Nelle infiorescenze di canapa coltivate in Italia sono stati rilevati pesticidi e metalli. È questo il risultato di una ricerca condotta da un team dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma e pubblicata lo scorso ottobre. Ecco la problematica e lo studio nel dettaglio.
Grazie ai numerosi utilizzi terapeutici e industriali, negli ultimi mesi, in Italia, sono cresciuti sia la coltivazione che il consumo di Cannabis light, ossia con una percentuale di THC inferiore allo 0,6%. La sempre maggiore diffusione della pianta e dei suoi derivati ha portato di conseguenza anche alla crescita dell’attenzione a lei rivolta, in particolare dal punto di vista della salubrità della materia prima, soprattutto perché attualmente nel nostro Paese la pianta non è soggetta a regolamenti specifici nazionali o internazionali. A differenza di quanto avviene per i prodotti alimentari o per il tabacco, infatti, la stessa Unione Europea non ha previsto degli standard particolari per la Cannabis.
È in questo contesto che è nata l’analisi condotta dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma e pubblicata su ScienceDirect a ottobre 2021 con il titolo “Toxicological aspects of cannabinoid, pesticide and metal levels detected in light Cannabis inflorescences grown in Italy”. Lo studio ha analizzato trentuno campioni di infiorescenze, raccolti in diverse regioni italiane, per determinare la presenza e le percentuali di cannabinoidi, pesticidi e metalli e, di conseguenza, per valutare l’esposizione dei consumatori ai contaminanti. Obiettivo finale del progetto è garantire un consumo sicuro su ogni fronte.
Dalla ricerca è emerso che nei campioni analizzati le percentuali di THC erano sempre inferiori allo 0,5% — conformi, quindi, alle normative vigenti in termini di Cannabis light —, mentre il livello di CBD variava tra lo 0,3 e l’8,64%.
Preoccupante invece la presenza di ben 154 pesticidi. Lo studio ha infatti mostrato che l’87% dei campioni analizzati conteneva fungicidi e insetticidi nell’intervallo 0,01-185 μg/g; tra i più presenti Spinosad e Cyprodinil. La concentrazione di metalli pesanti, invece, variava da 1 a più di 100 μg/g; in particolare, Arsenico (As), Cadmio (Cd), Cobalto (Co), Cromo (Cr), Mercurio (Hg), Rame (Cu), Molibdeno (Mo), Nichel (Ni) e Vanadio (V) hanno superato i limiti regolamentari statunitensi per i prodotti di cannabis inalati, mentre il Piombo (Pb) li ha superati sia per i prodotti per via orale che inalatoria.
Il risultato è allarmante. Questi contaminanti, infatti, sono tossici e possono avere gravi effetti sulla salute dell’organismo. La nuova panoramica ribadisce dunque la necessità di stabilire misure normative per ridurre gli effetti negativi causati dai contaminanti nella Cannabis e per garantire la salute dei consumatori; un aspetto che era già stato sottolineato da CIA, Confagricoltura e Federcanapa.
Risale al giugno 2018 la proposta di un disciplinare per regolamentare la produzione di infiorescenze di Cannabis promossa da CIA – Agricoltori Italiani, Confagricoltura e Federcanapa. Duplice l’obiettivo del progetto e del documento: da una parte garantire la tracciabilità delle genetiche utilizzate, dall’altra mettere a disposizione dei consumatori un prodotto sicuro per l’organismo. Il disciplinare nato dall’intesa è composto da 9 punti principali e punta a definire “le Buone Pratiche per la produzione di infiorescenze di Canapa sativa L. a partire dalle fasi di coltivazione mediante semina o impianto, raccolta, trasformazione”, oltre che “i Criteri di Conservazione del materiale vegetale derivante da coltivazioni di varietà di Cannabis sativa L. da applicare ai fini dello sviluppo della filiera di produzione a livello nazionale”.
Il disciplinare, però, è volontario e spetta alle singole aziende la decisione di aderirvi o meno, ed è questo il suo limite. Sarebbe quindi necessario — soprattutto alla luce della ricerca — intervenire a livello legislativo e nazionale per equiparare la Cannabis light ai prodotti da fumo o ai prodotti alimentari e preservare così la salute dei consumatori.
Martina Sgorlon