Nel 1994, quando si ricominciò a parlare di ricerca sulla canapa, ci si rese subito conto che il principale problema era mettere gli agricoltori in condizione di coltivare questa pianta senza incorrere in problematiche legali. A distanza di 27 anni il problema prevalente della canapicoltura (tutta la canapicoltura), è ancora quello di non incorrere in problemi con la legge.
Ci sarà pure una ragione perché dopo così tanto tempo il nostro legislatore non abbia trovato il tempo e la voglia di risolvere il problema alla radice? Prendendo una porzione alla volta del problema canapa, in questa nota si affronterà il tema dell’uso delle talee.
Per riprodurre una pianta in modo che conservi con il più alto livello possibile di stabilità dell’insieme dei suoi caratteri genetici è necessario adottare la riproduzione vegetativa, appunto per talea, al posto della riproduzione per seme (generativa). Con la talea si stacca dalla pianta madre una porzione aerea e la si pone in condizioni favorevole a che emetta le radici. Dopo circa 2 settimane, questa porzione avrà la possibilità di sviluppare e produrre un nuovo individuo esattamente uguale dal punto di vista genetico, alla madre da cui è stato derivato. Questo metodo di riproduzione è adottato in tutte quelle attività agricole in cui le variazioni non sono ammesse e non devono avvenire. Nel caso della canapa, un campo in cui la riproduzione delle piante richiede l’uso della riproduzione vegetativa (per talea) è nella produzione della canapa medicinale. Per arrivare a produrre una medicina che rispetti il più possibile le condizioni richieste della regole universalmente accettate delle caratteristiche di una farmaco è indispensabile che la variabilità rimanga entro livelli molto bassi (<15%) e per quei farmaci che contengono sostanze stupefacenti anche meno. Quando, per riprodurre una pianta si impiega il seme, la variabilità genetica è sempre presente, anche se si è proceduto a stabilizzare il più possibile il patrimonio genetico della varietà usata (omozigosi). Nel campo medico è indispensabile che il farmaco contenga sempre una determinata concentrazione di principio attivo altrimenti non si riesce ad avere il medesimo effetto altrimenti sia il paziente sia il medico vanno incontro a problematiche importanti.
Per la produzione di canapa destinata al tessile, all’industria alimentare o ai vari impieghi industriali la variabilità del prodotto o materia prima è sicuramente preferibile che sia minima, ma certamente non è così condizionante da imporre la riproduzione vegetativa, che ha un costo superiore rispetto alla riproduzione per seme. Nel caso invece in cui dalla variabilità genetica dipende la liceità della coltivazione e della continuazione della disponibilità di una varietà per fini agricoli, come nel caso del rispetto dei limiti del delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), è decisamente indispensabile che la coltura sia fatta con una pianta stabile ed uniforme, che garantisca sempre il rispetto di certi parametri. Ad esempio, se una determinata varietà di canapa per due anni consecutivi risulta mostrare significativi livelli di THC superiori allo 0,2%, questa varietà viene sospesa. Se il costitutore riporta alla normalità la varietà e garantisce il rispetto del limite, potrà tornare ad essere utilizzabile dall’agricoltore. Se varia oltre misura il livello del THC ci possono essere serie conseguenze, anche penali, per il coltivatore e soprattutto per chi commercializza i derivati ottenuti da parti della pianta di canapa. Per la legge 242/2016, l’agricoltore non incorre in alcun problema se il valore del THC non supera lo 0,6%, ma se i suoi prodotti sono trasformati e venduti, il rispetto dei limiti anche in tracce di THC diventa tassativo ed il non rispetto di queste condizioni, come minimo porta al sequestro della merce e se il problema che emerge è grave possono essere applicati gli articoli del testo unico sugli stupefacenti 309/90, che comportano conseguenze anche pesanti, come perdere la libertà, perdere l’attività, perdere l’onorabilità e una normale esistenza. Non sono pochi i casi di persone che si sono tolte la vita a causa di una applicazione severa della 309/90. Parrebbe palese, ovvio, scontato e dovuto che a fronte di queste problematiche il nostro legislatore mettesse in atto ogni correzione che impedisse che i rischi sopra descritti possano avverarsi specialmente per imprenditori che più di ogni altra cosa, vorrebbero lavorare sapendo di essere totalmente in regola e protetti da incidenti di tipo legale.
Con l’impiego della riproduzione vegetativa delle canapa mediante talee si otterrebbe la garanzia che ogni varietà così riprodotta avrebbe sempre quel medesimo comportamento e potendo raccogliere negli anni dati omogenei e confrontabili sulle caratteristiche genetiche delle diverse varietà, l’agricoltore e le Forze dell’ordine potrebbero prendere decisioni sempre suffragate da dati affidabili. Se noi prendiamo una qualsiasi varietà di canapa riprodotta da seme ed analizziamo con strumenti appropriati la sua variabilità ci rendiamo conto che anche dal punto di vista del contenuto del THC l’oscillazione è ampia e solo una media di 50 individui consente di fornire una stima del valore del suo contenuto medio (Reg. EU 421/86).
Nel caso delle commercializzazione di alimenti derivati dalla canapa (olio o derivati) il livello tollerato di tracce di THC non deve superare le 5 parti per milione (mg/kg) e il superamento causa come minimo il sequestro del prodotto con tutte le conseguenze che ne derivano. Con il consumo delle parti aree (fiori) che non dovrebbe avvenire, ma tutti sanno che è la ragione primaria per cui la canapa viene coltivata, il limite del THC consentito deve evitare di produrre per la legge vigente, un effetto drogante. In alcune circostanze non è sufficiente che il valore stia sotto una soglia perché chi sequestra computa comunque tutto il THC presente, anche se è presente ad una concentrazione inferiore allo 0,2% (tribunali di Bologna, Parma e Rovigo).
Esiste anche una ragione ancora più strategica per cui andrebbe imposto l’impiego delle talee nella moltiplicazione della canapa. E’ la tutela del diritto del coltivatore di sapere cosa sta coltivando. Quando le norme non seguono le esigenze del cittadino, la più frequente reazione è il non rispetto delle leggi stesse. Si diffonde l’illegalità, manca la tracciabilità, il gettito fiscale viene eluso, si favoriscono le attività che solo i delinquenti accettano di fare e non si capisce più ciò che è vero e ciò che è falso. Di conseguenza anche il consumatore finale non può sapere da dove proviene ciò che poi consuma.
Per accertare l’identità precisa di una varietà di canapa, se questa è riprodotta da seme, non c’è un metodo infallibile e facilmente applicabile. Se la pianta è riprodotta mediante talee, la possibilità di accertare l’identità della varietà da cui proviene è quasi assoluta perché con gli strumenti moderni di valutazione del DNA si arriva a stabilire l’identità con la medesima probabilità che si ha nell’applicazione forense in campo umano. Queste analisi hanno un costo che si aggira attorno ai 100 euro e possono essere applicate in tutti i laboratori universitari e anche in quelli privati. Con la certezza di identificare la varietà, si ha la sicurezza di conoscere chi è il suo proprietario e chi l’ha distribuita. Il coltivatore sa per certo chi potrebbe essere la causa del suo problema e si potrebbe rivalere su di lui. Il consumatore finale, sapendo qual è la varietà con cui è stato prodotto il bene acquistato va a colpo sicuro e può consumarlo senza alcun dubbio. In breve, si farebbe luce su un mondo che tutt’ora è costretto per buona parte ad operare nella penombra o spesso al buio. Un paio di casi pratici verificati, hanno messo in evidenza che i coltivatori in due diverse regioni, hanno acquistato materiare di canapa di cui non era possibile risalire alla varietà di origine. Dalle analisi del prodotto finale è emerso che la concentrazione del THC arrivava vicina al 5%. Ad uno è andata bene e non se ne accorto nessuno, ma al secondo, la Guardia di Finanza ha applicato il sequestro di tutto il materiale con conseguenze che si stanno definendo in questi giorni. Sicuramente gli agricoltori in questione hanno acquistato le varietà in buona fede, pensando di utilizzare materiale genetico regolare. Nel caso del venditore delle due varietà sicuramente non c’era alcuna motivazione per distribuire piante che producevano sostanza stupefacente. Il prodotto sequestrato sicuramente viene distrutto, ma quello che non viene intercettato dove va a finire?
La delicatezza con cui va gestito l’impiego delle sostanze stupefacenti impone il massimo rigore. Sicuramente quel rigore che è mancato quando il MiPAAF ha licenziato la Circolare del 22-5-2018 indicando non ammissibile la riproduzione della canapa mediante talee. In primo luogo perché non ha tenuto conto che tra i criteri di registrazione di nuove varietà da inserire nel Registro Nazionale delle Nuove Varietà, c’era anche il criterio che prevedeva la riproduzione vegetativa (D.M. dello stesso MiPAAF del 5 aprile 2011). Non ha tenuto conto del fatto che la legge 242/2016 per il suo art. 2, punto f, anche l’attività florovivaistica può avvantaggiarsi della coltivazione della canapa. Se un florovivaista non potesse, per forza di una circolare ministeriale, adottare la tecnica delle riproduzione per talea, come farebbe a riprodurre varietà ad uso ornamentale? Sono certo che qualche politico vorrebbe bandire dai banchi dei floricoltori la canapa per fini ornamentali così come si è fatto per il papavero ornamentale, ma fortunatamente la canapa ha una così ampia adattabilità, capacità di sopravvivere all’uomo, che gli consente di vivere anche senza cannabinoidi e mi piacerebbe poi vedere cosa si inventano per neutralizzare anche queste sfuggenti varietà? Magari si inventano la legge che vieta l’immagine della foglia in ogni contesto (ops, l’hanno già fatta).
Giampaolo Grassi – Canavsalus Srl