Nel mondo della moda, un’altra azienda fa capolino nel settore della canapa: è la statunitense Cone Denim, che ha da poco presentato la nuova collezione di tessuti jeans realizzati in parte con la canapa. Ecco il lancio e tutti i dettagli.
Cone Denim, con sede a Greensboro (North Carolina), è dal 1891 uno dei maggiori fornitori di tessuti in denim degli Stati Uniti. L’azienda, come si legge sul sito, ha come focus la ricerca di nuovi concetti, materiali e tecnologie per fornire ai propri clienti soluzioni uniche e innovative con particolare attenzione alla sostenibilità.
Proprio in quest’ottica, dall’aprile 2022, Cone Denim sta collaborando con BastCore, azienda di lavorazione della canapa con sede in Alabama, su una nuova collezione di tessuti denim composta da prodotti realizzati con un mix di piante coltivate negli Stati Uniti, tra le quali spicca la canapa, e cotone di origine statunitense tinto con indaco naturale coltivato nel Tennessee. Alla base sembra esserci una motivazione legata all’ambiente: l’uso della canapa nella produzione del denim, in alternativa a un prodotto 100% cotone, consente di risparmiare risorse durante la coltivazione, nello specifico circa il 50% dell’acqua; la canapa, inoltre, non richiede prodotti chimici, lavorazione a umido, pesticidi o erbicidi.
A questo si aggiungono i vantaggi dal punto di vista dei trasporti e della logistica. Secondo Steve Maggard, presidente di Cone Denim, la partnership con BastCore “apre a grandi opportunità per creare denim sostenibile realizzato con prodotti agricoli di provenienza statunitense situati nelle immediate vicinanze delle operazioni di produzione di Cone in Messico”.
“Gli agricoltori statunitensi utilizzano eccellenti pratiche di coltivazione sostenibile e producono prodotti di qualità già utilizzati nei denim di Cone, tra cui cotone, amido di mais, indaco naturale a base vegetale e, più recentemente, canapa”, ha aggiunto Maggard in un comunicato stampa rilasciato dall’azienda in occasione del nuovo lancio. “Siamo orgogliosi di supportare l’industria agricola americana e di lavorare al fianco di partner che condividono la nostra passione e il nostro impegno”.
Soddisfatti anche i rappresentanti di BastCore. Austin Bryant, amministratore delegato, ha infatti affermato che la partnership è “perfetta” e soddisfa la “missione dell’azienda di colmare il divario tra gli agricoltori che coltivano canapa e le industrie che richiedono materie prime competitive in termini di costi e prodotte in modo sostenibile. L’esperienza e la passione dei team di Cone sono alla base di una grande collaborazione che permetterà di affrontare queste sfide per portare i numerosi vantaggi delle fibre di canapa anche al denim”.
Con questo nuovo lancio, Cone Denim segue l’esempio dato da altre aziende come Freitag, che già nel 2014 aveva presentato i nuovi capi di abbigliamento in fibre naturali; Levi’s, che ha lanciato i jeans in cotone e canapa nel 2019; le più piccole Canvaloope Hemp Blue e l’italiana Gimmi Jeans, che dai “racconti della nonna” è passata alla produzione artigianale di jeans in canapa, come raccontato in un’intervista presente su Canapa Industriale.
L’idea innovativa, però, potrebbe non essere poi così nuova.
Secondo le testimonianze giunte dal passato, all’origine dei blue jeans ci sarebbe anche la canapa italiana.
Alla base ci sono il fustagno, un materiale molto resistente con trama in cotone e ordito in lino o in canapa, e la “tela di Genova”, un tessuto che, inizialmente, veniva usato per ricoprire le navi in partenza e successivamente come pantalone robusto per i portuali a cui servivano abiti resistenti. Oltreoceano queste tele si sono unite per diventare il jeans, un termine derivato da “Blue de Genes”, cioè blu di Genova, o il denim, una parola che ha origine da un prodotto simile che veniva realizzato a Nîmes (de-Nîmes), in Francia.
In Italia, quindi, il jeans realizzato con un mix di cotone e canapa esiste da secoli, come testimoniato anche dal paio di “jeans” indossato da Garibaldi in occasione dello sbarco a Marsala, un indumento che oggi è conservato al Museo del Risorgimento di Roma.
Martina Sgorlon