“Il ritorno della canapa tessile? Basterebbe ripristinare gli impianti esistenti o crearne di nuovi, è una cosa che abbiamo già fatto per la lana, non vedo perché non possiamo farlo per la canapa“. Va dritto al punto il dottor Marco Antonini, che oltre ad essere ricercatore per l’ENEA (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) è anche presidente di Arianne, consorzio internazionale per le fibre tessili naturali. Dopo l’audizione informale tenutasi ad ottobre presso la Camera dei Deputati per la discussione della nuova legge che dovrebbe essere promulgata quest’anno, in cui l’ENEA ha sostenuto che la multifunzionalità e l’integrazione della filiera sono i punti chiave per il futuro, abbiamo pensato di approfondire la visione del ricercatore su canapa e industria nel futuro del nostro paese.
A cosa si dedica l’ENEA riguardo alla canapa?
Come agenzia non ci dedichiamo tanto alle tecniche di coltivazione della pianta, quanto piuttosto all’utilizzo di ciò che se ne può ottenere e ai sistemi di trasformazione. Il nostro obiettivo primario è quello di aiutare le imprese a creare processi innovativi per quanto riguarda la fibra, il canapulo e il seme, per il quale abbiamo da poco proposto dei sistemi di estrazione dell’olio con CO2 supercritica, una tecnologia pulita che permette di massimizzare la quantità di prodotto estratto.
La fibra lunga per materiali tessili è considerata l’oro verde della pianta di canapa, ma da noi non ci sono centri moderni di produzione, cosa prevede per il futuro?
Quello che si deve fare è creare una filiera tessile di qualità. Per ottenere la fibra lunga dalla pianta di canapa sono necessarie fondamentalmente 2 operazioni: la prima è la macerazione, durante la quale le fibre lunghe si separano dalla parte legnosa della pianta. Secondo noi il metodo migliore è quello di effettuare questa operazione direttamente sul campo, dopo che le piante sono state tagliate. E’ l’opzione migliore perché farlo con altri sistemi diventerebbe troppo complesso. Poi si passa alla stigliatura è cioè quell’operazione che permette di “liberare” le fibre pulite. Meno residui ci sono e meno sarà complessa la lavorazione tessile. Bisogna costruire un impianto apposito, l’interesse c’è, ora servono gli imprenditori e gli investimenti. Sui processi stiamo lavorando con l’Università di Ancona per velocizzare le operazioni. La tecnologia per realizzare la filatura invece esiste già, quindi si tratterebbe di rispristinare o creare degli impianti nuovi. In Italia l’abbiamo già fatto per la lana e quindi non dovrebbe essere un problema farlo anche con la canapa.
Cosa pensa della legge in discussione sulla canapa industriale?
Penso che il primo problema a livello nazionale sia quello della movimentazione e razionalizzazione delle biomasse. Bisogna costruire almeno 5 centri di raccolta e lavorazione e poi creare le varie filiere produttive perché va bene l’interesse sia in bioedilizia che per la canapa alimentare, ma bisogna differenziare le produzioni per utilizzare tutta la pianta e mettere a disposizione tutte le linee commerciali; in questo il tessile può essere un forte valore aggiunto.
Come vede l’interesse crescente intorno a questa pianta?
Questi enormi passi avanti della canapa negli ultimi tempi ci hanno piacevolmente sorpreso. D’altronde è una pianta con molto fascino e con un’aura molto particolare della quale non vanno dimenticati gli utilizzi farmacologici.
Riguardo agli altri utilizzi?
Bioedilizia con canapa e canapa alimentare stanno procedendo abbastanza bene. Un altro utilizzo che se ne potrebbe fare sarebbe quello di bruciare biomassa di canapa per ottenere energia, ma avrebbe senso solo in un sistema industriale integrato, in cui vengono bruciati gli scarti.
Su cosa dobbiamo puntare?
Dobbiamo puntare sull’agricoltore, prendendolo come punto di riferimento e costruendo intorno a lui una serie di servizi e impianti di trasformazione che siano vicini alle aree produttive.
Mario Catania