I ricercatori della Northern Michigan University stanno esplorando la fattibilità dell’utilizzo della canapa per bonificare il suolo contaminato dai PFAS.
Sono sostanze Poli- e Per-fluoroalchiliche (PFAS) che rappresentano un ampio gruppo di sostanze chimiche di sintesi, prodotte unicamente dalle attività umane e che non esistono in natura. Note come “sostanze chimiche permanenti“, in quanto sono estremamente persistenti nel nostro ambiente e organismo, sono migliaia: 4700 secondo l’Agenzia europea per l’ambiente e molte di più, fino a 10mila, secondo organizzazioni ambientaliste come Greenpeace.
Sono stati introdotti sui mercati a livello globale a partire dalla metà del secolo scorso perché conferiscono proprietà idro e oleorepellenti, per le loro proprietà ignifughe e per la loro elevata stabilità e resistenza alle alte temperature.
Vengono utilizzati in una vasta gamma di prodotti industriali e di largo consumo in diversi settori come imballaggi, farmaci, cosmetici, capi d’abbigliamento e prodotti tessili, oltre che nell’industria elettronica, nell’attività estrattiva dei combustibili fossili, in alcune applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere e nelle vernici.
Una recente denuncia di Greenpeace ricorda che in Veneto ci sono ancora migliaia di cittadini che, a distanza di dieci anni dalla scoperta dell’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, sono privi dell’allacciamento all’acquedotto. Per questo sono costretti ad acquistare l’acqua in bottiglia per uso alimentare, visto che quella dei pozzi è imbevibile, mentre le coltivazioni di orti e terreni producono frutta e verdura con tassi altissimi di Pfas.
Mentre una recente inchiesta curata da 18 media europei che hanno unito le forze e pubblicato lo studio “The Forever Pollution Project” ha svelato che sono almeno 17mila i siti in tutta Europa contaminati da PFAS, con livelli considerati pericolosi per la salute delle persone esposte. Questi dati prevengono dai campioni prelevati in acqua, suolo, organismi viventi da scienziati e autorità a partire dal 2003 fino ad oggi.
La professoressa di chimica Lesley Putman – che sta guidando una ricerca in questa direzione – ha affermato che la speranza è che la canapa non solo attiri i PFAS dal terreno, ma che sia in grado di degradarli, a differenza dei metodi di bonifica tipici e più costosi che utilizzano carbone attivo granulare o osmosi inversa.
Il primo passo è stato quello di fare una sperimentazione, insieme a tre studenti del suo laboratorio, su un contaminante che non è considerato tossico, l’acido perfluorobutanoico (PFBA), raccontata direttamente da una pubblicazione dell’Università.
“Abbiamo coltivato la canapa industriale in modo idroponico e aggiunto PFBA all’acqua in cui crescevano le piante”, ha detto Putman. “La canapa lo ha assorbito nelle foglie, negli steli e nei fiori e non ha influito sulla crescita della pianta. Abbiamo ottenuto lo stesso risultato in serra, piantando le piantine nel terreno e applicando acqua contenente PFBA. Poi abbiamo fatto gli stessi esperimenti con le due principali sostanze chimiche tossiche: PFOS e PFOA. Poiché quelle sono molecole più grandi che non si muovono così facilmente e non sono solubili in acqua come quelle piccole, non sono salite nelle foglie così facilmente e sono state sequestrate nelle radici. Tuttavia, se la canapa può sostenerli, questo è un buon punto di partenza“.
Anche se la canapa si dimostra ugualmente o più efficace del carbone attivo nell’impedire ai PFAS di permeare la falda freatica, “Ti rimangono ancora piante che contengono tossine“, ha evidenziato la Putman. NMU stipula un contratto con un’azienda che rimuove e immagazzina in modo sicuro tutti i rifiuti tossici generati dalla sua ricerca, ma una soluzione per un sito contaminato su larga scala dipende dalla ricerca di un modo per degradare i PFAS una volta che vengono assorbiti dalle piante di canapa.
Siccome gli enzimi prodotti dai funghi possono abbattere efficacemente diversi inquinanti nel suolo – un processo chiamato micorimediazione – Putman si è rivolta a Myconaut, un’azienda di co-fondata dall’ex alunno dell’università Joe Lane che esplora il variegato potenziale dei funghi. “Forse potremmo inoculare alcune delle radici di canapa con un fungo e vedere se questo aiuta a degradare il PFAS”, ha detto.
Putman ha anche raccontato di un ricercatore in Belgio che lavora con la canapa per contrastare la contaminazione da PFOS da uno stabilimento di Anversa. Ha detto che ci sono stati studi isolati che utilizzano la canapa per i PFOS tossici; la maggior parte delle ricerche precedenti sull’uso della canapa ha esplorato il suo assorbimento dei metalli. Il suo prossimo piano è fare prove sul campo, coltivare la canapa in fioriere fuori terra, annaffiare la canapa con un percolato contenente PFOS e misurare quanto viene sequestrato dalle radici.
Mario Catania