La canapa è una pianta dalle mille risorse. Utilizzata in settori diversissimi tra loro, dalla cosmetica all’alimentazione, oggi è una delle più potenti alleate per la salvaguardia dell’ambiente e combattere l’inquinamento, vera e propria protagonista dei progetti di fitorimediazione.
La fitorimediazione, o fitorisanamento, è una tecnologia naturale che permette di bonificare i terreni contaminati attraverso la piantumazione e la coltivazione di specifiche piante che da una parte sono in grado di stimolare la degradazione dei composti organici e dall’altra di estrarre i metalli pesanti presenti nel suolo.
Tra queste piante dalle straordinarie capacità, studiate per la prima volta negli anni Cinquanta, c’è anche la canapa, potente alleata contro l’inquinamento del suolo grazie alla sua rapida crescita e alla sua capacità di assorbire in particolare cadmio e diossina. Non solo, la canapa fu anche una tra le prime piante a essere utilizzate concretamente per la bonifica del suolo. In particolare, uno dei primi progetti risale agli anni Novanta e vide coinvolta l’azienda statunitense DuPont, che sfruttò le proprietà della pianta per ripulire le sponde del fiume Delaware dove la stessa compagnia produceva e rilasciava oltre 750 sostanze chimiche.
Oltre ai metalli pesanti, la canapa, grazie alla sua capacità di assorbire le radiazioni, viene utilizzata anche per risanare i terreni nelle aree di Chernobyl e di Fukushima, entrambe colpite da disastri nucleari rispettivamente nel 1986 e nel 2011.
Tra le numerose ricerche in ambito di fitorisanamento spiccano due progetti tutti italiani: il progetto GREEN e il progetto BIO SP.HE.RE..
Il progetto GREEN (Generare Risorse Ed Economie Nuove) vedrà la luce in Puglia presso la Masseria Carmine di Vincenzo Fornaro, a ridosso dell’ex ILVA, e sarà condotto dall’ABAP (Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi).
L’obiettivo generale è triplice: studiare le diverse varietà di canapa e valutare la capacità fitodepurativa delle singole specie, così da stilare una lista delle varietà più performanti; esplorare i potenziali usi della canapa e il suo contributo nella promozione di uno sviluppo sostenibile; investigare il potenziale sequestro di Carbonio (e le emissioni di CO2) nel terreno e valutare diverse pratiche di management agricolo.
A questi, inoltre, si aggiungono gli scopi operativi, come la bonifica delle aree inquinate e la ricerca finalizzata alla convalida delle tecniche che prevedono la coltivazione della canapa come parte integrante delle strategie per la mitigazione dei cambiamenti climatici e per lo sviluppo sostenibile.
“Il progetto GREEN vuole studiare e promuovere un sistema fondamentale per la rivalorizzazione del territorio nella sua accezione più ampia”, spiega Marcello Colao, ingegnere ambientale di ABAP. “L’utilizzo della canapa per la fitorimediazione, infatti, non porterebbe solo alla creazione di un nuovo sistema di utilizzo del territorio legato alla salvaguardia dell’ambiente, ma anche alla creazione di occupazione e di risorse sostenibili per la comunità, secondo i principi della green economy e della bioeconomia. Dopo la raccolta, per esempio, le piante saranno destinate all’impianto di prima trasformazione di Crispiano, mentre il canapulo ottenuto sarà impiegato nel settore della Bioedilizia”.
Il progetto, che vedrà la luce a marzo, potrebbe quindi portare a una svolta ambientale e sociale sfruttando una tradizione italiana secolare: la coltivazione della canapa.
Il progetto BIO SP.HE.RE (Bio Integrated Spirulina and HEmp REmediation) è stato cofinanziato dalla Regione Puglia e realizzato da ApuliaKundi, start up pugliese specializzata nella ricerca e produzione nell’ambito delle microalghe, in collaborazione con Innovative Solutions, spin off del Politecnico di Bari, ed Enjoy Farm, cooperativa nata per promuovere la diffusione della Green Economy.
Durato in totale 22 mesi, il progetto è nato con uno scopo ben preciso: verificare e validare scientificamente l’utilizzo integrato in agricoltura di un mix di microalghe e di Cannabis Sativa L. per potenziare le capacità fitodepurative delle due piante in acque e terreni inquinati da metalli pesanti. Dalle analisi di laboratorio eseguite a fine ciclo è emerso che il mix algale da una parte ha agevolato la crescita della canapa in substrati inquinati, velocizzando così il processo di fitorimediazione, dall’altra ha favorito direttamente l’assorbimento di sostanze come cadmio, nichel e zinco.
In un’ottica di economia circolare e Green Economy e alla luce di ciò che è emerso dalle ricerche, però, il ciclo della canapa potrebbe non terminare con il processo di fitorimediazione e la biomassa prodotta potrebbe essere riutilizzata, come ipotizza il professor Vito Gallo, Professore di Chimica presso il Politecnico di Bari e coordinatore del progetto BIO SP.HE.RE..
“Dal mio punto di vista, gli utilizzi che si potrebbero prevedere per la canapa allevata in un contesto fitodepurativo sono principalmente due. In primo luogo, considerando i livelli di concentrazione dei metalli piuttosto contenuti riscontrati nella biomassa dopo il processo fitodepurativo, si potrebbe immaginare l’utilizzo di questa canapa nella bioedilizia. In altre parole, la canapa consente una sorta di diluizione dei metalli nella biomassa e questo permette di maneggiare materiale che, in linea di principio, presenta rischi molto limitati o addirittura nulli per la salute. È importante, però, che le istituzioni e il mondo scientifico discutano di questo argomento in maniera approfondita e definiscano i livelli di concentrazione accettabili”, spiega il professor Gallo. “Una seconda applicazione potrebbe essere quella in ambito energetico, dove si potrebbe utilizzare la biomassa per produrre energia. Se pensiamo al recupero energetico mediante combustione, si andrebbe prima a coltivare la canapa per rimuovere i metalli pesanti dai terreni inquinati e poi si utilizzerebbe la stessa biomassa in opportuni impianti per la produzione di energia e per raccogliere in condizioni controllate le ceneri arricchite di questi metalli. In questo modo, gli stessi metalli potrebbero essere avviati a un nuovo ciclo di vita”.
Martina Sgorlon