La canapa per ripulire i terreni resi tossici dall’estrazione mineraria

Canapa e fitorisanamento //
In questo articolo
1 / L'eredità nefasta delle miniere del Gauteng in Sudafrica
2 / Le proprietà della canapa nella fitorimediazione come iper-accumulatore per ripulire i terreni
3 / Dall'Italia all'estero: gli esempi precedenti e la possibilità di estrarre i metalli pesanti dalla pianta

E’ la doppia rivincita della canapa: da unica pianta resa illegale nella storia dell’umanità, a una delle migliori risorse eco-compatibili per affrontare i problemi di inquinamento e tra le le migliori piante in grado di porre riparo ai disastri ambientali scellerati causati proprio dall’uomo.

L’ultimo esempio delle ottime doti di fitorimediazione di questo vegetale, e cioè la sua capacità di assorbire i metalli pesanti dal terreno e di stoccarli al suo interno, arriva dal Sudafrica, dove Tiago Campbell, studente del master in scienze ambientali dell’Università di Witwatersrand che sta facendo ricerche sulla canapa come strumento per ripulire il cuore industriale avvelenato del paese, sottolineando che: “La scala di tossicità dell’ambiente non è stata veramente compresa”.

L’eredità nefasta delle miniere del Gauteng in Sudafrica

L’eredità di più di 130 anni di pratiche minerarie tanto redditizie quanto irresponsabili è stata raccontata da Mariette Liefferink, amministratore delegato della Federation for a Sustainable Environment alla testata Mail & Guardian spiegando che: “Ci sono almeno 380 aree di residui minerari nel Gauteng che contengono livelli elevati di metalli tossici e radioattivi che includono alte concentrazioni di arsenico, cadmio, cobalto, rame, zinco e uranio”. Secondo l’esperta, giusto per fare un esempio, i livelli di uranio del lago Robinson di Randfontein sono 40mila volte al di sopra dei tassi normali.

Le proprietà della canapa nella fitorimediazione come iper-accumulatore per ripulire i terreni

canapa ripulire miniere

Mine residue areas near Johannesburg. Guy Trangoš; GDARD Mine Residue Areas, 2012; 20m contour.

Tiago Campbell ha poi spiegato che la canapa è conosciuta per le sue proprietà di fitorimediazione, che le permettono di ripulire i terreni – e potenzialmente anche le acque – e che in questo è aiutata da un rapido tasso di crescita superato solo dal bambù, un’alta tolleranza allo stress e un sistema di radici di 2,5 metri che penetrano in profondità, oltre al fatto che come coltivazione è in grado di “sequestrare” 22 tonnellate di anidride carbonica per ettaro, superando qualsiasi foresta o coltura commerciale.

Non solo, perché “come iper-accumulatore di metalli pesanti si distingue dai suoi pari di fitorimedio che includono senape indiana, giacinto d’acqua, erba medica e girasole, dal suo potenziale di creare mercati secondari“, dice Campbell.

Le preoccupazioni per la salute per la cannabis raccolta con metalli pesanti la escluderebbero automaticamente dal settore medico o ricreativo, ma la ricerca di Campbell suggerisce che il metallo pesante “viene estratto in quantità non tossiche o pericolose per gli esseri umani e che ci danno la possibilità di bloccare quei metalli pesanti in prodotti fatti da quelle piante”.

Dall’Italia all’estero: gli esempi precedenti e la possibilità di estrarre i metalli pesanti dalla pianta

Una possibilità, quella di utilizzare la canapa usata per le bonifiche per dar vita a prodotti no-food, che è stata esplorata di recente anche da due diversi studi italiani, andando oltre la potenzialità del semplice utilizzo. Fermo restando le problematiche si eventuale smaltimento e di utilizzo sicuro in bioedilizia o in bioplastica, che andrà valutata con attenti studi, i ricercatori italiani hanno anche ventilato l’ipotesi di recuperare, in purezza, i metalli pesanti che la pianta assorbe, per rimetterli sul mercato ed evitare di creare nuovi siti di estrazione, con tutte le problematiche che comportano.

Se gli studi saranno possibilisti, si chiuderebbe un cerchio non da poco: quello di bonificare i terreni resi tossici dalle attività umane nelle miniere abbandonate, e restituire gli stessi metalli pesanti senza dover più estrali dal terreno, preservando le preziose risorse e l’ambiente.

Oltre all’esperienza italiana, ci sono già diversi studi ed esempi delle potenzialità fitorimediative della canapa nel ripulire i terreni. La prima esperienza per la canapa come iper-accumulatore è stata quella per i metalli pesanti della zona di fall-out nucleare di Chernobyl negli anni ’90. L’Istituto ucraino che ha documentato l’intervento ha scoperto che la cannabis aveva una “capacità molto alta” di aspirare metalli pesanti come piombo, nichel, cadmio, zinco e cromo.

La tecnica è stata adottata in India per neutralizzare la contaminazione da metalli pesanti degli stabilimenti tessili di Rawalpindi ed è stata presa in considerazione dopo la fusione nucleare di Fukushima del 2011 in Giappone, ma le leggi di proibizione della cannabis imposte dagli USA erano troppo onerose per essere superate.

Redazione di Canapaindustriale.it

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