Canapa e piante officinali: cambiare tutto per non cambiare niente, ma soprattutto creare scompiglio. E’ quello che sta accadendo in seguito all’approvazione del decreto sulle piante officinali della scorsa settimana. Per non cedere alla drammaticità dei titoli clickbait proliferati in questi giorni un po’ ovunque in rete e per aiutare produttori e consumatori ad orientarsi in questa giungla mediatica, abbiamo deciso di ripercorrere significati tecnici e politico-culturali di quanto accaduto. L’abbiamo fatto insieme all’avvocato Lorenzo Simonetti, nominato dalle associazioni di settore al Tavolo Tecnico con i Ministeri.
Ma spoileriamo subito: non cambia nulla, 0,5% era e 0,5 rimane. Che la confusione mediatica sia dolosa o colposa purtroppo non cambia molto ma ci dà chiare indicazioni sullo stato dell’arte del settore (ancora diviso) e sull’impegno che a tutti viene richiesto (adentrarsi nella giungla normativa e burocratica). Tutto gira intorno ad una congiunzione (quella “o” tra infiorescenze e sostanze attive) e al rapporto tra il decreto ministeriale (quello sulle officinali) e la 242. Per capire cosa è successo è imprescindibile lo sforzo di comprendere tecnicismi giuridici tutti italiani.
Da dove e perché nasce la confusione alla base dei molti articoli usciti anche su stampa nazionale circa il decreto ministeriale approvato durante l’ultima assemblea stato-regioni che ha messo mano alla lista di piante officinali e che ha riguardato direttamente anche il mondo della canapicoltura?
Cerchiamo di portare chiarezza in ordine alla pubblicazione del decreto ministeriale riguardante in generale le piante officinali, ma più in particolare e di nostro interesse l’inserimento della pianta di Canapa Sativa L. e di alcune sue parti all’interno della lista delle piante officinali ristretto ai soli semi e derivati dai semi con esclusione delle foglie e delle infiorescenze.
Lasciamo da parte la condivisibilità o meno che fa parte di uno studio che stiamo facendo per intraprendere eventualmente ricorso al tar e in corte di giustizia. Concentriamoci su di un’interpretazione ragionata e ragionevole dell’articolo 1 Comma 4 parte 2 con riguardo alla puntualizzazione da parte del Ministero dell’utilizzo di foglie e infiorescenze o sostanze attive ad uso medicinale e della conseguente autorizzazione da parte dello stesso.
Il primo punto che vorrei affrontare riguarda il carattere drammaticamente mediatico delle pubblicazioni che si sono susseguite online e che rimbalzano su tutte le testate con titoli che destano scalpore. Questa modalità comunicativa rappresenta una strategia tipica che ha caratterizzato la comunicazione intorno a questa pianta fin dai primi anni del ‘900. La sensibilizzazione in negativo, la cosiddetta fabbrica delle bugie operata nei confronti della cannabis, è iniziata con la campagna di pubblicità promossa da Anslinger che poneva in essere una serie di menzogne, morti e omicidi causati da intossicazione da marijuana. E’ chiaro che quello che sto dicendo va letto cum grano salis, ma la strategia di Aslinger, parametrata ai diversi piani tecnologici del nostro presente, è sempre la stessa fabbrica delle bugie. Non solo le testate giornalistiche del sistema a sfavore di una regolamentazione fanno cattiva informazione, ma anche le realtà a favore di uno sviluppo del settore scivolano nella drammaticità mancando di morigeratezza interpretativa: in ogni caso, eseguono attività di informazione contrarie al testo di legge che di suo ovviamente si presta a diversi fraintendimenti. Bisogna quindi entrare nel tema dell’interpretazione, o meglio della tecnica dell’interpretazione che al giurista e anche al giornalista, o a tutti coloro che approcciano alla lettura di un testo di legge, impone delle regole, dei canoni interpretativi.
Può sembrare che una legge contenga in sé diversi significati. Mentre le parole del testo di legge rimangono ferme sulla carta, il significato che viene attribuito alle disposizioni normative di cui essa è composta sembra muoversi in direzioni diverse verso le altre leggi a cui viene collegata. Accade infatti che a dispetto della sua apparente certezza si sostituisca un’ambiguità o una plurivalenza di significati da cui sorge l’incertezza sull’esito finale del giudizio. Infatti in base alla stessa legge può accadere che si dia ragione o torto a una parte in causa, si può assolvere un imputato dall’accusa che gli è stata mossa o condannarlo.
Quindi qual è il punto cruciale quando si approccia ad un’interpretazione normativa? Capire innanzitutto lo spirito sotteso alla legge e comunque parallelamente utilizzare gli strumenti interpretativi per trovare un senso compiuto, altrimenti se non si capisce e non si coglie lo spirito della legge si inciampa nella sterilità del disposto normativo che è tipico dei regimi dittatoriali.
Certo che se già da un’immediata prima lettura di questa disposizione normativa si coglie un grande equivoco, è chiaro che l’interprete deve armarsi di tutti gli strumenti necessari per approcciarsi in modo profondo alla lettura che per forza di cose genera conseguenze in tutto il settore coinvolto.
Quale lettura ragionata e ragionevole del testo normativo sulle officinali occorre quindi seguire?
Rileggiamo la parte 2 dell’articolo 1 Comma 4: «La coltivazione delle piante di Cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, che ne vieta la coltivazione senza la prescritta autorizzazione da parte del Ministero della salute».
Per mezzo di condivisi e noti principi che illuminano l’attività di interpretazione giuridica e giudiziaria possiamo affermare che:
1) l’espressione “uso medicinale” si riferisce indifferentemente alle “foglie”, alle “infiorescenze” e alle “sostanze attive”;
2) è stata utilizzata la congiunzione logica “e” tra “foglie”/”infiorescenze” perché esse sono parte vive di piante;
3) la congiunzione italiana “o” in logica può rappresentare due diversi connettivi, il che ne fa un termine ambiguo:
4.1: nella maggior parte dei casi, la “o” rappresenta una disgiunzione inclusiva, è anche chiamata vel in latino e OR in inglese: quindi, nel caso concreto, le “sostanze attive” (THC, principio attivo stupefacente + CBD, principio avente un effetto farmacologico) sarebbero equiparate alle “foglie”/”infiorescenze”: per la produzione di foglie/infiorescenze/sostanze attive con finalità medica, è necessaria l’autorizzazione del Ministero della Salute;
4.2 La “o”, molto raramente, può avere la funzione logica di disgiunzione esclusiva (chiamata aut in latino e XOR in inglese) e, quindi, separa gli elementi: in questo caso, quindi, “uso medicinale” sarebbe riferibile solamente a “sostanze attive”. Attribuendo il valore disgiuntivo, quindi, ne deriverebbe semplicemente che “foglie”/”infiorescenze”, essendo parti vive di piante, sarebbero concettualmente distinte dalle “sostanze attive” che da esse derivano. Ad ogni modo, anche in questo caso, il buon senso fa ritenere che se il Ministero avesse voluto vietare la coltivazione di “foglie”/”infiorescenze” lo avrebbe chiaramente scritto.
4.3 Nella teoria dell’interpretazione, comunque, quando non è chiaro dal contesto l’esatto significato della congiunzione “o”, sappiate che essa in generale è usata nel senso inclusivo: quindi, tutta la produzione di “foglie”/”piante”/”sostanze attive” per uso medicinale sarà sottoposta all’autorizzazione del Ministero della Salute (come è sempre stato disposto in Italia);
6) la coltivazione di Cannabis Sativa L. è disciplinata dalla Legge 242/2016: è legittima la produzione di foglie ed infiorescenze, non per “uso medicinale” ma per le destinazioni di cui all’art. 2 co. 2 (tra le quali il florovivaismo che ha ad oggetto la produzione di piante vive, fiori recisi e fiori secchi).
Ma vorrei anche aggiungere che quanto appena detto trova conferma nel principio generale secondo il quale «la legge ordinaria dello Stato è fonte di rango superiore e non può essere derogata da una di rango inferiore come quella emanata con un decreto ministeriale» (Cass. Civ. Sez. II, 29595/2021).
Quindi, nel caso concreto, la Legge 242/2016 è legge ordinaria e il decreto ministeriale è fonte di rango inferiore.
A ciò si aggiunga che «Se ne ricava che la possibilità di deroga alla legge per essere legittima deve essere chiaramente consentita e prevista dalla legge stessa che rimette alle fonti secondarie la specifica individuazione dei casi in cui la deroga opera» (Cass. Civ. Sez. II, 29595/2021): nel nostro caso, la Legge 242/2016 prevede la produzione nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori solamente per gli alimenti (decreto del Ministero della salute del 4 novembre 2019) e per i cosmetici (Regolamento CE 1223/2009 e successive integrazioni).
Le piante, le foglie e le infiorescenze di Cannabis sativa L. provenienti da sementi certificate, possono essere coltivate e prodotte secondo i criteri e le disposizioni della Legge 242/2016.
Ne consegue, quindi, che il decreto ministeriale su canapa e piante officinali non dovrà avere alcuna incidenza interpretativa e/o operativa nei confronti della disciplina della Legge 242/2016, a maggior ragione anche in ordine al discorso sulla soglia minima di principio attivo THC che, per scienza tossicologica condivisa, non deve superare 0,5%.
Non possiamo e non vogliamo cercare spiegazioni o significati dietro all’approvazione del decreto, la confusione del testo e la drammaticità dei titoli che danno per spacciato il settore. Abbiamo cercato di ottenere dichiarazioni dal mondo politico, ma nessuno ha voluto o potuto risponderci. Sicuramente il settore è sotto minaccia (seppur solo mediatica) ed è chiamato a strutturarsi maggiormente per affrontare un 2022 ricco di sfide e possibilità.
Romana De Micheli