“Insieme possiamo superare il regime delle licenze per la canapa, liberando questa coltura miracolosa per il bene di tutti sulla terra” è il messaggio lanciato dal gruppo di attivisti inglesi di Liberate Hemp che vogliono che la coltivazione di questo nobile vegetale torni libera. Perché lo è stata, anche in Gran Bretagna, ma qualcosa nel frattempo è cambiato.
“Prima di distruggere il loro raccolto di 40 acri di cannabis per volere del Ministero dell’Interno nel luglio 2019, i lavoratori della cooperativa di canapa Hempen nell’Oxfordshire giravano per i campi, battendo le mani e cantando, nel tentativo di mettere in guardia la fauna selvatica che aveva trovato casa tra le piante”, racconta Sophie K. Rosa su Novara Media sottolineando che: “Dover distruggere il nostro raccolto sano è stato devastante”, ricorda Patrick Gillett, cofondatore di Hempen, “eppure l’ingiustizia palpabile di questa situazione è sembrata un punto di svolta sulla via della riforma”.
L’azienda, che utilizzava la canapa per estrarre CBD e per prodotti cosmetici, dopo aver presentato domanda di rinnovo della licenza di canapa industriale – necessaria obbligatoria in UK per coltivare canapa industriale – si è vista dire dal Ministero dell’Interno che la legge era cambiata in modo tale che non fosse più possibile più estrarre legalmente il CBD dalle piante per produrre i suoi prodotti, e che avrebbe dovuto invece importare l’olio dall’estero.
Ad oggi infatti le coltivazioni di canapa del Regno Unito possono essere utilizzate solo per i semi e la paglia. Per non rischiare di incorrere in sanzioni, tribunali o addirittura pene detentive, i coltivatori non hanno avuto altra scelta che strappare le piante già seminate da tempo.
Ed è così che Gillett è diventato uno dei sostenitori di una campagna di disobbedienza civile di massa, Liberate Hemp, organizzata da un collettivo di agricoltori, operatori sanitari, tessitori, giardinieri e artisti, che chiede alle persone di coltivare piante di canapa industriale senza licenza, iniziata 18 giugno a Bristol. “Vogliamo che la gente coltivi canapa in massa”, dice Gillett, “per rendere la legge superflua e lasciare al governo una scelta: o seguire la gente, e ciò che è giusto ed equo, o iniziare a criminalizzare tutti”.
Il Regno Unito ha il più grande mercato di CBD in Europa, con un valore di 690 milioni di sterline, ma a causa del rigido quadro normativo sulla canapa, la maggior parte dei prodotti viene importata. Il mercato, quindi, racchiude un potenziale non sfruttato per gli agricoltori britannici, molti dei quali trarrebbero beneficio dalla diversificazione per aiutarli a rimanere a galla in un clima economico sempre più ostile.
Attualmente in UK sta andando avanti, parallelamente, anche l’iscrizione dei prodotti alimentari a base di CBD nel catalogo dei Novel Food, che invece in Europa si è arenata. E forse questo è il motivo principale delle recenti restrizioni per la coltivazione. Mentre in Europa la situazione è in stallo. Dopo il balletto della Commissione Europea sul CBD, che prima ha detto che stava pensando di considerarlo come uno stupefacente, per poi fare un passo indietro, ora l’ultima novità è che secondo l’EFSA non ci sono prove sufficienti che escludano possibili danni per l’uomo nel suo utilizzo, e quindi si è tornati ad un nulla di fatto.
Mario Catania
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