E’ notizia recente che il Ministero della Salute ha pubblicato le linee guida per la destinazione farmaceutica della canapa sativa L., peraltro da tempo annunciate e di fatto già applicate in occasione delle autorizzazioni già concesse alle due aziende sinora autorizzate.
Secondo tali linee guida viene prevista una duplice autorizzazione a carico, rispettivamente, dell’azienda Agricola, da un lato, e dall’officina farmaceutica, dall’altro.
Le aziende agricole, in possesso dei requisiti dimensionali indicati (es. Rispetto GACP, disponibilità di almeno 10 ettari ed almeno 4 dipendenti) devono essere autorizzate dall’Ufficio Centrale Stupefacenti alla coltivazione e cessione della canapa che pertanto viene qualificata come starting material per la successiva trasformazione in grado farmaceutico.
A loro volta le officine farmaceutiche, autorizzate da AIFA alla produzione di cannabinoidi in grado pharma, devono essere autorizzate dal medesimo ufficio per l’approvigionamento della canapa dalle aziende agricole. Ne consegue che le due autorizzazioni debbano necessariamente coesistere, in quanto da un lato si autorizza la coltivazione e cessione, dall’altro l’approvigionamento.
Va da sè che la canapa sativa in questione (contenente Fiori e foglie) sia qualificata come stupefacente e, come tale, soggetta alle disposizioni del DPR 309/1990. Sino a qui la procedura appare formalmente corretta per il semplice motivo che, come noto, la destinazione farmaceutica non rientra tra le destinazioni tassative previste dall’art. 2, c. 2 della L. n. 242/2016 sulla canapa industriale.
Altrettanto conforme alla disciplina vigente risulta la previsione secondo cui solo le Officine farmaceutiche autorizzate da AIFA possano approvigionarsi della canapa per destinazione farmaceutica per evidenti ragioni di garantire, attraverso il rispetto delle GMP, i dovuti standard qualitativi richiesti per il settore pharma.
Molti dubbi, a mio parere, sussistono sulla legittimità della parte che subordina anche la coltivazione di varietà certificate di canapa sativa L. alla preventiva autorizzazione da parte dell’UCS. Evidente infatti il contrasto con le previsioni dell’art. 1 della L. n. 242/2016, da un lato, e con la normative comunitaria dall’altro trattandosi di pura attività agricola.
Sotto un diverso profile ritengo poi che debbano essere consentite alcune osservazioni e precisazioni che, tra l’altro sono state già evidenziate dalle associazioni di categoria.
In primo luogo il meccanismo previsto di fatto sembra limitare la possibilità di estrarre cannabinoidi in grado farmaceutico alle sole Officine farmaceutiche esistenti. Ancora più singolare risulta la circostanza per cui, poco dopo la pubblicazione, sia stata ventilata l’ipotesi di indicare elenchi di Officine farmaceutiche che, a priori, sarebbero potenzialmente autorizzabili. Ciò sembrerebbe determinare una evidente lesione delle elementari regole antitrust nei confronti di quelle aziende che, munendosi dei dovuti requisiti, volessero essere riconosciute come nuove Officine farmaceutiche.
In secondo luogo, se la preventiva autorizzazione da parte dell’UCS appare effettivamente necessaria, poiché la destinazione farmaceutica non è compresa tra le finalità tassative elencate dall’art. 2, lo stesso non può ritenersi applicabile de plano anche alle destinazioni che invece sono disciplinate e previste dalla legge. E questo per almeno 3 ordini di motivi:
– Un provvedimento ministeriale non può derogare una legge dello Stato;
– Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 30475/2018 hanno chiarito come cannabis e derivati (Fiori, foglie, olio e resine) rientrino nella disciplina del DPR 309/1990 ad eccezione che per le destinazioni tassative di cui all’art. 2, c. 2 della L. n. 242/2016 e salva l’efficacia drogante in concreto secondo il principio di offensività (su cui la giurisprudenza post-sentenza si sta assestando nel riconoscere la soglia dell’efficacia drogante nello 0,5% da un lato e nei 25 mg per singola assunzione quale dose media singola);
– In caso contrario si avrebbe una violazione degli art. 34 e 36 del TFUE in quanto l’Italia avrebbe posto in essere una evidente restrizione quantitativa (o misura di effetto equivalente) all’organizzazione del mercato commune della canapa, come ampiamente chiarito dalle sentenza della Corte di Giustizia Europea dello scorso novembre.
Per cui, alla luce di quanto sopra, le linee guida adottate dal Ministero della Salute sono sicuramente valide ed efficaci per la destinazione farmaceutica, ma non possono essere estese tout court alle altre destinazioni di legge, le quali seguiranno le proprie normative di settore (alimentare, cosmetico, chimico/industriale ecc.) e per le quali, tra l’altro, è pendente un intenso lavoro da parte delle Istituzioni Europee al fine di allineare il diritto comunitario alle indicazioni interpretative fornite dalla Corte di Giustizia.
Purtroppo tale linea sembra ignorata dai Ministeri competenti, come dimostra la recente vicenda dello schema di decreto sulle piante officinali. In conclusione bene ma non benissimo in quanto l’esperienza ci insegna che vi è il forte rischio che tale impostazione comporti ulteriori limiti, restrizioni e repressioni verso una filiera che invece, a livello europeo, sta ricevendo una grande sostegno ed impulso.
Basti pensare che la Francia, che aveva una normativa molto restrittiva analoga a quella italiana ha già recepito le indicazioni della Corte di Giustizia e consentirà, da un lato, la libera produzione e cessione dell’intera pianta di canapa (Fiori e foglie incluse) per l’ottenimento di prodotti al CBD e, dall’altro, l’importazione di derivati sino al 1% di THC legalmente prodotti in altri Stati Membri a livello europeo (es. in Repubblica Ceca).
Qualora l’Italia non si adegui al trend europeo, si correrà il rischio di avere, anche per la canapa, una Europa a doppia velocità con Paesi con norme chiare e liberali (Francia, Germania, Austria, Benelux, ma anche Croazia, Lituania e Repubblica Ceca) ed altri (come l’Italia e la Spagna) che invece vorrebbero continuare a limitare la filiera agli ormai anacronistici semi e fibra.
Quale è la soluzione? Semplicemente riporre le anacronistiche intepretazioni restrittive che sono ormai superate sia culturalmente che giuridicamente e regolamentare il settore secondo le indicazioni della Corte di Giustizia a livello europeo. Nello specifico ritengo sia opportuno ricordare che la XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati aveva emesso una risoluzione unitaria in data 14.11.2019 (con un anno di anticipo rispetto alla sentenza della Corte) con cui “impegnava il Governo a disciplinare la cessione di biomassa essiccata, trinciata o pellettizzata composta dall’intera pianta di canapa o di sue parti, identificabili o che, nel complesso, ne consentono l’identificabilità nello stato stabilizzato di presentazione –biomassa essiccata, trinciata o pellettizzata con tenore di THC non eccedente lo 0,2 per cento – per la fornitura ad imprese attive nei settori quali farmaceutico, alimentare, cosmetico e manifatturiero nel rispetto della disciplina vigente in ciascun settore”.
Tra l’altro la stessa risoluzione è quella che ha istituito il tavolo di filiera presso il MIPAAF, sede naturale ove dare attuazione a tali previsioni adottando norme in linea con gli altri Stati a livello europeo. Altrimenti ci troveremo a subire le importazioni di quelli stessi prodotti che l’Italia si ostina ad ostacolare con l’unico pregiudizio a danni della produzione italiana. Cui prodest?
Avvocato Giacomo Bulleri