La confusione del sedicente sindacato della canapa presa per buona dal ministero dell’Interno

Canapa economia e politica //

Una situazione paradossale, che rischia di creare ancora più confusione in un settore che avrebbe bisogno solo di chiarezza e regole condivise. In questi giorni è successo che il ministero dell’Interno ha diramato una nota al Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione (e conseguentemente alle singole stazioni di polizia) in cui vengono date informazioni confuse sia su cosa rappresentino i grow shop a livello economico e sociale nel nostro paese (parliamo di oltre 700 realtà oneste che lavorano, pagano le tasse e vengono costantemente attaccate) oltre che sul funzionamento della filiera della canapa italiana. Giusto per darvi un’idea, contiene frasi tipo: “Dobbiamo in primis fare una distinzione tra i negoziati grow shop che NON sono attività regolate a dovere”, QUI il link per leggere il resto.

Il problema è che questa stessa lettera, girata dal ministero alle forze dell’ordine senza un controllo di cosa ci fosse scritto, o forse perché il contenuto sembra avvalorare la tesi del ministero secondo la quale i negozi che vendono derivati della canapa andrebbero chiusi, era stata precedentemente inviata dal sedicente sindacato della canapa, sigla ASACC, contro il quale si sono scagliate tutte le principali associazioni di settore italiane. Prospettata come “soluzione cannabis” la lettera che potete visionare è in realtà un’accozzaglia di pregiudizi infondati, dati sbagliati e idee quantomeno semplicistiche su come “risolvere” i problemi del settore.

Ecco la risposta di Associazione Canapa Sativa Italia, Federcanapa, Consorzio Nazionale Tutela Canapa e Associazione culturale Gli Amici di Nonna Canapa.

Prendiamo atto, con enorme stupore, dell’iniziativa intrapresa dal signor Andrea Rossi a nome dell’A.S.A.A.C. ossia l’Associazione Sindacale Autonoma Coltivatori, Lavoratori e Lavorazioni Canapa, il quale ha trasmesso al Ministero dell’Interno lo scorso 10.05 una nota dal titolo – già di per sé assai pretenzioso – “soluzione cannabis”.

In tale nota vengono fatte alcune affermazioni estremamente generiche e semplicistiche che denotano una scarsa conoscenza del fenomeno “cannabis light”.

In particolare non può essere condivisibile una “criminalizzazione” indistinta di tutti i growshop, definiti “negozietti”, i quali, pongono in essere una condotta che la parte maggioritaria della giurisprudenza ha ritenuto del tutto lecita. Del resto se la canapa industriale con valori di THC inferiori alla soglia di legge non produce effetti psicoattivi perché dovrebbe essere vietata?

Riteniamo comunque che la determinazione della liceità o meno di un comportamento all’interno del quadro normativo vigente non spetti né al signor Rossi né a singoli politici, bensì spetti soltanto alla magistratura nell’esercizio della funzione precipua di garante dell’osservanza delle leggi.

Ma al di là delle considerazioni esposte nella lettera – che tutto al più – hanno una valenza a titolo personale e dell’associazione menzionata, ciò che appare quantomeno “singolare” è che un Ministero abbia diffuso una nota di un singolo soggetto al Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione (e conseguentemente alle singole stazioni di polizia) prendendo per buone affermazioni gratuite, generiche e prive di alcun pregio giuridico e sostegno probatorio.

Riteniamo che la condotta in questione abbia il solo fine di creare ulteriore confusione ed equivoci in un settore già fortemente penalizzato da retaggi e pregiudizi culturali che di certo non necessita di associazioni di categoria (o pseudo tali) che ritengono, in maniera del tutto arbitraria, di detenere  “soluzioni cannabis” senza tener conto della complessità del fenomeno. In tale prospettiva l’unico risultato concreto è quello di individuare un unico soggetto “colpevole” della filiera (i negozianti) che paghi sulla propria pelle le storture interpretative ed il clima politico che si è creato. Il tutto senza contare come i negozi non rappresentano il male da combattere, ma rappresentano la vetrina di un settore e che tra l’altro sono aperti in tutta Italia da moltissimi anni e non si limitano a vendere soltanto cannabis light né tantomeno possono essere considerati degli “spacciatori” come qualcuno vorrebbe sostenere.

Singolare poi che tali istanze limitative della libertà individuale e di iniziativa economica provengano addirittura da chi si definisce “Associazione Sindacale” del settore canapa.

Ed ancora più grave la condotta di un Ministero che prende per buone le affermazioni del primo venuto senza eseguire un’accurata istruttoria e presa di coscienza del fenomeno sul quale le associazioni di categoria (quelle veramente rappresentative del settore) hanno chiesto una regolamentazione certa a tutela della legalità e delle imprese ed hanno avviato percorsi di autoregolamentazione con disciplinari e sistemi di certificazione della qualità.

Redazione di canapaindustriale.it

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