Questa piccola realtà di coltivatori di canapa sogna di poter un giorno depurare il terreno della Basilicata laddove questo è colpito dall’inquinamento dell’attività estrattiva petrolifera. Lo sfruttamento degli idrocarburi nella regione ha causato ulteriori problemi in una terra già interessata dalla presenza di due Siti di Interesse Nazionale, ovvero aree per le quali è necessaria una forte opera di bonifica e che rappresentano un pericolo serio per la vita delle persone (nello specifico nella zona industriale del comune di Tito e nell’area della EX Maternit, Val Basento).
Dopo anni di silenzio eccola tornare protagonista della scena, diventando snodo centrale del dibattito politico e sociale. Tuttavia c’è ancora poca chiarezza su cosa è e cosa può fare. La canapa assume una posizione di vantaggio in Basilicata grazie alle sue capacità fitodepurative. Infatti, riesce a creare l’habitat ideale per lo sviluppo di quei batteri che si cibano degli agenti inquinanti nel terreno, come pesticidi, metalli pesanti. Mi dice Domenico: “C’è anche un’altra cosa, devi pensare al beneficio biochimico e biofisico, ovvero le radici giungono ad una profondità tale da arrivare a rompere e drenare tutto il terreno e al momento della raccolta le radici muoiono e rilasciano le sostanze organiche che vanno a fertilizzare ed arieggiare il terreno”. Ci sono quindi dei vantaggi sia prima che dopo la vita della pianta stessa. “Ed i mettalli pesanti, dove vanno a finire?”, gli chiedo. “Non nelle radici, ma assorbite e trattenute nella pianta. Perciò quando questa muore di ciò che ha drenato non resta niente se non nella pianta stessa. Le radici sono solo un tramite”.
Il nodo della questione rimane ancora cosa fare una volta che la pianta ha raggiunto il massimo livello di assorbimento. Raccolta, estirpata, bisogna trovare un modo di smaltirla. Uno dei riutilizzi potrebbe essere sotto forma di materiale da costruzione o carburante sfruttando la fermentazione della biomassa. Una varietà precoce produce in 90 giorni un ettaro di biomassa che un bosco, di pari dimensioni, produce in dieci anni. Mentre una varità tardiva produce la stessa biomassa in sei mesi di quella che gli alberi arriverebbero a fare in venticinque anni.
Per una terra come l’Italia, dove negli anni gli illeciti amministrativi in materia di inquinamento ambientale hanno contraddistinto la cronaca, la canapa potrebbe rappresentare una svolta. Potrebbe così dare un grande aiuto a depurare quei territori estremamente inquinati, tra tutti terra dei fuochi, Taranto, il bresciano, la Basilicata etc… Ad esempio basta pensare al progetto della green belt di Vincenzo Fornaro, agricoltore del tarantino, intorno l’Ilva. L’idea vorrebbe poter raccogliere porzioni di terreno dagli agricoltori intorno allo stabilimento e seminarvi la canapa, che grazie alle sue qualità può arginare il disastro ecologico.
Terreno, acqua e sole sono gli unici elementi che hanno fatto crescere i campi di Domenico e Giuseppe, due giovani agricoltori lucani che sperimentano la canapa e sognando un giorno di poter rimanere nella propria terra. Nell’entroterra della regione, in terreni e climi molto diversi, i due campi hanno restituito una quantità spropositata di raccolto e varietà. Camminando nel campo Giuseppe mi spiega che: “Da uno stesso lotto di semi, la piante risultano comunque essere diverse, questo perché non c’è controllo genetico e non ci sono comunque studi mirati a spiegare lo sviluppo di determinati terpeni”.
Questi sono biomolecole che hanno un carattere particolare che si manifesta in ogni pianta. Continua dicendo “nella canapa sono presenti centoquarata terpeni diversi, e questi si riconoscono per gli odori ed i sapori che le piante restituiscono a chi ne fruisce. Ad esempio, il limone sa di limone per la presenza del terpene limonene. Così nella canapa ci sono odori e sapori diversi”.
E’ una pianta che necessita di poche attenzioni e perciò si presta facilmente sia per una coltivazione domestica che in larga scala. Geneticamente molto resistente può crescere ovunque, a qualunque altitudine e terreno. In una terra come la Basilicata, nella quale il petrolio e l’inquinamento ancora non scoraggiano la coltivazione e la produzione casearia, dove l’impiego nel settore petrolchimico sembra una aspettativa realizzabile per pochi locali, la possibilità di uno sguardo sincero al territorio, come fonte di sostentamento attraverso la canapa, può e potrebbe non essere viziato dal problema dell’inquinamento, essendo quest’ultima una sua soluzione. Di recente anche il consigliere regionale del M5S Gianni Perrino che, come riportato in un comunicato della regione dichiara: “Abbiamo sempre creduto che questa fosse una grande opportunità per la nostra regione, ancor prima del boom che ha caratterizzato la coltivazione della pianta, dopo l’approvazione della legge numero 242 del 2 dicembre 2016: non dimenticheremo mai la visita alla coltivazione di Vincenzo Fornaro a Taranto, avamposto contro l’inquinamento da diossine prodotto dall’Ilva”.
Ci sarebbero anche le basi per creare occupazione ed affrontare più concretamente il tema dell’emigrazione. Tanti, come da sempre, sono i lucani che lasciano la Basilicata per andare a provare una vita che altrimenti a casa non sarebbe di indipendenza dalle famiglie. La possibilità reale della creazione di un indotto dalla canapa esiste. Ripensando i comparti produttivi locali si offrirebbero opportunità di impiego e crescita professionale. Di fatti così sta facendo l’Eni congiuntamente a Shell, Total e Confindustria Basilicata, finanziando un master in Petroleum Geoscience, e la fondazione Enrico Mattei con Assomineraria, Regione Basilicata un master in Idocarburi e Riserve.
Le intenzioni dell’industria petrolifera a rimanere sul territorio sono serie. Pensare a formare futuri operatori del settore dà un quadro chiaro delle prospettive di radicazione sul territorio del colosso petrolifero italiano e non solo. C’è una volontà multinazionale nel continuare ad investire nell’estrazione fossile e fare della regione un baricentro geopolitico non indifferente. Come se non bastasse il consenso ed il supporto delle istituzioni locali avallano quanto già in moto. Nonostante ciò la resistenza di numerosi comitati regionali è cresciuta. Il desiderio di decarbonizzazione della produzione energetica si fa forte, ma ancora di più l’invito alle compagnie petrolifere operanti sul territorio di farsi carico degli oneri e seguire scrupolosamente le procedure di smaltimento dei reflui petroliferi e di bonifica del territorio. Inoltre l’ultimo stop del governo al permesso denominato “Masseria la Rocca” potrebbe far ben sperare in un rallentamento della frenesia mineraria, la quale sembra aver accecato i molti attori della scena.
Pensando ai suoi utilizzi, la canapa è in grado di diventare la ragione per potenziali investitori ad avviare attività industriali di ogni genere. Ci sarebbero le basi di aprire una prospettiva green per l’economia. Costruendo un indotto si andrebbero a formare anche le figure professionali, ove le già esistenti troverebbero presto spazio, e darebbero un impulso notevole alla diffusione e all’utilizzo di questa pianta. Si potrebbe sostituire quasi del tutto al petrolio, il punto è la fiducia che questa porta in sé e ai mercati finanziari. In questa ottica più realizzabile che mai, e senza intaccare l’ambiente così come il petrolio fa, tanto in zona che altrove, si restituirebbero alla natura quelle attenzioni che mancano da troppo tempo. Quelle forme di tutela per la vita umana che spesso si riducono solo alla dimensione di un parco nazionale o a tentativi di raccolta differenziata qua e là.
Emanuele Gaudioso e Filippo Poltronieri