Il primo ritrovamento di un manufatto in canapa risale a più di 9mila anni fa. La scoperta è stata fatta nel 2013 dal professor Ian Hodder, ed è la testimonianza che la canapa, per molte sue proprietà, ha accompagnato l’umanità in quasi tutta la sua storia.
Anche in Italia abbiamo avuto una forte tradizione agro-industriale legata alla canapa se pensiamo che fino agli anni ’30 del secolo scorso eravamo i secondi produttori al mondo per quantità, dietro alla Russia, e i primi per la qualità del prodotto. Poi si è assistito ad una progressiva scomparsa della canapicoltura italiana. Fra le principali cause sono da annoverare l’applicazione delle leggi che disciplinano gli stupefacenti, l’assenza, fino al 2000 di utilizzatori riconosciuti e inclusi nell’elenco dei primi trasformatori della materia prima e quindi la mancanza di semi e varietà. In Italia, solo nel 1998 e grazie al contributo UE, si è ripreso a coltivare la canapa industriale. Il compito che dunque ci attende è quello di colmare il gap che si è creato con gli altri Paesi per quello che riguarda le strutture produttive e di trasformazione, per creare una moderna filiera della canapa. In passato le popolazioni che si affacciavano sul mediterraneo come fenici, egizi, greci e romani, utilizzavano la canapa per gli usi più disparati già da tempi immemorabili. Gli storici sono concordi nel ritenere che da almeno 2mila anni prima di Cristo fino ai primi decenni del XX secolo la canapa era tra le piante più coltivate per realizzare prodotti che spaziavano dai tessuti alla carta, dagli oli alle farine alimentari, oli per illuminazione, medicinali e profumi, fino ad arrivare ai fertilizzanti.
Nel periodo migliore nel nostro Paese erano coltivati a canapa oltre 120mila ettari con un rendimento annuo che sfiorava gli 800mila quintali. Nel 1914 la provincia di Ferrara produceva 363mila quintali di canapa, contro i 157mila della provincia di Caserta, i 145mila della provincia di Bologna e gli 89mila del napoletano. In molte Regioni italiane ancora oggi è facile imbattersi in piccoli e caratteristici laghetti artificiali, i così detti maceri o marcite, dove un tempo venivano messi a bagno i fusti della canapa per la prima fase della lavorazione.
Come ha ricordato Filippo Esmaily nel libro “Riconquistando la canapa”, la storia economica dell’Italia è strettamente legata alla coltivazione di questa pianta ed alla fabbricazione dei prodotti da essa derivanti; non a caso i tessuti e le corde prodotti con la varietà autoctona “Carmagnola” venivano esportati in tutto il mondo: sin dal XIV secolo la marina inglese li ha utilizzati per l’ allestimento delle sue navi.
Le eccezionali proprietà di resistenza e di compattezza del tessuto in fibra di canapa hanno consentito alle popolazioni delle antiche civiltà di fare grandi progressi nella navigazione, col superamento dei limiti della forza-lavoro che era impiegata sulle navi a remi (imbarcazioni più grandi, maggiori distanze percorribili, attraversamento di mari più aperti e profondi); perciò si può affermare con assoluta certezza che le vele in canapa, grazie alle caratteristiche esclusive che né il cotone, né il lino avrebbero potuto assicurare, hanno consentito il grosso salto di qualità negli scambi commerciali e nelle relazioni tra i popoli. La carta di canapa è stata utilizzata per stampare le prime copie della Bibbia di Gutenberg, la stessa utilizzata per la bozza della dichiarazione d’Indipendenza americana o le banconote in Francia. Abbiamo esportato canapa per secoli utilizzandola per vestirci, scaldarci, nutrirci e curarci.
Oggi dal nord al sud le coltivazioni stanno facendo la loro ricomparsa e sono moltissime le testimonianze di nipoti che fanno ripartire una storia che i loro nonni conoscevano bene e rischiava di essere perduta. La storia di una pianta che è stata cibo per popoli interi e che può tornare nutrire uomini ed ambiente, facendo rivivere tradizioni diventate cultura con un nuovo tipo di sviluppo ed economia, finalmente sostenibili.
Redazione Canapaindustriale.it
Pubblicato sulla rivista Canapa industriale, n°1 – maggio/giugno 2014