Mentre le necessità dovute alla crisi energetica stanno riportando diversi Stati a riconsiderare come primario l’utilizzo di petrolio ed energie fossili, accantonando le rinnovabili e i propositi di abbassare le emissioni di CO2 a livello globale, i potenti del mondo si riuniscono per l’ennesimo vertice sul clima in Egitto, spostandosi ovviamente con decine di jet privati.
Il problema è reso ancora più paradossale dalla recente proposta di Elon Musk che ha offerto 100 milioni di dollari a chi sia in grado di inventare una tecnologia che possa catturare la CO2.
Ebbene, dalle pagine di Canapaindustriale.it rilanciamo per l’ennesima volta la soluzione che potrebbe davvero cambiare la situazione ma che nessuno, dei potenti del mondo, vuole prendere in considerazione: quella pianta tanto osteggiata di recente quanto utilizzata dall’umanità nel corso dei millenni che prende il nome di canapa. Ora illustreremo all’imprenditore Elon Musk perché quei 100 milioni di dollari ce li meritiamo noi.
Come ho scritto nel mio libro “Cannabis. Il futuro è verde canapa” del quale è stata appena pubblicata la nuova edizione, “La canapa non è solo una delle migliori fonti di energia rinnovabile a nostra disposizione: è una delle migliori armi che abbiamo per combattere l’inquinamento, ridurre gli effetti dell’uomo sul clima e in generale contribuire a creare un modello sostenibile di sviluppo economico“.
Innanzitutto, potendo essere utilizzata in ogni sua parte, non producendo rifiuti, e dando vita a prodotti biodegradabili, utilizzarla a livello industriale per produrre carta, combustibili, bioplastiche, materiali per l’edilizia e per l’industria dell’automobile, sarebbe già un bel passo avanti. Inoltre cresce in pochi mesi ed è pressoché inesauribile al contrario del petrolio, delle foreste e delle risorse minerarie al posto delle quali potrebbe essere utilizzata ed è una coltura alla portata di tutti. Gli effetti immediati della filiera della canapa sono molteplici: tra questi spiccano la riduzione dell’uso di pesticidi, fitofarmaci e diserbanti, la riduzione del consumo idrico in agricoltura, la riqualificazione dei terreni e la diminuzione della CO2.
Partiamo con una verità storica, oggi che le auto elettriche sembrano essere la nuova frontiera del green, nonostante gli innumerevoli problemi che la creazione e lo smaltimento di milioni di batterie al litio potrebbe comportare e che nessuno si azzarda a risolvere, il prototipo di Ford aveva una impronta di inquinamento riguardo la CO2 che era circa la metà quello dei veicoli elettrici di oggi. E non è tutto, perché la canapa è più leggera dell’acciaio o della vetroresina, rendendo l’auto più efficiente, resiste alle ammaccature, non è fragile come la fibra di carbonio, e soprattutto è biodegradabile.
Secondo i dati della Global Alliance for Buildings and Construction oggi l’edilizia considerata come “tradizionale” è responsabile del 39% delle emissioni globali di CO2 nel mondo. L’imperativo dovrebbe quindi essere quello di “decarbonizzare” il settore edile per renderlo più sostenibile. Una delle risposte potrebbe essere proprio l’utilizzo massivo della canapa sia per costruire nuove abitazioni, che per ristrutturare il patrimonio immobiliare già esistente.
Tutta la filiera di produzione di canapa e calce per la bioedilizia è infatti carbon negative: dalla coltivazione alla messa in opera finale e tenendo in conto il ciclo di vita delle abitazioni, toglie più CO2 dall’ambiente di quanta ne venga prodotta. La canapa infatti è una pianta che nel ciclo di vita “sequestra” dall’ambiente in media 4 volte la CO2 imprigionata dagli alberi, e che continua a stoccare CO2 anche quando impiegata in bioedilizia. Secondo i calcoli del dottor Matteo Melosini, chimico che oggi lavora nell’industria delle estrazioni di cannabinoidi, “un ettaro coltivato a canapa industriale può sequestrare 15,46 tonnellate di CO2, di cui 13 verranno fissate all’interno dei materiali ottenuti da fibre e canapulo impedendone il ritorno nell’atmosfera, mentre le restanti 2,46 tonnellate rimaste in campo contribuiranno all’arricchimento del terreno di sostanze organiche”.
In confronto le foreste catturano in media da 2 a 6 tonnellate di anidride carbonica per ettaro all’anno, a seconda del numero di anni di crescita, della regione climatica e del tipo di alberi. Senza dimenticare che una foresta cresce in decenni, la canapa invece è una pianta annuale, e può raggiungere i 4 metri i 100 giorni. Ma non è tutto: si stima che una tonnellata di canapa secca possa sequestrare 325 kg di CO2 e secondo l’Università di Bath, che ha realizzato uno studio a riguardo, al netto delle emissioni di trasporto e lavorazione, un metro quadro di muratura in canapa e calce ha tolto dall’aria 35 chilogrammi di biossido di carbonio. La conferma viene dal Politecnico di Milano che, con uno studio, sul ciclo di vita del prodotto (LCA), che dimostra la capacità dei biocompositi di canapa e calce di sequestrare dai 20 ai 60 kg di CO2 a seconda della loro densità.
Se oggi abbiamo raso al suolo la maggior parte delle foreste primarie per ottenere carta e legno, non significa che questo paradigma non possa cambiare. Oltre alle potenzialità di ottenere dalla canapa carta di altissima qualità, nonostante oggi non esista una filiera europea che possa garantire adeguate produzioni di cellulosa di canapa, la canapa può dar vita al legno da utilizzare nei diversi settori, dal design all’edilizia.
Con un investimento da 5,8 milioni di dollari un’azienda del Kentucky ha iniziato nell’estate 2019 a produrre legno derivato dalla canapa per creare decine di oggetti diversi. Fibonacci, la società che produce HempWood, un sostituto del legno in attesa di brevetto, ha affittato una struttura di circa 1000 metri quadrati per avviare la sua prima produzione.