In un momento di grande fermento per la canapa industriale italiana, dovuto alla coltivazione di canapa da fiore ed in particolare per la cosiddetta cannabis light, gli agricoltori ed i produttori italiani chiedono maggiori certezze, visto che la legge non ha emanato nessuna norma che riguardi proprio le infiorescenze.
Tra gli ultimi provvedimenti legislativi in merito è stata presentata tempo fa una risoluzione alle Commissioni Affari Sociali e Agricoltura di Montecitorio per consentire l’uso floreale ed erboristico delle infiorescenze da canapa industriale. Il fine sarebbe quello di avere una regolamentazione ad hoc in grado di colmare l’attuale vuoto legislativo. La risoluzione è stata firmata da 7 deputati pentastellati, tra i quali figura anche Loredana Lupo, prima firmataria della legge sulla canapa industriale approvata a fine 2016. Nella versione iniziale della legge era infatti previsto un comma ad hoc che avrebbe regolato questo prodotto della canapa, il numero 2 dell’articolo 2, ma durante i passaggi legislativi era stato eliminato.
Intanto secondo un studio preliminare sul settore, la cannabis light a regime potrebbe portare un fatturato annuo di 44 milioni di euro, 960 posti di lavoro stabili e 6 milioni l’anno di entrate fiscali per lo Stato.
In generale gli orientamenti delle aziende sono due: quello di produrre canapa in Italia utilizzando le varietà certificate a livello europeo (QUI l’elenco completo), oppure quello di importare infiorescenze dall’estero, in maggior parte dalla Svizzera ma anche dall’est Europa, e di commercializzarle in Italia. I dubbi partono dalla percentuale lecita di THC che possano contenere i fiori, per arrivare a chi si chiede se sia legale o no commercializzare infiorescenze di varietà non certificate e quindi non contemplate dalla legge italiana sulla canapa, fino a chiarimenti sulla commercializzazione di talee o sulla possibilità, ad esempio, che diversi agricoltori possano dividere tra di loro un sacco di semenza da 25 chilogrammi.
Per cercare di fare chiarezza abbiamo girato le domande che in genere ci vengono rivolte a Giacomo Bulleri, avvocato e consulente che da tempo si occupa di canapa a livello agroindustriale; qui sotto la nostra chiacchierata.
Le varietà di canapa industriale che possono essere legalmente coltivate in Italia sono quelle comprese nell’elenco delle varietà certificate a livello europeo, è corretto?
Assolutamente sì, sul punto la legge è chiarissima. E’ stato definito cosa si intende per canapa industriale e quindi le varietà iscritte nel registro comunitario, con regolare cartellino e valori di THC che non superino lo 0,2%.
Sulla soglia del THC dello 0,6% introdotta dalla nuova legge, qual è il suo parere?
A mio avviso, e parlo di quella che è la mia interpretazione attenendomi al dettato della norma, il limite dello 0,6% è un limite che riguarda la coltivazione in campo, una tutela per quanto riguarda l’agricoltore. La legge dice che la canapa industriale è quella delle varietà certificate che sviluppano al massimo lo 0,2% di THC; poi la legge dice che laddove il limite dello 0,2% venga sforato, non c’è nessuna conseguenza per l’agricoltore anche perché, come è noto, le varietà che per due anni sfiorano i limiti di THC vengono cancellate dal registro della varietà ammesse. La famosa questione dello 0,6% io la considero come una soglia di sequestrabilità perché la legge dice che se superi lo 0,2% non ci sono conseguenze per agricoltore e non si può nemmeno procedere al sequestro, mentre se supera lo 0,6% è possibile il sequestro su ordine dell’autorità giudiziaria, sempre senza conseguenze per l’agricoltore.
La confusione che riguarda il prodotto finito a mio avviso è estranea a questo dibattito. Il fatto che ci siano prodotti che hanno livelli bassi di THC sarà una questione che avrà o meno rilevanza penale, ma non c’entra nulla con la legge sulla canapa industriale del 2016, è un’altra questione.
Quindi l’importazione di infiorescenze di varietà non certificate, secondo lei è legale?
Secondo me no. Perché le varietà non certificate non possono essere considerate come canapa industriale per la nostra legge e quindi non godono della sua tutela.
Le infiorescenze però non sono state normale dalla nuova legge…
L’infiorescenza ad oggi ha una destinazione ad uso tecnico e per questo tipo di prodotti, come per quelli da collezione, la destinazione non dovrebbe essere quella dell’assunzione o dell’ingerimento. Quello tecnico è un utilizzo ammissibile grazie al disposto degli articoli 1 e 2 della legge che incentivano la filiera e l’utilizzo di tutta la pianta e quindi ha un senso. Ecco perché in questo caso, una volta che il fiore viene proposto ad uso tecnico e deriva da coltivazioni certificate, si può ritenere ammissibile.
La cosa migliore sarebbe che il governo, oltre a normare le soglie di THC per gli alimenti, emani anche delle norme specifiche per le infiorescenze?
La legge è stata fatta e consente già diverse possibilità. Il ministero ha già affermato che provvederà con tavoli tecnici o di filiera a far luce su 3 cosiddette zone grigie che sono: le infiorescenze, le estrazioni da canapa industriale ed il florovivaismo e sicuramente ci sarà un intervento del legislatore volto a superare questi equivoci; anche sul lato alimentare serviranno delle delucidazioni per le soglie di THC nei cibi.
Visto che la legge del 2016 parla anche di coltivazioni destinate al florovivaismo, è da ritenersi legale ad esempio la produzione e la vendita di talee?
Questa legge, ci tengo a sottolinearlo, è una legge di promozione di una filiera di prodotti diversi a livello industriale ed artigianale. Quindi, all’interno del rispetto delle normative di settore, la canapa è parificata di fatto alle altre piante. Sul florovivaismo, attenendosi al dettato normativo, l’articolo 2 stabilisce chiaramente che è lecita la coltivazione di canapa per questa destinazione. Quando si parla di florovivaismo si intende un’attività professionale di produzione e commercializzazione di fiori recisi e di piante in un contesto di serre e vivai. Altra cosa importante è che già la Convenzione di New York del 1961, ratificata poi nel 1975, escludeva dalle sostanze stupefacenti la canapa ad uso industriale di fibra seme o orticoltura. Quindi fare ortoflorovivaismo significa che per la canapa, come per qualunque altra pianta, poter svolgere tutte le attività del settore come piante ornamentali, fiori recisi, e presuppongo anche l’aspetto delle talee; è chiaro che si debba a questo punto rispettare la normativa di settore ed avere quindi il patentino fitosanitario che serve per chi vende ad esercizi commerciali.
Nel caso ad esempio di vendita di talee come ci si deve comportare per i cartellini?
La questione va affrontata con equilibrio: da un lato gli obblighi del coltivatore sono quelli di conservare la fattura ed il cartellino delle sementi, quindi, in primis non si parla di originale. Quello che conta è che venga conservato un cartellino e la ratio della norma è a favore della tracciabilità. Teoricamente potrebbe essere ipotizzabile dire che può essere utilizzata una copia. La certezza non ci può essere perché si parla sempre di semina: per quanto riguarda commercializzazione e produzione del prodotto ottenuto dalle talee o per florovivaismo, nessun problema, per quanto riguarda la possibilità d’impianto, punto interrogativo perché la legge parla sempre di semina e l’impianto da una parte non è semina, ma dall’altra è un’attività florovivaistica. La soluzione potrebbe essere quella di chiarire che l’uso di una fotocopia è accettato.
E sugli agricoltori che vogliono dividere tra di loro un classico sacco da 25 chilogrammi?
C’è un parere del Mipaf che ha chiarito che nelle aree montane è ammessa la divisibilità dei sacchi e c’è un parere scritto. L’istanza dice che siccome nelle aree montane gli appezzamenti sono limitati è possibile dividere il sacco tra più agricoltori. Se può avere un logica in area montana, potrebbe essere plausibile che valga anche per gli altri, è una questione interpretativa, basterebbe una precisazione dal ministero. L’equivoco nasce a monte, perché la canapa è sempre stata considerata una coltura da fibra o da seme, mentre ultimamente l’attenzione è più sul fiore ed il settore florovivaista.
La normativa dei controlli, è una normativa che fa riferimento ai controlli outdoor, con modalità apposta, ed è un sistema che non può funzionare in un vivaio o in una serra indoor: è una legge che, essendo stata approvata di recente, necessiterà di specifiche. Ci sono delle finestre in cui si naviga un po’ a vista ma i punti fermi sono quelli che ci siamo detti.
Cosa si potrebbe fare per migliorare la legge?
Essendo stata approvata a fine 2016 è normale che la legge faccia un percorso e che si adatti al diritto vivente ed agli operatori del settore. Secondo me dovrebbero essere gli stessi operatori di settore e le associazioni di categoria a fare dei disciplinari di produzione e prevedere delle norme volontarie che assicurino la qualità, la tracciabilità e la tutela del consumatore e che ricalchino sostanzialmente quel percorso fatto dal biologico in cui il vuoto normativo è stato colmato dagli stessi operatori di settore. Sarebbe meglio affrontarle dall’interno e da tecnici del settore piuttosto che da un legislatore o un tecnico esterno.
Mario Catania