Ha 37 anni, è italiana anche se per lavoro ha girato l’Europa ed è di casa a Bruxelles, ed è stata chiamata appositamente per risollevare i destini della canapa industriale europea. Parliamo di Lorenza Romanese, manager che dopo aver ottenuto straordinari risultati in settori dove le lobby hanno il loro peso, come ad esempio quello del petrolio o del vino, da oltre un anno dirige la EIHA, l’associazione europea per la canapa industriale, affrontando i temi caldi del momento per garantire alla canapa europea un nuovo futuro, che si possa coniugare con le nuove tecnologie, l’economia verde e l’ambiente, a partire dal Manifesto della canapa, pubblicato di recente per far capire a tutti la portata del cambiamento che questo vegetale potrebbe rappresentare per l’agricoltura e l’industria del vecchio continente.
La sua visione è che: “Senza fiore non c’è industria della canapa, ma bisogna usare tutta la pianta per avere vantaggi economici e ambientali”. Ma soprattutto che: “Non è possibile”, mi dice, “che il settore della canapa europea abbia preso, per la prima volta, un lobbista un anno e mezzo fa. Per 20 anni la sedia è rimasta vuota e significa che qualcuno sceglieva al posto vostro. Io sto lavorando tantissimo e recupereremo, c’è molto lavoro da fare e c’è ancora tanta improvvisazione”. Mentre sulla sua idea di un aprroccio che comprenda necessariamente la pianta nella sua interezza sottolinea che: “Trovami, in tutto il mondo, un’alta pianta il cui utilizzo è autorizzato in pezzi, e quindi le radici sì, il fiore no e via così. E’ un discorso che non esiste, nemmeno per il papavero, dal quale si ricava l’eroina”.
Sulle opportunità del futuro racconta che: “Nel post Covid-19 abbiamo scritto uno piano, chiamato The real green deal, prendendo, ambito per ambito, le potenzialità della canapa nei vari settori. Siamo nel momento in cui in Europa o si cambia paradigma o rischiamo di finire contro un muro. La canapa può essere un’opportunità incredibile e organizzeremo dei cannabis talk a Bruxelles per attirare l’attenzione invitando la Commissione e il Consiglio europei”.
Il CBD è il mercato del momento?
Le coltivazioni di canapa ad alto valore di CBD, soprattutto per la futura estrazione, in Europa stanno crescendo a livelli esponenziali. Ma, da un punto di vista agronomico e ambientale, il CBD non serve a nulla e inoltre il prezzo del CBD isolato, dalla Cina agli Stati Uniti, sta crollando. Bisogna insistere su un modello intelligente soprattutto in un momento in cui il mercato rischia di saturarsi e non penso ci sia bisogno ancora di nuovi brand. Gli estrattori ad oggi, in tutta Europa, sono 5 e hanno fatto investimenti da milioni di euro. Se vogliamo dei veri benefici per il nostro ambiente il clima e la nostra economia, dobbiamo puntare sul cosiddetto triple use, con i membri più esperti che già lo fanno producendo fibra, seme e foglie per gli estratti. Coltivare piante di canapa con il solo fine di estrarre CBD rischia di essere riduttivo e controproducente.
Mercato già saturo? Non ha senso nascano altri player, magari medio-piccoli? Anche perché è uno dei mercati che funziona meglio nell’immediato…
L’Italia è un caso a sé. Non c’è nessun paese in Europa che si sia focalizzato così tanto sulla cannabis light. Negli altri paesi si stanno facendo investimenti a lungo termine che riguardano le altre filiere, da noi si punta su questo mercato con l’idea che poi sia facile realizzare dei guadagni. Inoltre, tutte le coltivazioni indoor e in serra, non hanno una grande valenza ambientale. In questo senso il mercato è ancora aperto, mentre secondo me, un mercato sul quale non vale la pena insistere è quello del CBD isolato: i prezzi sono ormai molto bassi e poi la Cina può produrre ma non consumare, quindi esportano tutta la produzione. In America l’assetto normativo non è chiaro e ci sono già diverse produzioni. In Europa al CBD isolato ci crediamo di meno anche come concetto, i membri di EIHA che producono oli con CBD in genere lo fanno full spectrum, utilizzando il fitocomplesso, anche perché il consumatore europeo inizia ad essere più informato.
Rimane aperto l’utilizzo in cosmetica…
La cosmetica come mercato funziona bene. Per quello che riguarda l’uso dei cannabinoidi ormai si utilizzano le foglie ed è un modello che sta dando ottimi risultati. Forse perché ci sono anche meno aziende, quindi c’è più mercato per una questione di numeri. Io uso diversi prodotti e vedo ormai tante persone soddisfatte nell’uso di questi prodotti, anche di quelli che si creano utilizzando l’olio di semi di canapa. Ad oggi è ancora un mercato di nicchia, con prezzi alti, però funziona. Anche qui secondo me il CBD isolato, che veniva utilizzato prima che fosse autorizzato l’uso delle foglie, ha meno effetti di quando si utilizza tutta la pianta.
In Italia, tolta la filiera della bioediliza e quella alimentare e il mercato che comprende cannabis light e CBD, non c’è altro, perché?
Ci sono diverse ragioni. Io sono entrata nel settore un anno e mezzo fa. E andando a studiare i vari dossier mi sono accorta che questa situazione deriva dal fatto che questo settore è poco professionale. Io ho lavorato nei settori del petrolio e del vino, che è anche troppo regolato a partire dalla vite, passando per quanti piedi di vigna piantare per ettaro secondo regolamento europeo, per arrivare al carattere tipografico dell’etichetta. In questo settore ci sono invece molte chiacchiere e pochi progetti seri. Il fiore andrebbe usato come un veicolo per indirizzare investimenti in altre direzioni: la bellezza e la forza della canapa è nella pianta in sé, se la prendiamo a pezzi rischiamo di diluire la sua bellezza.
Perché non facciamo bioplastica?
Oltre ai discorsi su ricerca e investimenti c’è un motivo molto semplice: la fibra di canapa non è iscritta nell’elenco delle sostanze utilizzabili. Perché nessuno l’ha fatta inserire? Non lo so, lo stiamo facendo noi con una richiesta all’EFSA, perché si parte dalla norma e poi si sviluppa il business. Da quello che so in Europa c’è solo un’azienda finlandese che produce bioplastica di canapa per il settore della valigeria. Se riusciamo a mettere a posto il quadro normativo le bioplastiche sono il futuro e saranno necessari investimenti nella ricerca.
E sul tessile?
Il tessile di canapa ha costi elevati e ci sono anche delle problematiche sui processi industriali necessari. Uno di questi problemi è la cosiddetta cotonizzazione e cioè un procedimento per renderla più soffice. Oggi è un’operazione che viene fatta in Cina con sostanze tossiche complicate da smaltire. Dovremmo probabilmente fare un passo indietro e concentrarsi sulla ricerca. Ad esempio siamo in contatto con un’azienda che potrebbe farlo utilizzando i funghi, ma servono dei capitali per fare in modo che questo accada.
E’ lo stesso problema che abbiamo in Italia, dove i vari progetti per riproporre una moderna filiera tessile si sono arenti su processi come la macerazione, ad esempio; però, quello che penso io, è che avremmo la possibilità di unire il made in Italy nella moda a una nostra produzione tessile e soprattutto, se non lo facciamo adesso, non lo faremo mai più.
Sono d’accordo, è tristemente vero: o adesso o mai più ed è anche per questo motivo che abbiamo pubblicato il Manifesto della canapa. Secondo me l’Italia dovrebbe concentrarsi sul food. Facciamo l’olio di oliva più pregiato al mondo, possiamo farlo anche con la canapa. Dobbiamo partire da ciò che sappiamo già fare.
Avete creato un consorzio per permettere alle aziende di presentare domanda per i Novel Food con il CBD in forma associata, visti i costi alti. Secondo Richard Rose, che oggi vive in Italia, c’è il rischio che la EIHA crei un monopolio, cosa risponde?
Credo sia molto facile parlare senza avere a che fare con l’Unione Europea e con i direttorati del Novel Food. E’ ovvio che la soluzione migliore sarebbe stata quella che la canapa e i suoi derivati non fossero inseriti nel catalogo dei Novel Food. Ci abbiamo provato e riprovato, presentando 30 evidenze che lo dimostravano. Ma c’è bisogno di fare una distinzione: noi pensiamo che ci siano dei livelli naturali di cannabionidi che devono essere comunque considerati come cibo tradizionale. Non si può salvare tutto e su qualcosa dovremo cedere: ad esempio una soluzione potrebbe essere quella di considerare Novel Food gli isolati, i cibi arricchiti e i cibi OGM. Quindi si potranno prevedere delle soglie sotto le quali non ci sarà bisogno di questo inquadramento per il cibo, aprendo il mercato per le aziende medio-piccole. Detto questo sappiamo che oggi una application per Novel Food costa tra i 350 e i 500mila euro, se non avessimo fatto il consorzio, nessuno sarebbe in grado di fare domanda, o meglio, sarebbero arrivate aziende americane e australiane ad impadronirsi nel mercato.
Ad oggi in Europa non ci sono linee guida nemmeno per quanto riguarda il THC sugli alimenti, è corretto?
Sì, è corretto, e in ogni stato c’è una legislazione differente. Quello che chiediamo sono 10 ppm (parti per milione, ndr) di THC negli alimenti. A luglio 2019, abbiamo incontrato l’Autorità per la sicurezza alimentare (l’EFSA, nda) di Parma per una riunione, nella quale abbiamo cercato di spiegare le ragioni scientifiche per le quali fissare 5 ppm di THC negli alimenti non è sostenibile, tenendo anche in considerazione che l’EFSA tollera livelli di codeina e morfina molto maggiori rispetto ai residui di THC. L’EFSA ha basato le proprie linee guida sul THC negli alimenti su uno studio datato, basato oltretutto su 11 persone, davvero poche e con una metodologia dubbia. Per questo stiamo facendo degli studi tossicologici molto più ampi. Il problema è che gli stati membri stanno già discutendo queste linee guida, che saranno probabilmente adottate nel 2021: a questo proposito a giugno abbiamo scritto ai membri dello SCOPAFF (Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feed Section Phytopharmaceuticals).
Sul THC allo 0,3% ci siamo quasi, giusto?
Il limite in Europa era 0,5%, sceso poi allo 0,3%. Nel 1999, la Francia ha fissato arbitrariamente il livello di THC delle sementi allo 0.2%, lasciando fuori numerose varietà italiane ed europee. Chiediamo questo innalzamento per essere allineati a livello internazionale (è ad esempio lo stesso limite utilizzato in USA, nda) per avere più varietà e un patrimonio genetico diverso e perché ci sarebbe più possibilità di avere fibra lunga. L’emendamento è passato al Parlamento Europeo, ora per avere una posizione unitaria bisogna aspettare il voto in plenaria, rallentato dal Covid-19. Però credo che sia una misura che abbia ampie possibilità di passare. A quel punto gli stati membri e quindi anche l’Italia, dovranno ratificare la votazione, con un pacchetto di emendamenti sulla politica agricola comune. Tra quelli sulla canapa, oltre al limite dello 0,3%, c’è anche l’istituzione di un osservatorio per la canapa pagato dall’Europa, vogliamo le indicazioni IGP e DOP, vogliamo i fondi per la fitorimediazione o per arginare i margini dei fiumi. Ci sarà bisogno di tutto il supporto possibile in ogni paese europeo per fare in modo che il pacchetto passi.
Mario Catania