L’esplosione del fenomeno cannabis light non accenna a fermarsi. Sulla scia di ciò che stava accadendo nella vicina Svizzera anche in Italia nel maggio del 2017 abbiamo cominciato a produrre e vendere infiorescenze a basso contenuto di THC, destando un interesse che prima era difficile da immaginare e creando un fermento, anche tra gli agricoltori italiani che faticano a trovare produzioni remunerative, che cresce giorno dopo giorno.
Nei giorni scorsi una delegazione composta da produttori, legali ed esperti di settore, ha esposto i risultati dei nove mesi di cannabis light ad una delegazione di parlamentari in una conferenza alla Camera dei deputati. Hanno inoltre consegnato le norme di autoregolamentazione che si sono dati sperando che il legislatore, visto che il mercato c’è ed è innegabile, le possa adottare per regolamentare il fenomeno. Dal punto di vista giuridico l’avvocato Giacomo Bulleri ci ha esposto la sua teoria sul profilo giuridico del sistema, plaudendo a questo tentativo dal basso di dare delle regole per il settore delle infiorescenze.
Il vuoto normativo nasce dal fatto che nella legge di settore approvata a fine 2016, delle infiorescenze non si faceva cenno, pur autorizzando le attività florovivaistiche in cui rientra anche il commercio di fiori recisi.
Nel tentativo di dare una mano alle numerose nuove aziende agricole che nel 2018 coltiveranno canapa (700 secondo ConfAfricoltura), abbiamo sentito Marcello Scarcella, agronomo esperto nella coltivazione di canapa, per farci spiegare le tecniche di coltivazione di canapa da fiore in campo, sia per l’estrazione di cannabinoidi, che per il mercato della cannabis light.
Quale varietà di canapa bisogna scegliere se si vogliono produrre infiorescenze?
Innanzitutto diciamo che va scelta una specie dioica, perché è importante che i fiori abbiano la qualità di essere senza semi. Con una genetica dioica ed eliminando i maschi, si possono ottenere fiori senza semi. Ovviamente utilizzando una monoica, che sviluppa fiori maschili e femminili sulla stessa pianta, è impossibile. Riguardo alle varietà il discorso è un po’ più complicato in quanto, essendo possibile utilizzare solo quelle iscritte nel registro europeo (QUI l’elenco completo), bisogna per forza scegliere tra quelle. Le cultivar migliori sarebbero le italiane perché presentano un alto contenuto di CBD e sono abbastanza stabili per il contenuto di THC: il problema principale è che non si trova seme a sufficienza e quel poco che c’è viene venduto a prezzi esorbitanti.
Parliamo di Eletta campana, Carmagnola, Carmagnola selezionata, Fibranova eccetera?
Sì, ce ne sono anche altre varietà ma non si trovano in commercio, perché le aziende sementiere fino ad ora non le hanno moltiplicate, o lo hanno fatto poco anche a causa della scarsa richiesta degli anni precedenti. Ora si stanno attrezzando un po’ tutti per ottenere licenze e produrre seme.
E quindi un agricoltore che volesse partire tra poco, su che semi si può orientare?
Su varietà rumene o ungheresi. Ad esempio la Kompolti, anche se ad oggi non si trova molto seme nemmeno di questa varietà, oppure Tiborszallasi, Antal o Silvana.
Una varietà come la Finola?
La Finola (varietà finlandese) può andare bene, come alcune francesi come la Santhica. A patto che siano coltivate o in un ambiente che non sia eccessivamente caldo, quindi al sud Italia se non c’è irrigazione è sconsigliato, mentre nel nord Italia vanno bene.
Il terreno ideale come deve essere?
Come altre piante la canapa preferisce un terreno profondo, ben arieggiato e dotato di sostanze organiche. La cosa fondamentale è che il terreno non abbia ristagni e che sia profondo, la radice della canapa è fittonante quindi scende in profondità e riesce a sopperire alla carenza di precipitazioni. Una volta che la piantina è affrancata ed ha sviluppato bene la radice si può approvvigionare di acqua anche in assenza di precipitazioni, arrivando agli strati sottostanti del terreno.
Che preparazioni bisogna effettuare?
Le classiche preparazioni: in genere una lavorazione principale a circa 30/40 centimetri ed una rifinitura tramite fresatura prima della semina. Per seguire una coltivazione a basso impatto ambientale ci sono macchine che permettono una semina con una lavorazione minima, solo quella dove andrà il seme. La tecnica si chiama “no tillage” che permette di seminare sul terreno non lavorato. In questo caso dipende dal terreno, da cosa c’pera prima, dalle lavorazioni precedenti ed altri parametri. Dove è possibile si tende ad utilizzare o il “minimum tillage” o il “no tillage”. Ci sono già le macchine a disposizione e sono tecniche ampiamente rodate che si possono usare con un risparmio di tempo e di risorse.
Altrimenti si utilizza una seminatrice di precisione?
Si può utilizzare, anche se la tecnica migliore, per chi può, è il trapianto, dopo aver fatto germinare i semi in terra o in vivaio, in modo che le piante abbiano un vantaggio ulteriore rispetto alle infestanti. Ovviamente il trapianto va fatto in terreni adatti, o con l’ausilio dell’irrigazione.
In genere per coltivare canapa è necessario irrigare?
L’irrigazione non è necessaria negli ambienti in cui durante il periodo di crescita, quindi marzo/aprile ed agosto per lo sviluppo del fiore, ci siano delle normali precipitazioni, quindi in genere nel centro-nord non si irriga. Mentre nei climi del sud in cui le temperature sono alte e le precipitazioni scarse o assenti, senza il paracadute dell’irrigazione il rischio è di non portare al termine il ciclo. Quindi è necessaria al sud ed opzionale al centro nord. Sarebbe sempre meglio averla: la coltura da fiore è una coltura ad alto reddito, quindi l’irrigazione sarebbe il caso di prevederla per avere un prodotto di qualità, perché poi nel periodo di ingrossamento del fiore se c’è uno stress idrico, si ripercuote sulla produzione.
E per il concime?
Dipende dal terreno, se è ricco di per sé, se è già stato coltivato o ha già avuto apporti di elementi. In base al terreno si sceglie la concimazione. Come regola generale si può intervenire basandosi sulle asportazioni. Quando avrò finito il ciclo porterò via un determinato quantitativo di biomassa in cui ci sarà azoto, fosforo e potassio che noi andiamo a ristorare preventivamente compensando gli asporti. Questo si fa nell’ottica di risparmio di risorse e per non impoverire il terreno, anche se la canapa lascia molti residui colturali che portano ad aumento di sostanza organica e della sua qualità.
Una concimazione generale potrebbe essere quella di utilizzare circa 100 unità di azoto ad ettaro, 60 di fosforo e 80 di potassio. Con delle analisi si può fare una concimazione mirata, considerando che gli elementi andrebbero dati quando la pianta ne ha bisogno. L’azoto è un elemento mobile, che rischia di essere dilavato via dalle piogge se messo troppo presto, mentre il fosforo ed il potassio si possono dare in qualsiasi momento.
Quando va raccolto il fiore?
Va raccolto a maturazione fisiologica, quando l’infiorescenza è al massimo sviluppo ed è presente il massimo numero di tricomi e sostanze come cannabinoidi e terpeni. In Italia in genere il periodo più adatto è settembre, perché la pianta va in fioritura a luglio e in un mese circa completa il ciclo, quindi in genere tra metà agosto e settembre.
Come si deve procedere?
Per la raccolta del fiore, se parliamo di fiore che ha come destinazione l’estrazione a livello industriale, si può procedere con delle macchine. Se parliamo del fiore da canapa light, la raccolta va fatta a mano e ci sono delle macchine per la successiva pulizia del fiore, il cosiddetto trimming, che può essere svolto a mano anche quello. Molto importante è la fase di raccolta, pulizia ed essiccazione, fondamentale per non rovinare il fiore. Se è raccolto a mano un eventuale essiccatore deve lavorare a basse temperature; altrimenti si può essiccare anche in stanze con umidità e temperatura controllata, senza esposizione diretta alla luce solare, per evitare perdita eccessiva di acqua o la creazione di muffe oppure ancora la degradazione dei cannabinoidi o dei sapori.
Per il lato dell’estrazione industriale e quindi di coltivazioni su grandi appezzamenti, ci sono delle macchine che possono essere utilizzate. O mietitrebbia adattate ad hoc per l’operazione oppure macchine fatte apposta per la raccolta del fiore delle biomasse, ce ne sono diverse che sono adattabili. Il trebbiato sarà molto umido per cui saranno necessari dei grandi essiccatoi professionali per abbassare subito l’umidità ed evitare lo sviluppo di muffe o fermentazioni.
Tornando alla cannabis light: quanto si produce mediamente da una pianta e da un ettaro?
Dalle esperienze finora fatte dipende innanzitutto dal numero di piante che si mettono a metro quadro. In genere si piantano una o due per metro quadro: se ne metto una saranno 10mila piante ad ettaro, con due saranno 20mila. Una densità giusta è quella di 2 piante a metro quadro circa, dalle quali, con le varietà attualmente disponibili e le giuste tecniche di coltivazione, è possibile ottenere circa 5/600 chilogrammi ad ettaro di prodotto secco.
E quanto si guadagna con le produzioni outdoor?
Dipende da diverse variabili, come ad esempio il canale commerciale. Innanzitutto non è semplice venderle, perché è difficile trovare chi le compra e in quantità rilevanti. Attualmente il mercato ha bisogno di prodotto, ma di una quantità ancora limitata. Se tutti si mettessero a produrre cannabis light andremmo in sovrapproduzione. L’anno scorso i prezzi variavano dai 60 euro al chilo, per il prodotto più scarso con i semi, per arrivare anche ai 3/400 euro al chilo, magari di piccoli appezzamenti e le produzioni migliori anche a 500 euro. I prezzi variavano in base alla bellezza ed alla compattezza del fiore, alla presenza o meno di semi e al contenuto di CBD. Un buon fiore senza semi e con un buon contenuto di CBD ha spuntato prezzi molto buoni. E’ un mercato altamente volatile ed è difficile capire come andrà. Quest’anno bisognerà vedere quanta ne verrà prodotta ed il livello qualitativo. Arriveranno moltissimi produttori e bisognerà capire non solo chi comprerà questo prodotto, ma se ci sarà richiesta sufficiente, con il rischio che i prezzi calino. Se no, così come succede per il seme, ci saranno le aziende agricole che, invece che vendere la propria produzione, inizieranno a creare i propri brand per avere un ricavo maggiore.
Mario Catania