Mentre in tutto il mondo e in Europa in particolare si incentiva la produzione di canapa tessile che fa bene al pianeta, all’agricoltura e a diversi comparti industriali e artigianali, in Italia il settore trova l’opposizione ideologica del ministero per le Imprese e Made in Italy, quello preposto allo sviluppo delle attività economiche.
A un’azienda che commercializza biancheria in canapa tessile, è stata infatti negata la possibilità di registrare il proprio marchio, Steva Hemp, perché la parola “hemp”, che in inglese sta per “canapa”, incentiverebbe l’uso di stupefacenti. Siamo all’assurdo.
Le vicende italiche legate alla canapa e alle sue filiere ci hanno abituato a colpi di scena degni del miglior thriller, ma mai avremmo immaginato di toccare punti così bassi. Siamo stati i più bravi a produrre canapa tessile a livello globale fino agli anni ’50 del 900, e siamo nel periodo in cui, con grandi sforzi, imprenditori e associazioni stanno cercando di ripristinare questa filiera, mentre in Europa viaggiano ad un’altra velocità e organizzano progetti internazionali che non ci contemplano.
“A dicembre ho scelto di registrare il marchio Steva Hemp, l’azienda con cui commercializzo biancheria in canapa per alberghi, e ho iniziato dall’Italia perché è il mio mercato di riferimento, mai avrei immaginato di finire in questa vicenda kafkiana”, sottolinea Gordana Stevancevic, che è la business developer dell’azienda.
“Se avessi subito registrato il marchio a livello europeo, questo rifiuto molto probabilmente non si sarebbe verificato, ora mi tocca spendere soldi inutilmente per gli avvocati, che devono spiegare al ministero che la canapa non è cannabis“.
Ci sarebbe anche la possibilità di lasciare correre, e procedere direttamente con la registrazione europea, ma Gordana non vuole che si crei un precedente, e vuole risolvere la situazione a livello legale, spiegando al ministero che si tratta di un settore completamente legale, normato in Italia dalla legge quadro sulla canapa emanata alla fine del 2016. “Vogliamo fare opposizione in Italia, perché non voglio che in futuro sembri che la canapa ad uso tessile possa davvero incentivare l’uso degli stupefacenti”, sottolinea spiegando che: “Lo faccio per me, ma anche per tutti coloro che in futuro lavoreranno nel settore”.
Su Steva Hemp spiega che: “La produzione delle lenzuola avviene in Italia, ma il tessuto arriva in parte dall’est Europa e in parte dalla Cina. Quelli decorativi, un po’ più grossi, hanno fibra dalla Romania, prodotti, filati e tessuti in loco, mentre quelli più sottili utilizzano un filato cinese, con una parte che viene tessuta in Italia”, spiega Gordana.
Intanto è arrivata anche la reazione di Federcanapa, associazione italiana per lo sviluppo della canapa industriale: “Uno spettacolare balzo all’indietro che cancella la storia di mezzo secolo. Il Ministero sembra ignorare che la canapa industriale da 40 anni riceve addirittura un premio di coltivazione in Europa, Italia compresa, e che dal 2016 è in vigore una legge nazionale che la promuove e anzi “incentiva l’impiego e il consumo finale di semilavorati in canapa”. Quindi, nell’interpretazione del Ministero, anche la normativa europea e nazionale rischiano di essere un veicolo pubblicitario della droga? Ricordiamo inoltre che il termine ‘hemp’ è usato in inglese proprio per distinguere la canapa industriale dalla ‘cannabis’ ad alto contenuto di sostanza stupefacente. Il risultato di questa assurda posizione ministeriale è che si va a colpire una bella azienda innovativa, Steva Hemp, che produce biancheria da letto al 100% in canapa per alberghi o eco-friendly e di lusso. Che gli arredi in canapa delle nostre nonne fossero un subdolo invito allo spinello?”.
Mario Catania