L’EMCDDA, l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, sta valutando lo status legale e commerciale del CBD e dei prodotti a base di canapa in Europa e raccontano l’operazione in un nuovo rapporto.
E’ stato pubblicato nei giorni scorsi e descrive in dettaglio i risultati di uno studio che ha preso il via nel 2018 e che mirava a fornire un quadro della vendita aperta di prodotti a basso contenuto di THC in Europa.
“Gli obiettivi specifici erano di identificare ed esplorare ulteriormente i tipi di prodotti disponibili e la gamma di punti vendita, i profili degli utenti, i danni associati e le risposte prese nei diversi paesi dell’UE”, hanno scritto gli autori, partendo dal fatto che: “Il rapporto evidenzia le sfide che devono affrontare sia i responsabili politici sia coloro che desiderano fornire prodotti a basso contenuto di THC per stabilire lo status legale dei prodotti e quali quadri normativi si applicano alla loro vendita”.
L’Osservatorio ha preso nota di diverse questioni relative alla commercializzazione e alla promozione di alcuni prodotti CBD in tutta Europa, tra cui:
– Etichettatura inadeguata dei prodotti.
– Contenuto incoerente del prodotto.
– Qualità del prodotto potenzialmente scarsa.
– Mancanza di riconoscimento dei limiti, o sopravvalutazione delle prove relative all’efficacia dei prodotti CBD per uso terapeutico.
– Mancanza di informazioni sulla sicurezza o di informazioni su potenziali danni e possibili controindicazioni.
– Gli autori hanno riconosciuto diversi sviluppi normativi in Europa dal lancio della ricerca nel 2018. Tra questi la sentenza storica emessa a novembre dal più alto tribunale dell’Unione Europea, sul divieto della CBD in Francia e la decisione della Commissione Europea di fare marcia indietro rispetto alla sua decisione di classificare il CBD come stupefacente.
L’Ossevatorio ha confermato che la sentenza della Corte di Giustizia sul caso Kanavape ha avuto implicazioni per l’interpretazione della legge dell’UE connessa alla produzione e alla commercializzazione di prodotti a basso contenuto di THC della cannabis. Queste implicazioni, “potrebbero essere affrontate nel prossimo futuro”. Sono state discusse anche le preoccupazioni relative al contenuto di tracce di THC in vari prodotti a base di cannabis, comprese le sfide della definizione di limiti appropriati di THC attraverso la legislazione nazionale.
Il Centro ha notato che la percentuale di THC può essere misurata e riferita a diversi livelli, tra cui:
– Il livello di THC che una certa varietà di pianta di cannabis produce di solito.
– I livelli di THC che si trovano nelle diverse parti della pianta, il che serve a distinguere quali parti della pianta possono essere usate per scopi industriali senza test approfonditi, o cosa potrebbe essere utile per dirottare verso l’estrazione illegale di THC.
– Il livello di THC trovato negli estratti, che può essere usato per indicare se un estratto ha proprietà inebrianti o meno.
– Il livello di THC trovato nel prodotto finale di consumo, per esempio un prodotto commestibile.
– L’agenzia ha notato che, mentre è più facile per un coltivatore o un trasformatore testare una particolare pianta o estrarre e controllare il THC allo stadio di ingrediente, il livello di THC nel prodotto finale è “più rilevante” per la sicurezza del consumatore.
“I risultati qui presentati saranno necessariamente incompleti e devono essere visti come un’introduzione alla situazione e alle questioni pertinenti, oltre che come una piattaforma per ulteriori ricerche e monitoraggi”, conclude il rapporto.
Redazione di Canapaindustriale.it