In questi giorni si stanno moltiplicando i controlli e le perquisizioni nei negozi che propongono prodotti a base di canapa. Le ultime notizie arrivano dalla prefettura di Varese e dalla Confcommercio, che hanno diramato dei comunicati (qui e qui) arrivando a sostenere che le infiorescenze di canapa sarebbero improvvisamente diventate illegali, citando sentenze che, se analizzate, non dicono nel modo più assoluto ciò che sostiene il prefetto o l’associazione di categoria.
Per fortuna, fino a prova contraria, viviamo in uno stato democratico, dove il diritto è stabilito dalle leggi e non dagli umori di un prefetto o della Confcommercio.
Ma per capire cosa sta accadendo bisogna fare un passo indietro.
Tutto ha inizio da una direttiva emanata dal ministro dell’Interno Piantedosi a febbraio, nella quale, sostenendo che si tratti di un’opera di sensibilizzazione ai commercianti, ordina invece “una ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite presenti sul territorio” .
Si tratta di una direttiva molto simile a quella già emanata nel 2019, quando Salvini era ministro dell’Interno, nella quale si cerca di piegare il diritto a quella che è l’idea del tutto personale del ministro Piantedosi. Ad esempio nella nuova circolare del ministero dell’Interno viene scritto che “si sono pronunciate sulla quesitone anche le SS.UU. della Corte Suprema di Cassazione che hanno escluso, in maniera perentoria, l’applicazione della legge 242 del 2016 (la legge sulla canapa industriale, ndr) al commercio della cd. ‘cannabis light’”. Ed è una bugia, perché le sezioni unite della corte di Cassazione hanno detto una cosa diversa e cioè che sono da considerarsi reato “le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della Cannabis Sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Sta tutto in quel “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”, a partire dal fatto che secondo la convenzione tossicologico-giuridica il limite sotto al quale non è riconosciuta efficacia drogante al THC è pari allo 0,5%.
In tutto questo nessuno, nel governo, sembra essersi accorto che c’è stata una sentenza importante del Tar del Lazio che, accogliendo il ricorso presentato dalle associazioni di settore e ha annullato il decreto sulle piante officinali che limitava la produzione di canapa a semi e fibre: per la prima volta un tribunale mette nero su bianco che non si possono limitare gli usi della canapa ad alcune parti per un generico principio precauzionale che va invece motivato con dati scientifici.
Tar che ha espressamente citato sia la recente sentenza del Consiglio di stato francese, che ha di fatto reso legale il commercio di CBD e cannabis light in Francia, sia la sentenza della Corte di Giustizia europea che sottolineava che i prodotti legali a base di CBD di uno stato membro devono poter circolare liberamente in tutta Europa. Ma fa anche un passaggio in più parlando espressamente delle infiorescenze: “In estrema sintesi, il Conseil d’Etat, pronunciandosi sulla legittimità del provvedimento nazionale di divieto, sottolinea, anzitutto, che una siffatta misura restrittiva deve essere giustificata alla luce dell’obiettivo di sanità pubblica perseguito e risultare proporzionata ai rischi per la salute connessi alle sostanze vietate, osservando, in proposito, che i suddetti rischi dipendono dalle quantità di THC effettivamente ingerite a seconda dei prodotti consumati e dei modelli di consumo, così da concludere che, allo stato dei dati scientifici, il consumo delle foglie e dei fiori delle varietà di cannabis con un tenore di THC inferiore allo 0,3% non crea rischi per la salute pubblica tali da giustificare un divieto generale e assoluto della loro commercializzazione”.
L’ultimo paradosso che andrebbe sottolineato è che, mentre da una parte il governo agisce con questa direttiva, con le perquisizioni alla fiera della canapa di Roma, o con la proposta di legge che vorrebbe vietare la commercializzazione della cannabis light senza mai averla esplicitamente autorizzata, dall’altra nella manifestazione di interesse per la produzione di cannabis medica gestita dal ministero della Difesa, ha selezionato 6 aziende tra quelle anche andranno avanti nelle successive fasi, e 3 di queste sono dedite anche alla produzione di cannabis light.
Canapa Sativa Italia, tra le associazioni che hanno portato avanti il ricorso al Tar e che è presente al tavolo tecnico di filiera della canapa industriale istituito con decreto del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF), ha risposto sia al comunicato della Confcommercio, sia a quello della prefettura di Varese.
Alla Confcommercio, dopo aver sottolineato che la legge 242/2016 è ancora in vigore e non è derogabile da fonti di rango inferiore come una o più sentenze di corte di Cassazione, che a differenza delle sentenze del Tar o della corte di giustizia europea (immediatamente applicabili) non hanno forza di legge spiegano che “come specificato anche dal regolamento europeo sugli alimenti, la presenza di THC nelle varietà lecite e iscritte nel catalogo europeo deve essere considerata in percentuale assoluta, proprio come tutti i limiti sui contaminanti nei prodotti officinali. Altrimenti, qualunque prodotto contenesse THC entro i limiti stabiliti per legge, considerato il cumulo del principio attivo presente di centinaia di confezioni, si potrebbe considerare drogante”. Il riferimento è sempre alla sentenza della corte di Cassazione e all’idea che il quantitativo di principio attivo illecitamente detenuto va determinato facendo riferimento alla quantità complessiva della droga sequestrata e non alle singole confezioni in cui la stessa è (o può essere) ripartita.
Alla prefettura di Varese ricorda che, “la commercializzazione di infiorescenze ad uso ornamentale di cannabis sativa l. è lecita se priva di efficacia drogante e appartiene alle varietà botaniche consentite e certificate. L’efficacia drogante non è data solo dal THC, ma dipende dal chemiotipo e dalla prevalenza di cannabinoidi presenti nel prodotto. Di conseguenza, prodotti a predominanza di CBD o CBG non possono avere alcun effetto psicoattivo”.
Per concludere: ad oggi la cannabis light è lecita perché venduta come prodotto ad uso tecnico, ricavato da piante legali, così come sono completamente legali le aziende agricole che la coltivano e le attività che la rivendono, che pagano tra l’altro fior fior di tasse (esiste l’Iva sui prodotti a base di canapa, regolarmente versata dai rivenditori come tutte le altre imposte dovute). Se il governo vuole vietare la commercializzazione, deve prima autorizzarla, ma visto che non vuole procedere in questo senso, che è poi la strada del buon senso che sta adottando tutta l’Europa, allora che continui con la repressione, senza però mascherarla come sensibilizzazione.
Mario Catania