Chi studia il mercato della canapa sa bene quanto esso sia complesso e capillare. Decenni di proibizionismo hanno creato nella normativa attuale zone grigie e un doppio binario della canapa legale e di quella illegale. È noto come le molte proprietà di questa pianta ne consentano l’impiego in tantissimi settori economici. Negli ultimi tempi l’interesse degli operatori si è focalizzato sul potenziale delle infiorescenze. Al loro interno si concentrano infatti in maggior numero cannabinoidi e terpeni, i principi attivi che determinano la qualità e, dunque, il valore economico della cannabis light.
L’Osservatorio sulla cannabis light
Per studiare l’evoluzione del fenomeno, l’Osservatorio sulla Cannabis CBD ha creato un questionario che ha ricevuto oltre 10mila adesioni tra Italia e Francia. I risultati del sondaggio mostrano come ad oggi i prodotti a base di cannabinoidi non-stupefacenti sono diffusamente distribuiti sia online che presso punti vendita, soprattutto negozi specializzati e tabaccai. Le aziende li qualificano spesso come “prodotti per uso tecnico” sfruttando una zona grigia della normativa italiana sulla canapa industriale, che non prevede né vieta il commercio di tali articoli. Di fatto dal nostro studio risulta che gli acquirenti li utilizzano principalmente come materiale da inalazione, apprezzandone le qualità di cannabis leggera, sostituibile al tabacco, alla cannabis stupefacente e ad altre sostanze psicoattive. Attualmente sono numerosi i negozi di cannabis light in Italia, che possono contare su un mercato di consumatori occasionali e stabili, disposti a correre i rischi derivanti dall’assenza di regolazione dei prodotti da inalazione a base di canapa.
Dalla legge quadro all’enorme mercato potenziale
Negli anni scorsi, grazie alla legge n. 242/2016, l’Italia aveva fatto importanti passi avanti nello sviluppo di una filiera della canapa e il fiore nostrano era apprezzato a livello europeo. Secondo quanto emerso dal questionario, circa 1 consumatore francese su 4 afferma di aver utilizzato un prodotto italiano, e la percentuale aumenta per quanto riguarda le infiorescenze. La regolazione del settore canapicolo ha indotto la creazione di un fenomeno culturale e commerciale piuttosto redditizio. La spesa media mensile dei consumatori non occasionali di cannabis light si aggira tra i € 40 e i € 70. Così dal 2016 sono nate numerose start up, che hanno favorito l’imprenditoria giovanile sia agricola sia commerciale. Il conseguente giro d’affari conta tra i 200 e 300 milioni all’anno, con quasi 10.000 nuovi posti di lavoro e, quindi, i corrispettivi introiti fiscali per lo Stato.
Le esternalità di questo nuovo mercato sono molteplici. I benefici non strettamente economici si riscontrano sicuramente nell’ambito della salute, perché è stato offerto un prodotto alternativo e meno dannoso del tabacco e della cannabis stupefacente, che può sostituire altre sostanze legali come alcol e farmaci. In particolare, la riduzione nell’uso di medicinali sembra essere in parte legata alla convinzione personale che i prodotti a base di canapa siano più efficaci nel trattare specifiche condizioni mediche. Eppure per la quasi totalità delle patologie trattate con prodotti a base di canapa manca un’evidenza scientifica della loro efficacia medicinale. Altro fattore determinante l’utilizzo della cannabis light in sostituzione di trattamenti farmacologici riguarda i minori effetti collaterali riscontrati. Bisogna evidenziare inoltre i vantaggi che hanno interessato la sicurezza pubblica, poiché il mercato legale della cannabis light si è in parte posto come sostituto dei mercati illegali della cannabis, ed ha aiutato a ridurre o cessare l’uso di altre sostanze stupefacenti, come i derivati dell’oppio.
I paesi che in Europa hanno normato le infiorescenze
Sulla scia della Svizzera, che ha storicamente favorito l’espansione del mercato delle infiorescenze di canapa e dei suoi derivati elevando il limite di THC all’1% e regolamentando il settore dei prodotti da inalazione, anche alcuni paesi dell’Unione Europea hanno deciso di implementare una regolamentazione sulla cannabis light. Austria, Belgio, Lussemburgo e infine la Lituania hanno tratto importanti vantaggi fiscali dalla tassazione dei prodotti da inalazione, in maniera simile alle imposte esistenti su alcolici e tabacco. Dal 2022, la Repubblica Ceca è il primo paese dell’Unione Europea ad innalzare il limite di THC all’1% in modo da competere ad armi pari con la Svizzera ed altri paesi extra-europei anche nella produzione di biomassa da estrazione.
Spingendo l’asticella in avanti, altri Paesi europei stanno legalizzando l’uso adulto della cannabis, superando il discrimine legale segnato dal contenuto di THC. Così per primo Malta, che potrebbe essere seguito a breve da altri piccoli Stati, Lussemburgo e San Marino, ben noti per la capacità di porre in essere politiche capaci di favorire allo stesso tempo il liberismo economico e le entrate pubbliche. Da ultimo la Germania ha recentemente incluso la legalizzazione della cannabis nel programma di governo, mentre la Spagna e i Paesi Bassi da tempo perseguono politiche estremamente tolleranti sul consumo e la produzione di cannabis. Nonostante la recente iniziativa referendaria, l’Italia sembra ancora lontana dalla riforma delle leggi proibizioniste. Oggi, a differenza dei più oculati vicini europei, non abbiamo una regolamentazione dei prodotti da inalazione a base di canapa, che pure si trovano sul mercato locale nelle forme più varie, dalle confezioni di trinciati e resine ai vaporizzatori e sigarette elettroniche.
Cannabis light: repressione al posto della regolamentazione
La lacuna normativa ha determinato attività repressive che nella maggior parte dei casi si sono rivelate infondate. Peraltro, fintanto che verrà considerato solo il tenore di THC – e non il rapporto tra questo ed il CBD, come consigliato dalle Nazioni Unite e implementato negli Stati Uniti – per discriminare la liceità della cannabis, gli investimenti nei processi di trasformazione avanzati saranno limitati. In definitiva il controllo indiscriminato delle forze dell’ordine sulle aziende che operano nel mercato della canapa legale, come se si trattasse di attività illecite attinenti al commercio degli stupefacenti, è un forte deterrente all’avanzata di nuovi operatori economici in questo settore e ostacola la crescita e lo sviluppo di quelli che già vi operano.
Infiorescenze, controlli e tassazione
I risultati della ricerca dell’Osservatorio evidenziano la centralità delle infiorescenze che in Italia, come in Francia, rappresentano la tipologia di prodotto più richiesto nel mercato della canapa. Ciò è probabilmente dovuto alle caratteristiche organolettiche dei fiori e alla varietà dell’offerta, capace di soddisfare le diverse preferenze dei consumatori. Le capacità dei produttori italiani sulla selezione di varietà – apprezzabili forse quanto i primati vinicoli nostrani – hanno reso il settore più remunerativo rispetto ad altri prodotti agricoli, nonostante i costi operativi maggiori. Una saggia regolamentazione dovrebbe pertanto puntare a massimizzare le varietà disponibili e i canali di distribuzione di questi prodotti, ma dovrebbe allo stesso tempo prevedere controlli di qualità per verificare la presenza di contaminanti e tassare i prodotti secondo la loro potenziale dannosità per la salute.
Una tassazione differenziale basata sulla composizione del prodotto e sulle modalità di consumo previsto incoraggerebbe un uso consapevole e meno nocivo. Per esempio, i fiori di canapa confezionati come tisana e destinati all’infusione dovrebbero essere tassati diversamente da quelli da fumo (con o senza il tabacco). Anche se è impossibile sapere quale strumento da inalazione utilizzerà il consumatore finale, la vaporizzazione della cannabis dovrebbe essere considerata la meno dannosa, poiché evita la combustione ed altera la relazione complementare tra il consumo di cannabis e quello di nicotina. Pertanto la vendita sfusa delle infiorescenze (cosiddetto uso erboristico) potrebbe avere una tassazione ridotta rispetto ai pacchetti di sigarette pre-rollati, incoraggiando la distribuzione attraverso negozi specializzati e non esclusivamente tramite i tabaccai.
Un mercato mandato in fumo e tutti i problemi connessi
In sostanza, la mancata regolamentazione della cannabis light ha ridotto il giro di affari di almeno 200 milioni di euro di ricavi, e quindi introiti fiscali, comprimendo inoltre la crescita occupazionale per qualche decina di migliaia di posti di lavoro e ha infine incrementato lo spreco delle risorse di pubblica sicurezza. Ancor più dannoso è l’ostacolo posto alla ricerca e all’innovazione, che lascia indietro l’Italia nel panorama del mercato internazionale della canapa a discapito, come sempre, dei consumatori finali ai quali non viene garantita la tracciabilità e il controllo della qualità dei prodotti.
A livello internazionale sono in corso numerose ricerche sui principi attivi della canapa, per cui non è da escludere che in futuro, oltre al CBD che attualmente domina il mercato, acquisiranno valore anche altri componenti chimici della canapa (per es. CBG), e la domanda di infiorescenze e derivati continuerà a crescere e richiedere una maggiore specializzazione dei settori produttivi.
Le conoscenze sulle proprietà benefiche per l’essere umano restano il fattore più importante sulla stima della domanda potenziale. In ogni caso, il dato che il numero di consumatori sia in aumento, nonostante l’evidenza scientifica sull’efficacia del CBD sia rimasta limitata ad un numero ristretto di patologie piuttosto rare, lascia presagire che sentiremo ancora parlare di cannabis light in Italia e – con regole adeguate – della canapa made in Italy come eccellenza a livello globale.
Davide Fortin e avv. Maria Paola Liotti