Il primo effetto dello stop all’emendamento sulla canapa è prettamente economico, a dimostrazione che il provvedimento era completamente conforme alla legge di bilancio e che la sua bocciatura da parte della presidente Casellati è stata un’azione politica e non tecnica.
Circa 3mila aziende che coinvolgono 12mila persone, per un mercato annuo che è stato stimato tra i 40 e i 150 milioni di euro, questo è “lo schiaffo in faccia” al quale si riferiva il Senatore Mantero in aula.
E intanto arrivano le prime reazioni di chi in Italia era venuto per fare investimenti e creare lavoro. Parliamo ad esempio di Canapar, sussidiaria Italiana del gruppo canadese Canopy Growth, che ha già annunciato il rischio del blocco dei futuri investimenti e la possibilità che l’azienda si concentri sulle proprie filiali in Bulgaria, invece che in Sicilia.
Secondo Il Sole 24 Ore l’azienda ha già investito in Italia 17 milioni di euro dando lavoro a 54 aziende agricole. “Se fosse sfruttato a pieno regime, il nostro impianto frutterebbe 90 milioni di euro”, ha spiegato il Ceo Sergio Martines sottolineando che il piano industriale prevedeva 70 nuove assunzioni. Ma, spiegano dal quotidiano, “è probabile che in assenza di un quadro regolatorio certo, l’azienda decida di ripiegare sulle proprie società bulgare”.
Il blocco dell’emendamento infatti mette seriamente a rischio la nuova tranche di investimenti da 20 milioni di dollari canadesi (circa 14 milioni di euro), che avrebbero fatto seguiti ai 17 milioni di euro già investiti nel nostro paese.
Insomma, in nome del pregiudizio e del bigottismo, con il paese in piena emergenza economica, stiamo rischiando di far saltare in aria un settore costruito faticosamente negli anni, che negli altri paesi viene finanziato dai governi, mentre nel nostro viene insultato, umiliato e infine boicottato.
Mario Catania