Se la plastica è un materiale nato dall’unione e dalla lavorazione di elementi come il petrolio e i suoi polimeri (butadiene, etilene, propilene e stirene), la bioplastica è la sua versione biologica, realizzata quindi interamente o in parte con biomassa organica di origine vegetale come amido, cellulosa o derivati del mais e della canna da zucchero. A queste soluzioni si aggiunge oggi la bioplastica in canapa. Ecco di cosa si tratta e qual è la situazione attuale in Italia.
A dare una spinta al settore delle bioplastiche, dalla ricerca alla produzione, i campanelli d’allarme internazionali che hanno allertato su due fronti: da una parte la dispersione nell’ambiente di oggetti realizzati in plastica tradizionale — secondo un recente rapporto del World Economic Forum (WEF) attualmente ci sono 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani —, dall’altra la presenza crescente di microplastiche disperse nei nostri mari e nelle principali risorse idriche del pianeta e che vengono poi così ingerite e assimilate dagli organismi viventi.
A puntare l’attenzione non solo sulla salute del pianeta, ma anche su quella dei singoli esseri umani è uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Newcastle in Australia per il WWF e intitolato No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People: secondo la ricerca, infatti, non solo gli animali, ma anche l’essere umano ingerisce circa 5 grammi di micro-particelle plastiche a settimana, per un totale di 250 grammi ogni anno.
È fondamentale, quindi, risolvere il problema alla radice, riducendo al minimo l’utilizzo di plastica (anche nei prodotti beauty, dove è presente in forma di siliconi o micro granuli) e spostando la produzione e l’utilizzo verso le soluzioni di origine vegetale, come la bioplastica in canapa.
L’Italia non sta ferma a guardare e sul suolo nazionale non mancano i progetti che studiano o sviluppano bioplastica in canapa o utilizzano materiali biodegradabili derivati dalla pianta. Eccone alcuni.
In Italia, la svolta verso un materiale più sostenibile potrebbe arrivare da un centro di eccellenza, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove la dottoressa Nicoletta Ravasio, dirigente presso l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche Giulio Natta (SCITEC) studia da anni le proprietà della canapa nell’ottica di utilizzarla come risorsa rinnovabile da sfruttare in tutte le sue parti rendendola così una valida alternativa di origine naturale alla plastica derivata dal petrolio. Il tutto nonostante le difficoltà che si incontrano nel nostro paese.
“Le difficoltà in Italia sono dovute alla scarsa chiarezza normativa sulla coltivazione della canapa che genera incertezza e non favorisce lo sviluppo armonico della filiera. Inoltre l’ambiguità legislativa e la mancanza di criteri chiari sulla coltivazione influenzano molto negativamente gli investitori soprattutto per quanto riguarda la bioplastica da canapa che soffre della scarsità di finanziamenti”, piega la dottoressa Ravasio. “Le nostre ricerche si stanno concentrando su due fronti: la produzione di materiali termoindurenti a partire dall’olio di semi di canapa e la produzione di bioplastica a partire dal canapulo. Dall’olio infatti si possono ottenere resine acriliche simili al plexiglass, trasparenti anche se di colore giallo; in particolare stiamo cercando di rinforzare questi materiali con garze di fibra di canapa per ottenere materiali adatti al bioarredamento o alla bioedilizia. Dal fusto della pianta, invece, il canapulo, attraverso un processo di fermentazione si ottiene con rese fino al 90% l’acido lattico dal quale si produce il PLA, bioplastica molto usata nella stampa 3D. Il nostro obiettivo è quello di decarbonizzare il più possibile i prodotti di uso quotidiano, compresi i giocattoli”.
THE EYES REPUBLIC è un progetto nato a Longarone, in provincia di Belluno, un’area dove le maestrie e la tradizione cadorina dell’occhiale incontrano le zone industriali a due passi dalla pianura. Obiettivo principale del progetto è utilizzare cellulosa a base di canapa come materiale di partenza per la creazione di occhiali e altri oggetti di uso quotidiano e per farlo è stata creata una bioplastica ottenuta dalla canapa alpina tramite procedimenti meccanici: una soluzione versatile e green anche per la quantità di CO2 che viene sottratta all’ambiente durante tutto il ciclo produttivo. Tra le ultime novità c’è Hempatica, un prodotto brevettato e ottenuto dalla cellulosa del canapulo, la parte legnosa del fusto.
“THE EYES REPUBLIC è una start up nata da un diffuso moto di rivolta etica e produttiva indotto dall’invasione e dall’utilizzo della plastica in ogni anfratto delle Dolomiti, soprattutto nelle cosiddette produzioni di eccellenza, dall’alimentare all’industriale, dai latticini agli occhiali. Per fare questi ultimi le industrie locali, come tutto il settore fashion, tutt’ora impiegano le plastiche più tossiche del mercato, dal nylon 6.6 al policarbonato, poliammidi e bisfenoli, passando dal triacetato con PFAS e glifosati, i cui rifiuti sono responsabili dell’annientamento degli ecosistemi fluviali e lacustri delle valli alpine”, racconta Stefano Vanin, fondatore di THE EYES REPUBLIC. “Dopo aver organizzato la campagna Dolomiti Plastic Free ci siamo proposti direttamente al mercato lanciando le prime collezioni di occhiali in bioplastiche e biomateriali, maturando anche la determinazione di produrre da noi e lavorare i polimeri di base, già nella loro formulazione, proponendo un’alternativa radicale non solo alle plastiche di fonte fossile, ma anche nei processi e nei sistemi produttivi, e all’interno di un’economia locale circolare, ecosostenibile, con manufatti da fonti rinnovabili. La ricerca di nuovi materiali bio ci ha portato alla riscoperta di formulazioni antiche con materiali organici vegetali — farine di soia e mais, acidi grassi, proteici come la soia, e organici come la caseina e infine la cellulosa di canapa, il canapulo — che ci hanno permesso di formulare plastiche biodegradabili di altissima qualità, adatte a sostituire qualsiasi altra plastica sintetica, dal nylon al metacrilato fino ai poliuretani”.
“L’ultima delle nostre formulazioni dalla canapa è stata brevettata sotto il nome di HEMPATICA e presenta caratteristiche ancora più elevate delle altre”, continua Vanin. “Ottenuta usando solo tecnologie non chimiche come gli ultrasuoni e le irradiazioni fotoniche, HEMPATICA è una plastica trasparente ottenuta dalle sezioni cristalline della cellulosa di canapa, forse il materiale più resistente che si trovi in natura, paragonabile al carbonio. HEMPATICA è una bioplastica pensata per gli occhiali, ma presenta qualità e caratteristiche che vanno oltre gli impieghi nella moda e può essere utilizzata per produrre oggetti di elettronica di consumo, ma anche per uso medicale, cosmetico, scolastico e, ovviamente, contenitori di ogni tipo”.
Terzo progetto italiano dedicato alla bioplastica in canapa è quello di Kanèsis, azienda fondata da Giovanni Milazzo a Ragusa e nata per eliminare completamente gli additivi sintetici, altamente tossici e che impediscono, nonostante gli sforzi e l’origine vegetale del composto, di ottenere un prodotto totalmente biodegradabile o compostabile.
“La primissima cosa che bisogna sapere del mondo delle plastiche è che tutti i materiali termoplastici, siano essi bio-based oppure oil-based, contengono al loro interno fino al 20% di additivi sintetici che sono costituiti da coloranti, fluidificanti, stabilizzanti chimici, migliorativi della lavorabilità del materiale e così via. Questi additivi sono spesso di origine stirenica e sono la parte più volatile e tossica delle plastiche, il componente che più velocemente si stacca dal materiale e migra. A questo si aggiunge un’altra criticità: il fatto che ogni anno sul pianeta viene gettata o smaltita una quantità di biomassa enorme. Per dare un‘idea, solo nel 2018 e solo in Europa, sono stati prodotti 100 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio di biomassa (le tonnellate equivalenti di petrolio rappresenta la quantità di energia che si può ricavare da una tonnellata di petrolio grezzo)”, spiega Giovanni Milazzo.
“Unendo i due problemi ho pensato di sostituire gli additivi sintetici con gli scarti agricoli standardizzati. Questo ci permette di utilizzare gli scarti agricoli di qualsiasi genere all’interno dei materiali plastici di origine vegetale per mantenerli al 100% bio-based, cosa che invece attualmente non succede. Tutte le bioplastiche usate nel mondo, infatti, contengono questi additivi che di bio non hanno nulla e che compromettono fortemente la compostabilità del materiale, oltre che rilasciare sostanze tossiche durante il loro uso, nonostante inizialmente fossero bio. Con Kanèsis proponiamo una rivoluzione sostenibile”.
Martina Sgorlon