradabile e vantaggiosa per l’ambiente. Con la rinascita di un’industria basata su questa pianta avremmo l’opportunità di tornare a sviluppare dei circuiti economici virtuosi, nei quali l’uomo può trarre il profitto necessario rispettando l’ambiente in cui si trova a vivere.
Le prime volte che cercavamo di spiegare come la canapa possa sostituire completamente i prodotti derivati da petrolio ed energie fossili, qualcuno ci guardava con l’accondiscendenza silenziosa che si accorda ai pazzi. In effetti avevamo torto: la canapa può fare molto di più. Può guidarci con naturalezza (letteralmente) dritti dritti verso una nuova rivoluzione industriale, più sostenibile e più umana di quella che ci ha portato fino a qui.
Lasciamoci salvare dalla canapa.
Mario Catania – Pubblicato su Canapa Industriale n°4, speciale 2016