I semi e l’olio di semi di canapa sono due prodotti in grado di apportare numerosi benefici all’organismo, ma che, a causa di numerosi fattori, non sono ancora molto diffusi sulle tavole degli italiani.
Ma quali sono le loro proprietà? Come sta cambiando il settore? E parlando in generale di canapa, quali sono le novità dal punto di vista alimentare?
Per saperne di più abbiamo intervistato il professor Alberto Ritieni, docente di Chimica degli Alimenti presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli, scienziato di caratura internazionale che da anni studia la canapa alimentare e le sue proprietà.
Quali sono le caratteristiche dei semi e dell’olio di canapa?
I semi ottenuti dalla canapa, nello specifico dalla varietà Cannabis sativa, sono una fonte naturale di sostanze e di macronutrienti molto utili per la protezione della nostra salute. Dai semi di canapa si ottengono due prodotti di prima trasformazione: la farina e l’olio di semi di canapa, quest’ultimo ottenuto per estrazione con solventi o per spremitura. Sia la farina che l’olio di canapa, spesso usato come sinonimo di “olio di semi di canapa”, possono essere ulteriormente trasformati e diventare ingredienti di vari prodotti da forno; nel caso specifico dell’olio, questo può essere inoltre direttamente utilizzato a crudo.
Perché sono così importanti per l’organismo? Quali sono gli effetti benefici sul nostro corpo?
I semi di canapa, interi e decorticati, che contengono tra il 25% e il 35% di proteine, rispetto ad altri oli vegetali, non ci espongono ai cosiddetti fattori anti-nutrizionali, come l’acido fitico, che, invece, rappresentano a volte una forte criticità, come avviene nel caso dell’olio di semi di soia.
Inoltre, i semi integrali hanno una quota di fibre molto elevata, raggiungendo circa 28 gr per etto, il che li rende molto interessanti come alimento per chi ha un intestino pigro o, peggio, soffre di stitichezza. Nei semi decorticati questo vantaggio è meno evidente, perché la quota di fibre si riduce a circa 12 gr per etto, allo stesso tempo, però, si abbreviano i tempi di preparazione, perché si abbrevia la fase di ammollo che è necessariamente richiesta se si usano i semi integrali.
I semi di canapa tal quali si possono utilizzare anche come ingredienti di insalate oltre che essere trasformati in farina o in olio di canapa. Nel caso della farina di semi di canapa si può arrivare sino a un contenuto di fibre pari a 47 gr per etto e le proteine che contiene, pari a circa un terzo del suo peso, vengono considerate complete, ovvero paragonabili alle proteine dell’uovo per la loro composizione in amminoacidi equivalenti. Le proteine dei semi sono nutrizionalmente nobili, perché presentano tutti gli aminoacidi essenziali a cui si aggiungono numerose vitamine come A, E, B1, B2, PP e C, oltre a micronutrienti come Ferro, Calcio, Magnesio, Potassio e Fosforo. Le proprietà salutistiche dei semi di canapa, che si ritrovano traslate anche nelle farine, sono considerate molto interessanti perché dimostrano proprietà antinfiammatorie, utili al sistema osteo scheletrico e alla fase di digestione, nonché al rafforzamento del sistema immunitario. I componenti minori dei semi di canapa, inoltre, sono utili per ridurre il colesterolo sierico e hanno chiari effetti ipotensivi.
L’olio di canapa, invece, è particolarmente ricco nella famiglia dei grassi insaturi potendo assommare una concentrazione di grassi monoinsaturi come l’acido oleico (10-16%) a una elevata concentrazione di grassi polinsaturi, di cui circa il 75% costituito da acido linoleico (45-60%) e da acido linolenico (14-30%). Sono proprio questi ultimi a rappresentare il vero valore salutistico aggiunto dell’olio di semi di canapa. Questa ricchezza nella componente di polinsaturi rappresenta però anche il suo “tallone di Achille”, perché la loro instabilità e tendenza a ossidarsi facilmente rendono l’olio di canapa non adatto a friggere e a essere conservato in maniera non idonea; però, allo stesso tempo, è molto indicato per un uso a crudo.
Inoltre, è proprio il rapporto tra gli acidi grassi omega 6 e gli omega 3 a essere considerato ottimale. Introdurre grassi polinsaturi in modo casuale non è la giusta soluzione nutrizionale, occorre che questo rapporto sia di circa 1 a 3 per avere più grassi protettivi come gli omega 3 e non troppi grassi pro-infiammatori come sono invece gli omega 6. Da questo punto di vista l’olio di canapa rappresenta la migliore fonte di grassi insaturi con il migliore rapporto tra i polinsaturi, a cui si aggiunge la presenza di Vitamina E come antiossidante naturale.
Quali consigli può dare a chi vorrebbe acquistare olio e semi di canapa? Quali sono gli aspetti da controllare al momento dell’acquisto?
L’olio di canapa è un prodotto relativamente nuovo sul mercato, ma anche relativamente giovane come produzione e questo comporta che la strada per avere delle qualità sensoriali e commerciali migliori e più standardizzate è ancora in parte da percorrere. Attualmente la realtà produttiva è ancora molto frammentata e i produttori di olio di semi di canapa hanno spesso delle dimensioni necessariamente limitate nel fatturato e nei volumi; questo rende più complessa la crescita dei livelli di qualità. Abbiamo però osservato negli ultimi anni un miglioramento dei parametri di produzione e di quelli sensoriali che, riflettendosi sul prodotto finito, permettono di guardare il futuro del mercato dell’olio di canapa con maggiore ottimismo.
Si può consigliare a chi acquista questo prodotto di non decidere in base al primo assaggio: l’olio di canapa è molto simile all’extra vergine di oliva, per cui può avere un profilo sensoriale che non incontra immediatamente le aspettative di chi acquista. Esiste anche dell’olio di canapa raffinato che è meno impattante sensorialmente e ha anche un tempo di conservazione maggiore, ma le sue proprietà salutistiche sono in parte ridotte dalla lavorazione.
È consigliabile la scelta di oli di canapa prodotti per spremitura dei semi a freddo, commercializzati in volumi di 250 mL e dove nell’etichetta sono indicate la provenienza dei semi e alcuni parametri come l’acidità o il numero dei perossidi che rappresentano, alla pari dell’olio extravergine di oliva, dei segnali di qualità. È importante che si usi quest’olio a freddo per godere al meglio dei suoi grassi polinsaturi e che si conservi la bottiglia sempre al buio e al fresco.
E dal punto di vista alimentare? Ci sono degli accorgimenti da tenere a mente o dei consigli che vuole dare a chi ha deciso di inserire questi alimenti nella propria dieta?
L’olio di semi di canapa può essere considerato un integratore alimentare che può permettere di aggiungere alla nostra dieta dei grassi polinsaturi del gruppo omega 3, che agiscono in maniera preventiva verso alcune patologie cronico-degenerative. Chi vuole assumere olio di canapa deve tenere conto che si tratta di un alimento ricco di calorie e che può modificare gli equilibri tra i vari macronutrienti, sempre che non si limiti la sua assunzione a crudo a circa 10 gr al giorno, corrispondenti a 2 cucchiai da minestra. Queste quantità consentono di arricchire la dieta di una buona quota di grassi polinsaturi senza aumentare le calorie in gioco.
L’olio di canapa, inoltre, può coesistere con altri alimenti senza effetti collaterali e i suoi effetti benefici si possono valutare in un tempo di circa 3 mesi di utilizzo costante.
Nel caso della farina di semi di canapa possiamo considerarla come una eccellente alternativa per la preparazione di prodotti da forno come pane, pizza, torte salate o biscotti, senza dimenticare che ha un sapore spesso vicino alle nocciole ed è priva di glutine. La sua ricchezza in macronutrienti, specie per le proteine, può trasformarla in un integratore proteico naturale da usare per creare dei frullati o come addensante naturale per minestre o piatti simili.
La canapa italiana, nel settore alimentare, potrebbe avere un importante slancio internazionale grazie al valore riconosciuto del Made in Italy nel mondo agroalimentare. Qual è la sua posizione in merito? Cosa ne pensa?
Il Made in Italy è sinonimo internazionale di qualità, di alti livelli di sicurezza e di competenze di chi opera nel settore canapicolo. Dal gennaio 2017 in Italia è permesso coltivare per uso industriale la canapa e questo ha avviato una buona ripresa con oltre 4mila ettari in alternativa al grano duro in aree come Toscana, Piemonte, Veneto, Sicilia, Puglia, Emilia-Romagna, Basilicata, Abruzzo e Sardegna.
La resa media dei semi di canapa è circa 600 kg per ettaro e oltre l’80% della produzione nazionale è rivolta al settore alimentare, mentre il restante della produzione è indirizzato al settore cosmetico, alla nutraceutica o all’edilizia.
L’Italia ha sempre avuto un ruolo trainante nella storia della coltivazione della canapa e per la produzione di farina e di olio di canapa. La possibilità di utilizzare estratti di canapa come integratori è un possibile spazio che renderebbe interessante per i coltivatori e i trasformatori l’aumento dei volumi di produzione. Non si deve dimenticare, inoltre, che la canapa è un vegetale che richiede meno risorse per la sua coltivazione e che può anche diventare strumento per il recupero di aree e terreni sofferenti dal punto di vista dell’inquinamento.
Non ultimo anche l’utilizzo della canapa per produrre del pellet, che, soprattutto visti i costi attuali energetici alle stelle, è una soluzione interessante; il sottoprodotto che se ne ricava si trasforma inoltre a sua volta in un ottimo fertilizzante per il terreno. Questo pellet è più efficiente nella produzione di calore rispetto ad altri vegetali e la velocità di crescita della canapa permette ogni cinque mesi di avere materiale pronto per essere pellettizzato.
Quali sono attualmente, secondo lei, le problematiche del settore nel nostro Paese?
Le problematiche che si possono individuare nel nostro Paese in merito alla canapa riguardano la volatilità delle normative, che talvolta si modificano in maniera sostanziale non assicurando i produttori primari, i trasformatori e la filiera canapicola di potere contare su un orizzonte temporale sufficientemente lungo per affrontare i necessari investimenti e sviluppare prodotti e processi migliorativi per produrre olio di canapa o derivati dei semi con una qualità maggiore e costante.
Purtroppo, la canapa soffre in termini di storia e di valutazioni negative per essere collegata alla produzione di sostanze psicotrope come il THC e i suoi derivati. Occorre ricordare che nei semi, se lavorati in maniera appropriata, non sono presenti i cannabinoidi perché la pianta li accumula laddove servono, ovvero infiorescenze o foglie. Questo legame tra la canapa a uso alimentare o tecnico e la canapa coltivata per scopi ludici crea una confusione che ostacola lo sviluppo del mercato in maniera ottimale.
Di recente abbiamo pubblicato un articolo dedicato ai micro ortaggi di canapa, un nuovo superfood che potremmo trovare presto sulle nostre tavole. Lei ha partecipato allo studio condotto dall’Università degli Studi di Napoli. Che cosa ci può raccontare in merito?
Questo articolo scientifico vede una stretta collaborazione tra gli aspetti agronomici per l’ottenimento di microgreens di canapa e gli aspetti nutraceutici/salutistici, perché possano diventare sulla tavola una valida alternativa a prodotti magari più esotici e con minori valori salutistici.
I dati dimostrano che questi micro ortaggi sono ricchi di amminoacidi essenziali, di proteine e i livelli di fitocannabinoidi osservati sono sempre bassissimi e rispettosi delle attuali normative. Il lavoro scientifico dimostra che la scelta varietale è alla base di un prodotto adatto a essere immesso sul mercato in sicurezza e i costi al dettaglio possono raggiungere anche 60 euro/kg permettendo una marginalità molto interessante.
Questi microgreens sono un’ulteriore referenza da introdurre sul mercato nazionale per conquistare le aree di chi ama nutrirsi in maniera sicura e ricca di composti salutistici per prevenire alcune patologie cronico-degenerative. Lo studio è uno stimolo che offre ai produttori di canapa la possibilità di arricchire ulteriormente le loro referenze commerciali conquistando il mercato della salute.
Crede che ci potrebbero essere dei problemi dal punto di vista normativo?
In Europa, per i cosiddetti Novel food, si fa riferimento al Regolamento 258/97, che pone come discriminante, ossia come giorno entro il quale occorre dimostrare l’uso comune e significativo dell’alimento proposto, la data del 15 maggio 1997; per alimenti comunemente in uso prima di tale data non è infatti necessario richiedere specifica valutazione da parte dell’EFSA, fondamentale per autorizzare un Novel food a essere commercializzato e utilizzato nell’ambito comunitario.
I microgreens, in questo contesto storico, non sono considerati tradizionali, per cui richiedono il positivo assenso dell’EFSA per la loro introduzione; occorre quindi, oltre a dimostrare la loro efficacia, anche aggiungere la prova di sicurezza che garantisca che gli eventuali livelli di THC e degli altri cannabinoidi non pongono un rischio per la salute dei consumatori. La normativa europea è sempre protettiva nei confronti dei consumatori e richiede, a differenza di altri contesti normativi, l’obbligo di assicurare determinati livelli di sicurezza e di valori nutrizionali e/o salutistici che permettano, nel caso dei microgreens di canapa, il loro utilizzo. La criticità, che talvolta può emergere nell’affrontare questi necessari e condivisibili aspetti, è appuntabile alla velocità decisionale, alle tempistiche che possono demotivare e far abbandonare percorsi di ricerca e sviluppo di prodotti innovativi nel settore canapicolo.
Per concludere, parlando di canapicoltura in generale, quali sono gli aspetti più importanti da tenere a mente? Quali sono i prossimi passi da compiere secondo lei?
La canapicoltura rappresenta, in questo contesto storico ed economico, una delle possibili alternative per creare ulteriori unità produttive e lavorative, per impattare positivamente sull’ambiente, per sostenere una economia circolare e, non ultimo, per fornire ulteriori strumenti per la prevenzione di patologie specifiche e il mantenimento dello stato di benessere. È importante che la filiera canapicola si compatti — negli obiettivi da raggiungere, nella disseminazione dei vantaggi ottenibili e nel condividere le strategie con il mondo della ricerca —, così da creare ulteriori spazi di crescita per tutti in tempi rapidi.
Martina Sgorlon