“Il mio avvicinamento a questa tematica scaturisce dalla ferma volontà di diffondere un argomento, ancora
trascurato a livello socio-economico, che potrebbe rendere possibile una terza rivoluzione industriale (non considero l’avvento dell’ hi-tech una rivoluzione vera e propria, poiché legata ancora alle solite materie prime che affliggono il nostro sistema e il nostro ambiente)”.
E’ con queste parole che Ivano Potente ci ha introdotto la sua tesi intitolata “Benefici ambientali e convenienza economica della coltivazione della canapa”, realizzata per la sua laurea magistrale in Economia dell’ambiente, conseguita a marzo presso l’Università degli Studi di Torino.
“Parlare di canapa”, continua a raccontare, “rappresenta, per me, la naturale conclusione del mio percorso di studi, nonché la nascita di una speranza concreta di cambiamento. Sento di aver trovato qualcosa per cui impegnarmi, svincolandomi dal solito concetto che vede i miei coetanei alla ricerca di attività e esperienze lavorative che garantiscano esclusivamente il ritorno economico di cui hanno bisogno, obbligandoli a non riflettere sugli effetti negativi che queste attività possono avere sulla società futura. Noto molta retorica: sono tutti contro il petrolio, ma poi nel momento in cui si tratta di trovare lavoro l’importante diventa avere uno stipendio per “non mangiare pietre”: è questo quello che ci viene trasmesso… Accontentarsi perché nessuno può risolvere i problemi in prima persona. Alla luce di queste riflessioni, è ovvio che lavorare in questo settore, ed essere uno dei collaboratori del cambiamento, rappresenterebbe per me un orgoglio”.
Il neo dottore in economia passa poi a sottolineare i punti critici della situazione attuale: “Uno di questi è che l’utilizzo della canapa è stato, per anni, associato quasi esclusivamente alla combustione, dannosa per la salute umana, come sostitutivo del tabacco. I risultati economici trattati nell’elaborato, infatti, mostrano come in Italia sia proprio la recente commercializzazione delle infiorescenze a basso contenuto di THC quella maggiormente remunerativa per l’agricoltore, ad oggi (Tofani, 2014). Lo scenario, ovviamente, è in continua evoluzione. Ciò rappresenta, comunque, un buon punto di partenza per la futura produzione di altri beni derivati in grado di contribuire maggiormente al miglioramento dell’ambiente e alla sostituzione di quasi tutti i materiali inquinanti. I confronti con tutte le altre principali colture, riportati nella tesi, evidenziano come la canapa sia caratterizzata da una bassa impronta idrica ed ecologica. Gli ettari coltivati in Europa sono in continuo aumento (report EIHA), segnale di una prorompente reintroduzione nel sistema economico. Occore, tuttavia, armonizzare il funzionamento della filiera agro-industriale attrezzando il territorio con un maggior numero impianti di prima lavorazione delle paglie”.
Altro punto critico, in ambito europeo, “risulta essere la necessità di rendere maggiormente omogeneo e definito il quadro normativo di riferimento, ancora molto frammentario e poco propenso a incorraggiare l’agricoltore a intraprendere la canapicoltura”.
Nel suo elaborato Potente parte analizzando la storia della canapa e le sue caratteristiche principali, dalla morfologia alle pratiche colturali, passando per la raccolta e le possibili problematiche. Poi, dopo aver passato in rassegna la legislazione italiana ed europea, analizza i possibili utilizzi dei derivati di questo vegetale, e la potenzialità economica per le aziende nella lavorazione di paglie, semi e infiorescenze, confrontando i conti economici di canapa e mais, e passando in rassegna i benefici ambientali che questa coltura apporta ai terreni e all’ambiente più in generale, anche in un’ottica di sostituzione dei derivati del petrolio come plastica e biocombustibili.
“Nonostante le diverse problematiche”, continua Potente, “la coltivazione della canapa, anche quella finalizzata a produrre semi e paglie (con le annesse limitazioni inerenti la stigliatura), risulta economicamente vantaggiosa, confrontata ad esempio con una coltura tradizionale come il mais. Ma è importante considerare in queste valutazioni numerosi fattori, come la qualità del terreno e le temperature, che possono modificare i raccolti e, conseguentemente, i risultati economici”.
Mario Catania