Ad Ortinfestival, fiera dell’agricoltura sostenibile nei giardini della Reggia di Venaria, abbiamo parlato con Ornella Palladino e Davide Galvagno di Salute Sativa. Dalla loro postazione e dal palco della sala conferenze di Agriconnection ci hanno raccontato la loro esperienza di coltivatori e portato proposte per il futuro della canapa italiana.
Ornella, cos’è per te la canapa?
La canapa è una pianta che ci offre tutta se stessa: ci insegna una filosofia di vita improntata alla collaborazione. È capace di creare aggregazione perché un singolo coltivatore non può farcela e quindi è necessario unirsi in gruppo per rafforzarsi. Quando ho cominciato quattro anni fa ero praticamente sola in Italia a sperimentare la coltivazione di canapa. Oggi è nato un fenomeno ampio e si trova più preparazione e ricerca scientifica, ma sembra che tutti vogliano entrare in tutti i settori. Invece la coltivazione della canapa ci deve insegnare a dare solo il meglio di ciascuno di noi, e quindi per venire al concreto dovremo evitare di duplicare gli investimenti.
Investimenti in impianti di raccolta e trasformazione?
Sì, ma anche in ricerca. Le piccole filiere locali servono per garantire tracciabilità e qualità al consumatore, ma i grandi impianti come quelli per la lavorazione delle paglie o per gli studi sui materiali sono molto costosi e vanno costruiti per macrodistretti. In caso contrario ci troveremmo, come è già successo, ad arrivare quasi fino al traguardo e poi non avere successo per mancanza di risorse. Anche per questo ritengo importante sostenere studi scientifici sulle varietà come quelli del centro di ricerca del CRA di Rovigo: non possiamo avere sviluppo senza innovazione e dobbiamo renderci indipendenti dalle importazioni di semi esteri. Per questo, da una parte servono leggi per tutelare i prodotti italiani, dall’altra gli imprenditori devono superare le diffidenze, investire e contribuire alla ricerca scientifica, altrimenti non si cresce. Alcuni in Italia si sentono soli e non rappresentati ma io credo che tutti i coltivatori di canapa dovrebbero contribuire al mantenimento di una federazione nazionale e di un polo scientifico di eccellenza come il CRA.
Davide, cosa propone Salute Sativa a Ortinfestival?
Offriamo i risultati di tre anni di sperimentazione su colture e prodotti ad alto valore nutrizionale. Quando Ornella, la nostra Presidente, ha deciso di convertire la sua azienda ci siamo lanciati con entusiasmo in quest’avventura e ora coltiviamo 500 ettari di canapa in Toscana e Piemonte, insieme a grano saraceno, miglio e altre colture senza glutine in rotazione. Oggi qui abbiamo diversi pani e prodotti da forno, oltre al nuovo estratto proteico di semi di canapa realizzato insieme alla società biochimica Costantino.
Come lavorate i semi?
Entro un’ora dalla trebbiatura facciamo una pulitura grossolana per impedire la fermentazione e procediamo all’essicazione. La spremitura per gli oli è a freddo perché oltre i 39 gradi si perdono le vitamine, mentre i grassi insaturi e polinsaturi cambiano i propri legami chimici. Spremendo ad alte temperature le rese sono maggiori ma il prodotto è completamente diverso. Questa è una prima differenza fra le filiere locali e i grandi impianti industriali italiani o esteri. Un’altra differenza viene dalla qualità dei suoli, visto che il fittone della canapa è molto assorbente. Attualmente la maggior parte dei semi per uso alimentare proviene da coltivazioni cinesi. È quindi importante che il consumatore sia informato sull’intero ciclo di produzione degli alimenti che si dichiarano salutistici.
Cosa manca per far partire la canapa alimentare italiana?
Nei distretti agricoli italiani mancano i centri di raccolta per cominciare a utilizzare anche le paglie. Se i coltivatori potessero avere un ricavo dalle paglie oltre che dal seme le aziende agricole aumenterebbero gli ettari a canapa e si raggiungerebbero volumi in grado di giustificare investimenti in impianti di trasformazione. L’aumento della produzione dovrà inoltre spingere i produttori di macchine agricole a realizzare finalmente barre di trebbiatura adatte alla canapa.
Come procede lo sviluppo di varietà italiane?
Per ora stiamo continuando a utilizzare varietà sviluppate per climi diversi dal nostro, invece di ricominciare a duplicare semi adatti ai suoli italiani. Oltre a investire in ricerca per lo sviluppo delle varietà dobbiamo fare pressione perché diventi legge la proposta ferma al Ministero riguardante l’autorizzazione all’utilizzo di semi autoprodotti. L’attuale situazione toglie responsabilità al coltivatore ma impedisce di sperimentare varietà più produttive per i nostri microclimi.
Riusciremo ad avere fibra tessile e industriale, oppure in Italia si produrrà solo canapa alimentare?
Per avere fibra lunga tessile di buona qualità è necessario falciare in fioritura, prima che la fibra si deteriori. Questo porterebbe problemi ai coltivatori, che non potrebbero comunque competere con la fibra tessile cinese. Come fanno i francesi, dobbiamo invece puntare sulla fibra corta e sulle sue numerose applicazioni per materiali e prodotti sostenibili.
Quali altre sperimentazioni avete in campo?
Bacche di goji in una collina e poi le piante dei maya e degli Aztechi: quinoa e amaranto, entrambe con eccellenti caratteristiche nutrizionali. Stiamo sperimentando anche il teff, un cereale senza glutine che proviene dagli altipiani dell’Etiopia. Ognuna di queste piante ha diverse proprietà nutritive e con i primi raccolti faremo analisi di laboratorio per capire se abbiamo ottenuto caratteristiche analoghe alle coltivazioni dei paesi originari.
Ornella, i problemi dell’industriale, alimentare e terapeutico devono essere affrontati in modo diverso?
Credo serva una federazione forte al servizio della canapa in tutte le sue applicazioni. Dobbiamo muoverci sia per l’industriale, sia per la terapeutica prima che finiscano definitivamente in mano alle industrie farmaceutiche o ad altri monopoli. L’unico modo per evitarlo è l’elezione di rappresentanti del mondo della canapa, ognuno con le sue specializzazioni all’interno di problemi comuni da affrontare. Dallo scambio di opinioni siamo tutti cresciuti senza danneggiarci e abbiamo imparato dai nostri errori. Ora dobbiamo continuare a collaborare.
Come può avvenire la produzione italiana di cannabis terapeutica?
In diversi centri, sotto le regole scritte in un disciplinare che regoli le modalità di produzione. Questa attività non dovrebbe essere necessariamente una fonte di guadagno primaria per i produttori. Dovremmo vederla più come un servizio, altrimenti non avremmo guadagnato niente dal punto di vista del progresso sociale. Non vorrei che un giorno si sostituissero terapie tossiche e costose con cannabis farmaceutica altrettanto costosa. Qui ho visto brutti segnali quando qualcuno ha tentato di fermare la ricerca del CRA di Rovigo. Un ente aperto a tutti che sta svolgendo un lavoro importantissimo e che ha sempre messo a disposizione competenze anche ai piccoli produttori, al contrario dei centri di ricerca privati. Anche sul fronte terapeutico dobbiamo unire le forze per evitare che questa pianta diventi un monopolio di pochi.
Stefano Mariani