Agli inizi del 20esimo secolo i ricchi industriali americani identificarono la canapa come una minaccia che potesse sostituire alcune delle loro aziende più redditizie, tra le quali quelle che producevano carta a partire dalla pasta di legno e quelle impegnate nella lavorazione del petrolio, di alcuni prodotti chimici, del cotone e delle prime fibre sintetiche. È solo una “teoria della cospirazione” oppure quei potenti uomini hanno fatto davvero di tutto per mettere la canapa fuori legge?
Jack Herer racconta in “The Emperor wear no clothes” che: “Dal 1935 in poi il Bureau ha attivamente ri-scritto la storia della canapa demonizzando la cannabis, un’attività innescata dall’avidità monopolistica e dall’insicurezza economica di alcune industrie finanziariamente minacciate”. Il “Bureau”, al quale si riferiva era il Federal Bureau of Narcotics (FBN), che operava sotto il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.
A quel tempo il segretario del Tesoro era Andrew Mellon, un potente industriale con interessi in società come DuPont, General Motors, nel settore petrolifero e in quello delle nascenti fibre sintetiche. Mellon era ben noto al tempo per la sua attività di lobbista a favore di grandi imprese e multinazionali. Fu proprio lui a nominare Henry Anslinger (il marito di sua nipote) a capo del FBN; e Anslinger non perse tempo: l’Ufficio di presidenza creò l’ormai celebre Marihuana Tax Act che pose tutti i coltivatori di canapa sotto il controllo dei regolamenti del dipartimento del Tesoro per limitare e, infine, vietare la coltivazione e la produzione.
Nel gruppo dei magnati anti-cannabis trovò buona compagnia anche William Randolph Hearst, l’uomo che creò uno dei più grandi gruppi editoriali e giornalistici di tutti i tempi. Sotto la guida di Henry Anslinger, i mass media e la propaganda furono usati per spingere il messaggio anti-cannabis: la pianta venne demonizzata agli occhi del pubblico quando il Bureau la collegò più volte a fantomatici comportamenti anti-sociali e violenti.
Hearst ha fornito sostegno alla campagna eseguendo annunci anti-cannabis e articoli nei suoi molti media, tra cui 20 quotidiani e 11 giornali della domenica in 13 città. È solo una coincidenza che la fortuna di Hearst sia stata minacciata dalla produzione di canapa perché possedeva molte delle foreste utilizzate ai tempi per la produzione di carta?
Ad ogni modo la campagna mediatica basata sulla psicoattività della cannabis è stata utilizzata per proibire anche la non psico-attiva canapa industriale. E ancor oggi in USA, dove oltre 20 Stati hanno legalizzato la cannabis terapeutica e 4 anche quella ricreativa, rimane il divieto federale di coltivare canapa ad uso industriale, nonostante Obama nel 2014 abbia firmato il nuovo Farm Bill – il pacchetto quinquennale di leggi federali sull’agricoltura – permettendo ad università ed istituti di ricerca di effettuare coltivazioni a livello sperimentale.
Redazione canapaindustriale.it – Pubblicato su Canapa Industriale n°4, speciale 2016