I GRE delle Marche sono la sezione marchigiana dei Gruppi di Ricerca Ecologica, un’associazione ambientalista nazionale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente. Formazione, valorizzazione dell’entroterra, difesa dell’ambiente e agricoltura sostenibile sono le principali aree di intervento. Alle quali si affianca la ricerca sulle produzioni agricole ecologiche e la sperimentazione con il centro di ricerca alimentare chiamato CEREALI, promosso da GRE e Fapi (Federazione Agricola Piccole Imprese) con la collaborazione di Copagri Marche. Abbiamo discusso con il presidente Massimo Guido Conte riguardo alle potenzialità della canapa nel recupero del territorio, nell’agricoltura sostenibile e nella definizione di nuovi modelli per lo sviluppo territoriale ed economico.
Come vedete l’universo canapa industriale in Italia?
Alcuni consorzi italiani sembrano costellazioni che ruotano attorno a un unico astro per tutte le fasi del processo, mentre all’opposto ci sono tentativi di autoaffermazione locali, di solito regionali, che delimitano territori ma non fanno sufficiente volume. Questa non è filiera corta ma piccoli circuiti chiusi di trasformazione. Il risultato sono modeste quantità di olio, pasta o prodotti da forno e in genere il coltivatore non ha un ritorno che lo incentivi a proseguire. In Puglia sembra invece che abbiano preso una strada giusta e il settore è in rapida crescita. Nello scenario della canapa italiana il nostro punto di vista è diverso da quello degli operatori economici e delle loro associazioni: ci sono stati momenti di dialogo ma le occasioni di apertura verso nuove proposte sono mancate.
Quali sono le vostre proposte?
Dobbiamo smettere di temere l’eccesso di offerta e capire che nuovi appezzamenti a canapa portano a un mercato più grande. I GRE delle Marche propongono una riduzione delle coltivazioni intensive per fermare lo sfruttamento del territorio e distribuire i profitti fuori da cerchie monopoliste. Coltivatori e operatori del settore devono capire che la concorrenza porta credibilità. Nelle Marche abbiamo circa 13 ettari produttivi ma ho un’offerta di 300 ettari in un’altra regione per un progetto di recupero territoriale fondato sulla reintroduzione della canapa. Vogliamo realizzare un borgo dove si produce e si trasforma la materia prima, si sviluppano conoscenze e si promuovono prodotti realizzati con la canapa, soprattutto in campo alimentare, ma anche carte, corde, stoviglie e tutto quello che tradizione e innovazione possono costruire insieme.
Come potrebbe crescere l’industria della canapa alimentare in Italia?
I derivati della canapa tendono a essere considerati più come medicine che come alimenti. Questo è sbagliato e ha già causato problemi con le autorità e sequestri di prodotto. I bassi rendimenti possono giustificare prezzi elevati ma dobbiamo far uscire la canapa dalla nicchia dei consumatori molto esigenti per diventare una delle basi per gli alimenti di largo consumo. Opportunità interessante per i produttori locali prima che la grande industria ne comprenda le potenzialità. Infine, lo studio di nuove ricette con olio e farina di canapa può offrire nuovi orizzonti gastronomici a chi non può assumere amido o glutine, come avevo già sperimentato con gli gnocchi di topinambur e canapa.
La canapa può creare turismo?
Certo. Soprattutto un turismo attento all’alimentazione. Il territorio di Jesi può catturare turismo dalla riviera e offrire esperienze gastronomiche uniche come centro di una sperimentazione culinaria sulla canapa. Vogliamo ad esempio creare di un marchio di qualità per alcuni prodotti alimentari che contengono canapa coltivata nelle Marche. La nostra attività di formazione, le conferenze, le attività con scuole, università e centri di ricerca entra perfettamente in questa visione di un territorio da valorizzare integrando e non separando le risorse e gli attori. La nostra collaborazione con Fapi è un buon esempio di collaborazione fra operatori con diversi ruoli e spero prosegua coinvolgendo chi crede davvero nello sviluppo diffuso e sostenibile.
Stefano Mariani