Un’azienda italiana dedita alla vendita di olio di CBD, sotto processo con l’accusa di commercializzare illegalmente un farmaco, è stata assolta nei giorni scorsi.
Da un tribunale arriva dunque l’ennesimo provvedimento che mette una pezza là dove la politica italiana non vuole arrivare, lasciando il settore degli oli e della cannabis light senza una normativa certa.
Per capire la portata di questa sentenza e quello che c’è in ballo bisogna fare un passo indietro.
Il CBD è una molecola non psicoattiva contenuta nella cannabis che è oggi al centro della ricerca scientifica per le sue proprietà farmacologiche, analizzate in centinaia di studi per diverse patologie. Non solo, perché il CBD è anche un ormai riconosciuto principio farmacologico contenuto in farmaci approvati e distribuiti sia in Usa che in Europa, come ad esempio l’Epidiolex, costituito quasi esclusivamente di CBD.
Dall’altro lato il CBD è un cannabinoide contenuto in tante varietà di canapa industriale, che si presta ad utilizzi in settori del wellness, del benessere più in generale e della cura della persona, che rientrano in genere nel settore cosmetico o in quello alimentare e non in quello farmacologico.
Se in Europa in CBD ad uso cosmetico è autorizzato e già utilizzato in diverse linee di prodotti, diversa è la situazione per quanto riguarda il settore alimentare. Alla commissione europea era in corso il processo per identificare una prima lista di prodotti adatti ad essere inseriti nella categoria dei Novel Food, i cibi che non sarebbero stati consumati in modo massivo fino al 1997, anno in cui è entrata in vigore la normativa, ma l’estate scorsa il progetto è stato stoppato dall’EFSA, secondo la quale servono nuovi studi sugli effetti della sua assunzione. Per quanto riguarda il settore che potremmo considerare degli integratori, non è stato fatto nessun passo avanti nonostante numerose associazioni di settore, su tutte la EHIA, chiedano una regolamentazione che possa indicare sotto a quale soglia di concentrazione (indicativamente il 10%) il CBD possa non essere considerato un farmaco e quindi vendibile liberamente per prodotti ad uso umano.
In tutto questo non dobbiamo dimenticarci di tre avvenimenti molto importanti, due a livello internazionale, e uno prettamente italiano.
Il primo sono le considerazioni dell’OMS nel processo di rivalutazione della cannabis che nel 2020 ha visto l’Onu riconoscerne le proprietà mediche. Ebbene, secondo le raccomandazioni della massima autorità sanitaria al mondo, il CBD non avrebbe dovuto essere incluso in nessuna tabella degli stupefacenti (perché non lo è) e i preparati contenenti prevalentemente CBD e non più dello 0,2% di THC non avrebbero dovuto essere posti sotto controllo internazionale.
Il secondo è l’ormai celebre sentenza della Corte di giustizia europea della fine del 2020, nata da un processo francese per il cosiddetto caso “Kanavape”, dove due imprenditori erano stati condannati per aver importato una sigaretta elettronica a base di CBD prodotta in Repubblica Ceca. Oltre a specificare che il cannabinoide “non può essere considerato come uno stupefacente” nella sentenza viene messo nero su bianco che: “Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.
Tutto risolto quindi? Per niente, perché con una tempistica quantomeno sospetta, poco prima che l’Onu si esprimesse sulla cannabis e nei giorni in cui era attesa l’approvazione dell’Epidiolex in Italia, il nostro ex ministro della Salute Roberto Speranza, con un decreto che ad oggi rappresenta un unicum a livello mondiale, aveva inserito il CBD nella tabella degli stupefacenti. Solo grazie alle veementi proteste di tutto il settore cannabico, il decreto fu sospeso, senza mai essere ritirato.
Questo è il garbuglio normativo a livello europeo italiano dovuto principalmente a due cose: il mercato enorme, e sempre in crescita, dei prodotti a base di CBD nei diversi segmenti (l’alimentare ad esempio in Usa è completamente legale e il CBD si trova in decine di prodotti che vanno dalle bibite agli snack) che solletica i bassi istinti delle multinazionali del farmaco che vorrebbero gestirlo in esclusiva, e la pochezza della politica che non ha il coraggio di normare un settore per non scontentare nessuno e lascia ai giudici il compito di metterci una pezza.
Ed è in questa situazione in cui hanno dovuto muoversi gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio di Tutela legale stupefacenti, che sono riusciti ad ottenere per l’azienda che assistevano presso il processo al tribunale di Terni, la prima assoluzione di questo tipo. “Già avevamo ottenuto diversi dissequestri di olio CBD, ma questa volta abbiamo dimostrato in un giudizio penale come sia legale commercializzare olio di CBD, benché un farmaco come Epidiolex abbia come elemento farmacologico proprio il CBD”, hanno scritto sui social puntualizzando che: “Le sentenze disciplinano il mercato e il commercio prima che una legge regolamenti il settore”.
Secondo la sentenza dunque il fatto non sussiste perché, come raccontato dagli avvocati a Soft Secret, “il nostro assistito è innocente sia per l’assenza del CBD dalla tabella, quindi non si può punire per aver violato una norma che non esiste, sia perché l’olio che vendeva era sprovvisto di indicazione terapeutica, e quindi era venduto come prodotto tecnico. Questo è fondamentale per provare l’assenza di intenzione di vendere un farmaco e per essere assolti”.