Per una vera filiera della canapa industriale italiana: le 5 richieste al Mipaaf

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1 / Le 5 richieste al Mipaaf per una filiera della canapa industriale funzionale

Con questo articolo continua la nostra collaborazione con il dottor Giampaolo Grassi, già primo ricercatore del CREA-CIN di Rovigo, e oggi impegnato con Canvasalus. 5 punti che vengono portati all’attenzione del ministero per le Politiche Agricole, in cui si condensano diversi punti critici per la filiera nazionale della canapa italiana, dalla registrazione di varietà femminizzate, passando per i chiarimenti per le aziende sementire, per arrivare agli obblighi e ai costi per la fornitura di canapa ad aziende farmaceutiche, ai bandi annunciati per la cannabis medica e alla riconsiderazione della riproduzione per talea. 

1. Si richiede la procedura di registrazione per varietà di canapa a riproduzione con seme femminizzato.

2. Chiarimento sulla possibilità da parte delle aziende sementiere private di svolgere il loro compito anche con le varietà di canapa al fine di offrire i materiali più adatti alle diverse tecniche di coltivazione della canapa industriale.

3. L’autorizzazione alla produzione di canapa per fini farmaceutici impone obblighi e costi che altri Paesi europei non avranno. La competitività del prodotto italiano sarà nulla.

4. L’annuncio dei bandi per la concessione delle licenze per la produzione di cannabis medicinale impone scelte che possono influenzare le tecniche di coltivazione e l’economia del nostro Paese.

5. Riconsiderazione della riproduzione vegetativa per talea della canapa.

Le 5 richieste al Mipaaf per una filiera della canapa industriale funzionale

1. Attualmente, in base al decreto del 16 giugno 2011 n. 138, sono certificabili 3 tipologie di canapa: da fibra, da seme e a riproduzione vegetativa. Non è prevista la registrazione come pianta riprodotta da seme unisessuato (femminile). Per le due prime tipologie, per le prove di registrazione sono richiesti 5 kg di seme in quanto si fanno prove con alto investimento di piante al metro quadrato (circa 100).
Solo nel caso della certificazione di varietà a riproduzione vegetativa sono richieste alcune decine di piantine, preparate per talea. La produzione del seme femminizzato va fatto in serra ed ha un costo elevato perciò produrre il quantitativo richiesto per le prime due modalità avrebbe una complessità ed un costo di alcune centinaia di migliaia di euro. La coltivazione di piante unisessuate femminili comporta un investimento di 1 o anche 0,5 piante per metro quadrato perciò per le prove basterebbero qualche decina di semi.
Il CPVO (Ufficio Europeo per le Novità Vegetali) richiede 500 semi per completare le prove di deposito della privativa per i diritti di moltiplicazione e perciò in questo caso si potrebbe replicare esattamente la stessa procedura, adottando esattamente le stesse modalità. Purtroppo, in nessun paese europeo è disponibile la procedura di registrazione delle varietà a seme femminizzato. L’Italia potrebbe dare un valido esempio e offrire la possibilità alle aziende sementiere italiane di esportare seme certificato che al momento non è disponibile in nessuna parte del Mondo.

2. Con l’approvazione della legge 242/2016 si sono avuti decisi miglioramenti sui modi di coltivare la canapa. Purtroppo, questa legge ha messo in evidenza la totale assenza di varietà adatte alle attuali linee produttive che sono emerse negli ultimi anni (canapa per uso farmaceutico, ornamentale etc). Questa situazione spinge gli agricoltori, che devono stare al passo dei tempi e competere con tutti il resto del mondo, dove si possono coltivare varietà ben più performarti e adatte ai nuovi settori produttivi molto remunerativi, ad usare varietà non certificate. In questo modo si dà ampio spazio ai fornitori clandestini di varietà non controllate, con gravi problemi per l’affidabilità e competitività degli agricoltori italiani.
Il problema ha origine lontane e cioè il testo unico sugli stupefacenti (309/1990) che nell’articolo n. 26, il quale limitava la possibilità di ottenere una licenza alla ricerca e produzione per i soli enti pubblici di ricerca (Università e altri simili organismi). In Italia ben pochi enti pubblici si sono cimentati nello studio della canapa e ancora meno ce ne sono che fanno miglioramento genetico della canapa. Bloccando l’iniziativa privata, si è bloccato l’ammodernamento del catalogo delle varietà e le nostre disponibili, sono ancora varietà di 50-70 anni fa, adatte unicamente a produrre fibra o seme. La conseguenza è l’importazione di varietà dall’estero. Con la nuova legge 242/2016 ed in particolare in base all’art. 2 f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati; si avrebbe una possibilità di operare anche per i privati.
L’azienda sementiera privata, per sviluppare nuove varietà (che obbligatoriamente saranno prive di cartellino di certificazione), può operare e sviluppare nuovi materiali, semplicemente autocertificando i materiali in uso per il rispetto del limite dello 0,2% di THC. I funzionari più zelanti, appartenenti al Ministero degli Interni e della Salute applicano prioritariamente la legge 309/90 e dato che essa prevede il penale, agiscono con il sequestro e l’attivazione di un procedimento legale che intasa i Tribunali e costa soldi e reputazione ai soggetti coinvolti. Andrebbe semplicemente esplicitato che in base alla 242/2016 si dà facoltà alle aziende sementiere private ad operare e svolgere il loro lavoro, adottando la precauzione di analizzare i genotipi che sono impiegati per i programmi di selezione e adottando la precauzione di eliminare in modo completo piante che potessero dimostrare livelli di THC superiori allo 0,6%, come la stessa legge prevede. L’analisi dei cannabinoidi può essere eseguita da un semplice laboratorio che tutte le aziende sementiere strutturate possono allestire.

3. Recentemente il Ministero della Salute ha deliberato le procedure per produrre canapa da destinare alle aziende farmaceutiche. Altri Paesi europei vanno in direzione opposta e stanno adottando misure per rendere i loro produttori competitivi quanto lo sono quelli svizzeri o di oltre oceano. Basterebbe autorizzare le aziende che intendono produrre canapa per fini estrattivi e farmaceutici di usare varietà ad alto titolo di cannabinoidi in cui il THC non superi l’1%, così come stanno facendo tutti i principali produttori mondiali più competitivi ed evoluti. Serve accompagnare queste misure con un miglioramento ed incremento dei controlli che per il numero esiguo di operatori, sarebbe cosa non complessa e fattibile.

4. La pubblicazione dei bandi per accedere alle licenze di produzione della cannabis medicinale avvierà una grande corsa tra i diversi soggetti interessati ed in modo particolare per gli stranieri che sono più avanti di noi. In primis Olanda, Canada, Israele e Usa che faranno il possibile per ottenere una via di accesso e sbocco alle loro produzioni sul nostro territorio per accaparrarsi un ambito mercato. A differenza di ciò che è accaduto con il tabacco, per la canapa sarebbe opportuno che si premiassero solo le aziende e gli operatori realmente ed interamente nazionali. Lo sviluppo di questo settore avrà ricadute economiche molto importanti e soprattutto offrirà l’occasione per sviluppare competenze scientifiche nuove, miglioramenti delle aziende per tutto l’indotto che ne deriverà e farà soprattutto crescere la ricerca in campo medico. Per arrivare al pratico, sarebbe opportuno che per garantire una produzione qualificata e certificata si utilizzassero esclusivamente varietà che sono già state iscritte a registri come quello europeo del CPVO (Community Plant Variety Office). Le varietà che vengono da altri paesi sono nella quasi totalità di derivazione clandestina, non sono depositate presso banche del germoplasma e non possono entrare in un contesto di produzione GACP (Good Agricultural and Collection Practices) e tanto meno GMP. Per l’Olanda si è fatto un’eccezione in quanto anche se utilizza varietà di dubbia provenienza, sono certamente di origine europea. Esistono aziende italiane che nonostante le difficoltà, sono riuscite e depositare un buon numero di varietà al CPVO e possono perciò fornire varietà che nel tempo potranno garantire una costante e verificabile origine. Questo criterio di selezione aiuterebbe a tenere escluse dalla competizione le aziende straniere e si eviterebbe come nel tabacco, l’incontrastato dominio delle multinazionali straniere sull’intero mercato italiano.

5. La produzione della cannabis medicinale prevede che le piante siano clonate per garantire l’uniformità più elevata possibile, sia di produzione sia di composizione chimica. La standardizzazione massima non la si può ottenere mediante la riproduzione delle piante per seme. Ciò vale anche per le normali produzioni industriali in cui è necessario garantire livelli standardizzati di composizione e di concentrazione dei cannabinoidi. Tante altre colture vengono riprodotte per via vegetativa: patate, fragole, vite, fruttiferi e soprattutto le ornamentali. Non ci sono problemi per tracciare e garantire la stabilità dei materiali ed anche il rispetto dei diritti del costitutore. E’ fuori da ogni logica negare la possibilità di usare le talee per riprodurre la canapa, specialmente se si vuole tracciare le varietà mediante l’analisi del DNA e impedire che a varietà dichiarate con documentazione regolare poi corrisponda in campo tutt’altre varietà con diversi contenuti di cannabinoidi. Senza ombra di dubbio la cannabis trova nella riproduzione vegetativa il suo massimo potenziale perché nel caso un ibrido presenti delle caratteristiche di pregio elevate, solo con la riproduzione vegetativa le si mantengono nel tempo e nelle successive generazioni.

Dottor Giampaolo Grassi

 

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