Eatruscan: un progetto nato dal basso che oggi esporta in Europa la canapa italiana

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Un piccolo passo per la nostra agricoltura, ma un grande passo per la canapa italiana. Potremmo riassumere così l’esperienza di Eatruscan, azienda nata dall’impegno di ragazzi che hanno scelto di dedicarsi alla canapa industriale e che, facendo scelte diverse dalla maggior parte delle aziende agricole che hanno puntato solo sulla cannabis light, oggi stanno ottenendo grandi risultati.

Parliamo di Alessio Gaggiotti, l’amministratore, Andrea Cocca ed Enrico Mondardini, soci dell’azienda che ci hanno creduto fin da quando il progetto consisteva solo in un campo da preparare e seminare, e il dottor Alessandro Mondello, l’esperto agronomo del gruppo che fa parte di Hemp positive World, che partecipa Eatruscan con una quota insieme ad Alessio ed Enrico.

Un lavoro complesso partito da lontano fatto di tanto studio e ricerca, di tentativi e di duro lavoro nelle varie fasi della coltivazione: dalla semina alla raccolta, passando per i macchinari necessari, gli impianti di essicazione e lavorazione e i possibili sbocchi sul mercato. Oggi, dopo anni, muovendo i propri passi tra l’Umbria e l’Emilia Romagna, la società sta per chiudere un importante contratto con una holding detentrice tra altre di un’azienda austriaca per il conferimento di biomassa italiana per l’estrazione di CBD (e noi di canapaindustriale.it siamo stati invitati in occasione della firma per testimoniare questo grande passo).

Dalla società iniziale negli anni sono state sviluppate diverse realtà: Canapoil, Canapeutical, Almamaria, Cannabis Clinic and Restaurant e Hemp Country. Le strutture produttive sono divise tra Gubbio, con una tenuta di 26 ettari di cui 8 adibiti a culture sperimentali, e al centro il Cannabis Clinic & Restaurant, un’idea che sposa la ricezione e la ristorazione di alta qualità con la canapa, e la Romagna dove tra Cesena e San Mauro Pascoli si trovano più di 30 ettari di coltivazione bio. Nella sede di Rimini c’è invece un impianto semi-industriale che fa del life cycle assessment (impatto energetico zero grazie alla presenza del fotovoltaico) il proprio fiore all’occhiello. Le performance produttive sono garantite da una grande macchina per la raccolta, da un essiccatoio e moderne stanze e macchine per la trasformazione della canapa (500 tonnellate la capacità annuale nominale dell’impianto) oltre ad un HPLC per le misurazioni in tempo reale dei vari componenti della pianta. Ne abbiamo parlato con l’amministratore delegato, Alessio Gaggiotti: qui sotto trovate la nostra chiacchierata che può essere da spunto per le aziende agricole che si stanno affacciando su questo mercato.

Come e quando nasce Eatruscan?
Il progetto nasce per studiare la canapa e trovare un modo per renderla remunerativa. Insieme ai miei soci abbiamo deciso nel 2015 di avviare l’attività con questo scopo. Negli anni, scegliendo sempre genetiche comprese nell’elenco di quelle certificate a livello europeo, abbiamo coltivato quelle che riteniamo più promettenti e interessanti, soprattutto in chiave nutraceutica, andando a considerare in maniera importante il contenuto di cannabidiolo (CBD). Non abbiamo avuto né aiuti né finanziamenti, abbiamo scommesso partendo dalle nostre risorse e dalle nostre capacità.

Quali passi avete fatto?
La società inizialmente si è dotata di un’azienda agricola a Gubbio con 26 ettari di cui 8 di coltivazioni, dove abbiamo realizzato le prime attività e la creazione dei primi marchi societari, che in ordine cronologico sono: Canapoil, Canapeutical e Almamaria. Nel 2018, dopo ormai 3 anni di studio e sperimentazione e commercializzazione, riusciamo a realizzare uno stabilimento per il trattamento della pianta che probabilmente, ad oggi, è l’unica struttura in Italia che può gestire dei quantitativi importanti di biomassa a partire dalla piantumazione fino ad arrivare alla separazione dei vari prodotti finiti.

Quali prodotti?
Parliamo della raccolta della parte apicale della pianta, la sua essiccazione e la separazione del fiore, dei semi e dello stelo. Chiaramente poi si interviene anche alla base della pianta, non potendola lasciare sul campo, e qui ancora permane la criticità oggettiva più importante perché purtroppo, non siamo riusciti ancora da soli a valorizzare questo prodotto, ma ci stiamo lavorando e confidiamo che, anche grazie all’aiuto di altre aziende, riusciremo a risolvere anche questo problema. Abbiamo aumentato in maniera importante le coltivazioni e non possiamo permetterci di lasciare sul campo o stivare nei capannoni grandi quantitativi di rotoballe inutilizzati.

Attualmente vi occupate principalmente di CBD e prodotti nutraceutici?
Sì, è corretto. Lo facciamo attraverso i nostri marchi e anche come fornitori di numerosi progetti in white label italiani ed esteri.

Mentre con lo stelo e le rotoballe che progetti avete?
Stiamo valutando varie opzioni. Sappiamo per le tante prove condotte, che i due canali di uscita sono la bioedilizia e la bioplastica, che sono i settori in cui immaginiamo di poter operare. Abbiamo creato già da un anno un gruppo aziendale dedicato che si avvale della preziosa consulenza dell’architetto Sauro Guarnieri e del tecnico Fabrizio Brigliadori. In questo momento stiamo definendo l’elenco dei macchinari necessari al completamento delle linee produttive, poi si tratterà di acquistarli, assemblarli e trovare la struttura idonea per poter iniziare le operazioni. Insieme a Coldiretti stiamo cercando di stimolare le istituzioni a sbloccare i finanziamenti previsti dalla 262 e mai resi disponibili agli agricoltori. La prima fase di studio ha condotto ai potenziali prodotti ottenibili dallo stelo, ora passeremo alla fase dell’industrializzazione per poter utilizzare la parte bassa degli ettari che abbiamo seminato quest’anno.

Quanti ettari avete seminato?
Quest’anno oltre 60 ettari divisi tra l’Umbria e la Romagna, l’azienda infatti ha questa duplice connotazione ed è rappresentata in entrambe le regioni: in Umbria c’è la sede legale con la struttura ricettiva e di divulgazione cannabis clinic and restaurant e in Romagna c’è l’opificio produttivo che si occupa dell’essiccazione della pianta e della lavorazione nelle sue varie parti. Il progetto inoltre è arricchito dalla collaborazione con altre 7 aziende agricole con cui abbiamo stretto accordi di fornitura per altri 50 ettari, con i proprietari ci conosciamo da anni ed insieme a noi rappresentano altre 4 regioni, Toscana, Marche, Lazio e Abruzzo.

Su che varietà vi siete orientati?
Ci siamo orientati su quelle certificate fin dal primo momento cercando di affrontare il discorso come canapa industriale. Le varietà su cui ci siamo concentrati sono la Futura 75 e la Carmagnola. In questi 5 anni ne abbiamo provate molte altre ma queste sono quelle che ci hanno dato i migliori risultati e che quest’anno abbiamo seminato in maniera massiva.

E state anche esportando la canapa che producete in Austria?
Prevalentemente, abbiamo un rapporto che dura da anni con il propietario di quest’azienda, alla quale l’anno scorso abbiamo fornito 25 tonnellate di biomassa, che per quest’anno sono diventate 150 tonnellate. Ma è un rapporto che sta crescendo molto: abbiamo infatti un accordo triennale che prevede 1500 tonnellate nei prossimi due anni: 350 il prossimo e 1000 quello successivo, che si andranno a sommare alle 150 di quest’anno e verranno confermati entro il dicembre di ogni anno.

Per cosa la utilizzano?
Per la produzione di CBD. Noi la forniamo pulita e selezionata. La discriminante è stata quella di mostrare, non a parole, l’esistenza di un’esperienza concreta e la possibilità di poter ampliare le coltivazioni ad un numero di ettari significativo, che è quello che stiamo facendo. Non da sottovalutare anche la struttura già esistente e operativa, così come le macchine per la raccolta, come due barre falcianti e un’altra che stiamo approntando per la nuova stagione, il sistema d’essiccazione importante che ci consente di trattare circa 10 tonnellate al giorno e uno di separazione ancora più imponente che ha una capacità nominale annua di 500 tonnellate.

Sono macchine agricole tradizionali che avete riadattato?
Fondamentalmente sì, noi consideriamo il nostro come un lavoro tipicamente erboristico. Quando altri andavano in Svizzera a vedere come si faceva la cannabis light, noi andavamo in Croazia a vedere gli sviluppi del settore della canapa industriale e le sue lavorazioni. Lì ad oggi risiede la produzione europea più importante, è da lì che abbiamo preso spunto.

Quali sono le prospettive future?
Speriamo di poter rendere l’impianto di Rimini ancora più efficiente e di replicarne almeno un altro nel centro Italia, nei tempi che ci consentiranno di poterlo fare, augurandoci che la normativa italiana si chiarifichi ulteriormente per intervenire sulla pianta a tutto tondo.

Mario Catania

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