Cannabis light, il CBD e i suoi utilizzi, la polemica scatenata dall’inserimento della canapa nell’elenco delle piante officinali che aveva portato alla durissima reazione di Federcanapa e Canapa Sativa Italia, e ancora il tavolo di filiera, il Green New Deal e lo sviluppo del settore: tutte tematiche fondamentali per lo sviluppo della canapicoltura italiana, con tanti nodi da sciogliere e un futuro da progettare. Ne abbiamo chiesto conto a Filippo Gallinella, deputato del M5S e presidente della Commissione Agricoltura.
La discussione sul decreto relativo alle piante officinali in cui sarebbe stata inserita anche la canapa normando fiori e foglie sotto al testo unico degli stupefacenti è stata stoppata. Riprenderà? Cosa dobbiamo aspettarci?
Che riprenda, quanto prima, il suo percorso. Del resto, il decreto sulle piante officinali è frutto di anni di lavoro da parte delle strutture ministeriali e dagli operatori del settore è molto atteso per la sua importanza. Parliamo di un comparto di enorme interesse per l’Italia e in continua crescita.
Si tratta di un testo che definisce l’elenco delle specie, la disciplina per la coltivazione e la gestione economica di tutte le piante officinali, incluse quelle “spontanee”, compresa la formazione necessaria degli operatori nonché il loro impiego come farmaco o come integratore.
In merito alla Cannabis Sativa “L” – dove “L” sta per Linneo e non per Light, che è un’invenzione puramente commerciale – il suo inserimento all’interno del decreto non fa altro che considerarla pianta officinale, rimandando per gli usi alle specifiche discipline di settore. Ovvero, per la coltivazione ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive ad uso medico si rimanda alle regole definite dal DPR 309/90, ribadendo la necessità dell’autorizzazione da parte del ministero della Salute. Per l’uso alimentare, si rimanda al regolamento Ue 178/2002 così come per la cosmetica si rimanda alla norma di settore, ovvero il Regolamento Ue 1223/2009. In pratica, si ribadisce quello già noto a tutti, in maniera peraltro inevitabilmente pleonastica.
In Francia la Corte Costituzionale ha ribadito i principi enunciati dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea secondo la quale i prodotti a base di CBD degli Stati membri (infiorescenze comprese) devono poter circolare nell’Unione Europea. Come si pone l’Italia?
Non conosco la sentenza francese ma conosco quella comunitaria che, chiariamo, nasce da una controversia sulla commercializzazione di una sigaretta elettronica contenente un liquido con al cui interno cannabidiolo (CBD). Dalla sentenza risulta essere prodotto in Repubblica Ceca, estratto dalla pianta di canapa sativa nella sua interezza e poi importato e confezionato in Francia. I ricorrenti hanno impegnato il divieto di commercializzazione del CBD ricavato in questo modo. Conclude che non essendo il CBD uno stupefacente, la sua commercializzazione non può essere vietata secondo gli artt. 34-36 del TFUE. Ribadiamo che la sentenza nulla dice dei metodi di produzione o estrazione che rimangono competenza degli Stati Membri, ma si concentra solo sulla commercializzazione.
Ripeto, l’Italia ha disciplinato la Canapa Sativa Lineeo tramite la legge 242/2016 per quanto concerne la coltivazione; tramite la 309/1990 per l’uso farmaceutico e tramite il Regolamento Ue 1223/2009 per i cosmetici.
La XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati aveva emesso una risoluzione unitaria in data 14.11.2019 (con un anno di anticipo rispetto alla sentenza della Corte) con cui “impegnava il Governo a disciplinare la cessione di biomassa essiccata, trinciata o pellettizzata composta dall’intera pianta di canapa o di sue parti, identificabili o che, nel complesso, ne consentono l’identificabilità nello stato stabilizzato di presentazione –biomassa essiccata, trinciata o pellettizzata con tenore di THC non eccedente lo 0,2 per cento – per la fornitura ad imprese attive nei settori quali farmaceutico, alimentare, cosmetico e manifatturiero nel rispetto della disciplina vigente in ciascun settore”. Ci sono novità in questo senso?
Si tratta di una risoluzione fortemente voluta dal MoVimento 5 Stelle, tant’è che è a prima firma della collega Chiara Gagnarli (capogruppo M5S in commissione Agricoltura a Montecitorio). Il Governo ha dato seguito a molti degli impegni inseriti nell’atto approvato dalla Camera, ivi incluso l’inserimento della cannabis sativa tra le piante officinali.
In merito alla cessione della biomassa di canapa contenente principi attivi, il Ministero della Salute ha reso pubbliche le procedure con le quali queste possono essere conferite alle officine farmaceutiche autorizzate. Ricordiamo, infatti, che il THC è una sostanza stupefacente e foglie, fiori e resine devono essere sottoposte a controllo, come ribadito anche dall’Onu nell’ultima sessione di inizio dicembre 2020 quando è stata accolta la raccomandazione dell’Oms di rimuovere la cannabis con finalità terapeutica dalla Tabella IV della Convenzione Unica del 1961, dove era elencata insieme a sostanze come eroina e cocaina. Al contempo, il CBD è riconosciuto come sostanza farmacologicamente attiva e, infatti, nel 2008 sono stati registrati farmaci che la utilizzano nonché, recentemente, sono stati autorizzati due farmaci come il Sativex e l’Epidiolex. L’industria cosmetica utilizza il CBD di natura sintetica perché non è autorizzata ad estrarlo: compito che, sino a quando non cambierà la norma, è di esclusiva competenza delle officine farmaceutiche.
Il ministero della Salute ha pubblicato le linee guida per la coltivazione di infiorescenze di canapa industriale da cedere alle officine farmaceutiche autorizzate per l’estrazione e la creazione di prodotti pharma. Ma come si devono comportare le aziende che vogliono produrre CBD per scopi alimentari o cosmetici?
Basta far riferimento alla normativa di settore. Nello specifico, il Regolamento Ue 1223/2009 per i cosmetici e il Regolamento Ue 178/2002 sul Novel Food per l’uso alimentare. In quest’ultimo caso, nessuno in Italia ha attivato la procedura di richiesta presso Efsa, dalle informazioni in mio possesso.
Arriverà finalmente una norma definitiva per il settore della cannabis light o ci troveremo a subire le importazioni di quelli stessi prodotti che l’Italia si ostina ad ostacolare?
Come detto in precedenza, la cannabis light è una invenzione commerciale. L’Italia ostacola i prodotti illegali come è giusto che sia e ciò accade in tutti i settori. Ripeto qualora non fosse ancora chiaro: per uso farmaceutico, cosmetico e alimentare le norme esistono già. Rimangono aperti i temi dell’uso ludico e auto-terapeutico, attualmente oggetto di dibattito sia dentro che fuori il Parlamento: come gruppo politico M5S abbiamo una proposta di legge in tal senso.
Quali saranno i prossimi passi previsti al tavolo di filiera della canapa industriale?
Ho partecipato all’ultima plenaria. Ho percepito che non vi è ancora una voce univoca sulle finalità del tavolo. Per questo, tutti gli attori dovranno produrre un documento indicando le priorità. Allo stesso tempo, è emerso un forte interesse per la produzione di CBD e di infiorescenze. Restiamo in attesa del verbale.
Perché in diversi paesi del mondo, Europa compresa, le filiere della canapa sono finanziate a livello governativo puntando sulla sostenibilità e sul Green New Deal, mentre in Italia la gran parte dei progetti viene portata avanti dal basso o dai singoli imprenditori? Non c’è un interesse istituzionale per fare in modo che la canapa italiana torni ai fasti che meriterebbe ripristinando filiere tradizionali come quella del tessile o della carta e creandone di nuove ad esempio per la produzione di bioplastiche?
Mi permetto di dissentire. Da pochi anni l’Italia ha una sua legge sulla coltivazione di canapa. Nell’ultima Legge di Bilancio abbiamo fortemente voluto, come MoVimento 5 Stelle, lo stanziamento di 10 milioni di euro per le filiere cosiddette minori, tra cui quella della canapa che beneficerà di parte di questi fondi: il decreto attuativo è in dirittura d’arrivo. Il Ministero della Salute ha messo a disposizione le procedure per fini farmacologici e basta presentare un contratto con una officina farmaceutica. Su ciò mi farò promotore con le associazioni agricole affinché si predispongano contratti collettivi che coinvolgano i coltivatori. Inoltre, nel 2014, una intesa tra i Ministeri della Difesa, Salute e Agricoltura ha lanciato un progetto pilota per la produzione di infiorescenze presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, conclusosi con successo nel 2016. Da allora sono stati prodotti circa 300 kg di FM2 per anno. A dicembre 2017, poi, il Parlamento ha stanziato 1,6 milioni di euro per estendere la produzione nazionale fino a 500 kg prevedendo un secondo prodotto denominato FM19. Alla luce di una richiesta di mercato sempre più in crescita, nella Legge di Bilancio 2019, abbiamo previsto l’eventualità di fare contratti anche con privati su specie specifiche ad alto livello di THC: ho personalmente sollecitato il Ministero della Difesa ad attivarsi in tal senso.
Perché il Recovery plan è stato scritto per puntare all’agricoltura sostenibile ma non si fa cenno alla canapa che la coltura agricola di rotazione per eccellenza, sostenibile e promossa dai Paesi UE dell’Est Europa che ad esempio la trasformano in biodiesel, quindi un biocarburante double-counting che riceve incentivi?
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non c’è la canapa proprio come non c’è il grano, non c’è l’olivo, non c’è il pomodoro e qualsiasi altra pianta. Il PNRR, infatti, mette a disposizione delle risorse finalizzate alla realizzazione di progetti per il raggiungimento di determinati obiettivi.
Il comparto della canapa potrà accedere, se presenterà un progetto ritenuto valido, alle risorse per i contratti di filiera, inseriti nel Fondo Complementare e pari a ben 1,2 miliardi di euro. Si tratta di un’ottima occasione per l’innovazione e l’implementazione del settore che si dovrebbe essere in grado di cogliere e che mi auguro gli operatori non si faranno sfuggire.
Mario Catania