Pubblichiamo qui di seguito un articolo a firma del dottor Giampaolo Grassi, già primo ricercatore del Crea-Cin ed esperto di canapa, preceduto da un comunicato di Federcanapa. Il tema, recente, è quello della pubblicazione da parte del ministero della Salute delle linee guida per la coltivazione di canapa industriale da sementi certificate di varietà consentite dalla normativa europea, per la fornitura di foglie e infiorescenze a officine farmaceutiche autorizzate dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) alla produzione di principi attivi farmaceutici (API – Active Pharmaceutical Ingredient).
Sul sito del Ministero della Salute è stato pubblicato nei giorni scorsi l’iter autorizzativo per la “produzione di canapa da sementi certificate”, che coinvolge attualmente per quanto ne sappiamo soltanto 2 operatori del settore. Intendiamo chiarire che tale autorizzazione riguarda unicamente la destinazione farmaceutica, ma non la coltivazione e il conferimento della pianta o di parti di essa per tutte le altre destinazioni previste dalla legge 242/2016, quali alimenti, cosmetici o semilavorati per altre industrie. In tutti questi casi vige il principio della libera coltivazione della canapa, come sancito dall’art.2, comma 1 della legge 242. Ad ogni modo, per evitare il protrarsi di equivoci e incertezze nell’interpretazione della legge, chiediamo al Presidente della Commissione Agricoltura della Camera, Filippo Gallinella, di dare attuazione al più presto alla risoluzione unitaria approvata dalla sua Commissione il 14 novembre 2019 che impegna il Governo “a disciplinare la cessione di biomassa essiccata, trinciata o pellettizzata composta dall’intera pianta di canapa o di sue parti, identificabili o che, nel complesso, ne consentono l’identificabilità nello stato stabilizzato di presentazione – biomassa essiccata, trinciata o pellettizzata con tenore di THC non eccedente lo 0,2 per cento – per la fornitura ad imprese attive nei settori quali farmaceutico, alimentare, cosmetico e manifatturiero nel rispetto della disciplina vigente in ciascun settore”.
Dopo due anni di discussione parlamentare, numerose proposte avanzate da gran parte dei diversi schieramenti politici, ampie consultazioni davanti alle Commissioni, che hanno visto sfilare anche il passionario nostalgico della canapa tessile, è stata approvata la 242/2016, “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. Ora, il potere forte del Ministero della Salute, con la scusa di regolamentare e portare la tanto agognata chiarezza che tutti auspicano, con una semplice linea guida ha restaurato la 309/90, vecchio stile. Si tratta della reintroduzione della: Autorizzazione alla coltivazione di piante di canapa da sementi certificate.
La scusa è quella di rendere disponibile canapa industriale espressamente destinata a rifornire il settore farmaceutico (per l’estrazione di principi attivi, ndr). Sarebbe stato tutto accettabile e condivisibile, se al posto di autorizzare la coltivazione delle varietà di canapa industriale certificate, quelle elencate nella lista Europea delle varietà ammesse ai contributi PAC e che rispettano il limite massimo dello 0,2% di THC, fossero state ammesse tutte le varietà di canapa il cui contenuto di THC non avesse superato l’1% (così come avviene nel paese più vicino e nostro principale concorrente per i prodotti di canapa, che è la Svizzera).
Io mi ero illuso che un coltivatore di canapa, con l’approvazione della 242/2016 finalmente avesse potuto dormire sonni tranquilli quando avesse rispettato le poche e chiare regole introdotte con la nuova legge. Purtroppo sono ancora numerosi i procedimenti penali aperti e che sono partiti dall’attività giudiziaria motivata dall’infrazione di qualche articolo della legge 309/90, senza considerare che l’attività agricola o ad essa correlata, fosse suffragata dalle disposizioni della 242/2016.
Siamo sempre al punto di partenza. Quando nel 1995 sentii riparlare di ricerca sulla canapa industriale, emerse chiaramente che il punto più critico e più difficile da rimuovere era quello della confusione che le Forze dell’Ordine manifestavano sulla distinzione tra canapa da fibra (industriale) e canapa da droga. Nel 2014, con la revisione della 309/90 (versione Fini – Giovanardi) all’art.26 si era introdotta la condizione che non serviva l’autorizzazione per la coltivazione delle varietà ci canapa certificate. Stessa condizione poi ribadita con la nuova legge sulla canapa 242/2016. Ora, con questo semplice documento amministrativo, scritto da un paio di funzionari ministeriali (intoccabili), si ritorna ad aumentare la confusione e verosimilmente si avranno ancora maggiori occasioni di intervento da parte degli zelanti tutori dell’Ordine che potranno attivare provvedimenti associati alla 309/90, su una banale coltivazione di canapa industriale.
Cercando con tutta la buona volontà di interpretare al meglio questo maldestro tentativo di regolamentazione perpetrato dal Ministero della Salute, si rileva che l’unico segnale positivo è quello dell’’introduzione delle Good Agricultural and Collection Practices (GACP) per un prodotto che deve essere destinato all’impiego farmaceutico. Va detto, però, che non è usuale che il Ministero pretenda per la produzione di una pianta ad uso agricolo che si applichino queste regole il cui principale effetto è quello di aggravare il costo di produzione e non rendono più competitive le aziende italiane. Neppure con il tabacco si è arrivati a tanto, il cui prodotto viene inalato e perciò entra nel circolo sanguigno direttamente e ancora peggio, nel caso del tabacco da fiuto o da masticare, dove manca la combustione che sterilizza in parte il prodotto, l’utilizzatore è posto a diretto contatto con tutte le sostanze chimiche o microbiologiche che la pianta trasporta con sé.
Sarebbe stato auspicabile che a livello europeo si fosse presa questa iniziativa, così da mettere almeno tutte le aziende del nostro continente nelle medesime condizioni di competizione, invece noi ci accogliamo dei costi in più, senza avere i vantaggi che deriverebbero dall’impiego di varietà più potenti. In pratica, con questo provvedimento, se verrà applicato come è scritto, le aziende italiane saranno autorizzate a produrre biomassa di canapa che già ora nessuno richiede più perché a troppo basso titolo di cannabinoidi. Immaginiamo in seguito, quando ai costi agricoli si aggiungeranno i costi di sorveglianza, registrazione, applicazione delle norme GACP, l’assunzione di personale specializzato e i trasporti speciali, la canapa italiana farà la stessa fine di quella tessile e si estinguerà.
Giampaolo Grassi – Canvasalus Srl