Quali sono gli elementi alla base della riuscita di una buona coltivazione di canapa e che quindi influenzano la riuscita o meno di un impianto canapicolo in outdoor? E’ la domanda alla quale risponde l’agronoma Maria Teresa Basciano in questo nuovo articolo, raccontando l’importanza della sostanza organica, della conducibilità elettrica, della capacità di scambio cationico, e della reazione del terreno (Ph). Buona lettura!
Nel precedente articolo abbiamo discusso circa le motivazioni che dovrebbero indurre i canapicoltori ad indagare sulle caratteristiche del proprio terreno prima di impiantare una coltivazione di canapa.
Abbiamo visto, come conoscere il terreno sia fondamentale per evitare grattacapi futuri, consentire un’adeguata pianificazione delle pratiche colturali, ottimizzare al meglio le risorse e definire dosi e modalità di concimazione.
Abbiamo evidenziato le principali caratteristiche del terreno che possono rendere l’ambiente pedologico più o meno “comodo” allo sviluppo della cannabis, elencando gli aspetti che maggiormente influenzano la fertilità del suolo, la biodisponibilità degli elementi nutritivi e di conseguenza la buona riuscita di un impianto canapicolo, soprattutto se a destinazione florovivaistica.
Adesso appare quindi doveroso approfondire a poco a poco, alcune caratteristiche principali, che se ben gestite e valorizzate potranno rendere il nostro percorso produttivo una vera e propria avventura, nonché un momento di crescita “culturale” oltre che “colturale”. Iniziamo.
Quando ci approcciamo alla coltivazione, non dimentichiamo mai che il terreno rappresenta un vero e proprio laboratorio. Per meglio comprenderne la dinamicità, mi piace definirlo come una macro-soluzione liquido/solida nella quale sono costantemente mescolati una innumerevole quantità di elementi chimici in forma ionica o aggregata a formare molecole più o meno complesse e stabili. La sostanza organica (S.O), ad esempio è la porzione più attiva del suolo ed è presente in maggior quantità nello strato superficiale. E’ caratterizzata da differenti molecole formate perlopiù da atomi di carbonio, azoto, idrogeno ed altri. Trattandosi di un composto decisamente volubile, la S.O. può essere soggetta a continui processi di mineralizzazione o umificazione tali da rendere la sua composizione sempre diversa a seconda che sia in fase “labile” o in fase “stabile”. Data la difficoltà a dare una definizione precisa degli elementi che la compongono, ciò che in realtà viene preso in considerazione quando si analizza un terreno, è il suo contenuto in Carbonio Organico. I nostri suoli solitamente hanno un contenuto in che oscilla tra l’1 e il 3%. Finché tale valore resta compreso in questo range, possiamo ritenerci più o meno fortunati. Ma la fortuna c’entra ben poco, poiché sappiamo benissimo che tale valore è sensibilmente influenzato, si dalle caratteristiche intrinseche dei suoli, ma anche e soprattutto dall’uso che se ne fa e ancor di più dalle pratiche colturali a cui questi vengono sottoposti.
Restando in ambito della canapicoltura possiamo tranquillamente affermare che la poca presenza di S.O. in un suolo destinato alla canapa non rappresenta un limite, o meglio, rappresenta un limite facilmente superabile in quanto una buona letamazione o concimazione organica di fondo, fatta nei giusti tempi in fase di preparazione del suolo, può senz’altro venire in nostro soccorso. Anzi, proprio in merito a tale questione, possiamo scoccare una lancia in favore di questa meravigliosa coltura che può essere definita essa stessa un rimedio in caso di suoli carenti di S.O.
Difatti, è stato ampiamente dimostrato che in seguito alla coltivazione di canapa, i suoli ne risultano sorprendentemente migliorati in termini di sostanza organica e non solo. Questo per due motivi principali, uno è dato dalle specifiche tecniche colturali adottate e l’altro è dato dalla enorme quantità di biomassa di “scarto” prodotta dall’impianto canapicolo e in parte lasciata al suolo, tanto da far annoverare la canapa a tutte quelle colture definite “miglioratrici da rinnovo”, in quanto capace di lasciare il suolo in ottime condizioni di fertilità migliorandone tra l’altro lo stato fisico.
E’ dall’inizio del ‘900, epoca in cui son stati scoperti gli effetti dei fertilizzanti sulle colture che dilaga tra i coltivatori, l’idea comune che le piante debbano essere nutrite sempre, a prescindere e a tutti i costi. Spesso dimenticando che il terreno già di per se rappresenta una vera e propria dispensa più o meno ricca di fertilizzanti naturali. Una dispensa “chiusa a chiave” che attende solo che qualcuno in possesso della “chiave” la apra per rendere disponibili i nutrienti per le colture, ovviamente facendo attenzione che queste ultime non siano troppo “ingorde”. Ebbene, a mio avviso la “chiave” è proprio nella Conducibilità Elettrica (E.C.) e vi spiego perché.
Sostanzialmente, la E.C. misura la capacità di una soluzione di condurre l’elettricità, nonché la quantità di sostanze nutritive disciolte nell’acqua e poiché i nutrienti assorbiti dalle piante si presentano per lo più in forma “ionica” appare evidente che maggiore sarà tale capacità e maggiore sarà la probabilità di nutrire le nostre colture con successo.
L’ingresso delle sostanze nutritive nelle piante attraverso le membrane dei peli radicali è condizionato dalla “pressione osmotica”, secondo cui si genera una forza che determina il movimento delle sostanze a partire dalla soluzione meno concentrata verso quella più concentrata.
In una condizione di normalità, l’apparato radicale secerne zuccheri che rendono l’ambiente interno più concentrato rispetto a quello esterno. Questo crea una differenza di pressione che consente l’accesso della soluzione acquosa presente all’esterno della pianta.
Tuttavia, quando si effettua una fertirrigazione sbilanciata, eccessivamente carica di nutrienti, avente una elevata EC, questo passaggio viene alterato, portando la pianta ad interrompere la “suzione” e ad attuare strategie atte a diluire la soluzione esterna presente nel substrato. Questo meccanismo determina la fuoriuscita di acqua dall’apparato radicale che può comportare danni anche irreparabili a carico della parte apicale della pianta. I tipici segni di questo fenomeno sono le bruciature, l’arricciamento delle foglie, un rallentamento nella crescita e talvolta anche il totale appassimento della pianta.
Al contrario, invece, quando la soluzione nutritiva avrà una EC bassa non essendo adeguatamente concentrata, la pianta tenderà ad assorbire un maggior quantitativo di acqua a discapito dei sali minerali disciolti nella soluzione stessa. Tale condizione determinerà l’insorgenza di un fenomeno di iponutrizione, ben visibile in quanto le piante appariranno deboli e sbiadite.
Tuttavia occorre sottolineare che le problematiche dovute all’iponutrizione, sono sicuramente recuperabili e più facili da gestire rispetto a quelle dovute agli eccessi di nutrienti nella coltivazione di canapa.
Pertanto questo è uno di quei casi in cui non vale il detto “melius abundare quam deficere”.
Abbiamo visto che il terreno può essere tranquillamente considerato come una macro-soluzione solido-liquida.
La parte solida del terreno (es. argilla, limo, sabbia, humus) è caratterizzata da elementi aventi una carica elettrica che solitamente è negativa (anioni). Chiaramente per le leggi della chimica, attorno agli anioni si genererà un polo di attrazione più o meno saldo, che attirerà a se le cariche positive presenti nel terreno e caratterizzate da ioni positivi detti cationi. I cationi, per quanto possano essere attratti dalla forza generata degli anioni, talvolta potrebbero non essere così “fedeli” e potrebbero tendere a dissociarsi, lasciando il loro spazio vuoto pronto per essere coperto da altri cationi, ritrovandosi liberi nella soluzione circolante e generando così un movimento ed uno scambio continuo. Ed ecco che ci introduciamo nella affascinante tematica della Capacità di scambio cationico ovvero, la capacità di un terreno di immagazzinare i cationi e resistere alle variazioni di pH (che vedremo essere strettamente connesso alla CSC). Ciò che rende così importante la CSC da un punto di vista agronomico, è il fatto che questo valore ci consente di conoscere e quindi agire sulla relazione che c’è tra gli ioni che si trovano adesi alle particelle solide del terreno e quelli che si trovano nella soluzione circolante, maggiormente esposti ai cosiddetti fenomeni di “lisciviazione”. E’ chiaro quindi che un terreno più ricco di S.O. e con un buon contenuto di argille avrà in dotazione una maggiore quantità di cationi che potranno essere resi disponibili alle piante a determinate condizioni.
Una diretta conseguenza della CSC è quindi la Reazione del suolo, ovvero il pH. Il pH, probabilmente è la caratteristica più importante del suolo essendo coinvolto e determinando la sua influenza in tutti i processi che si susseguono.
Tale caratteristica dipende dalla qualità dei cationi presenti sui poli di attrazione (detti anche “siti di scambio”) precedentemente menzionati. Quando il pH è acido con un valore inferiore alla neutralità (<7) allora vorrà dire che i protagonisti sono i cationi acidi (es.: H+, Al3+, Fe2+, Fe3+) al contrario, con un pH superiore alla neutralità (>7) avremo una maggiore presenza di cationi basici (Ca2+, Mg2+, K +, Na+).
E’ fondamentale dotarsi in azienda di un pHmetro per tenere sotto controllo tale parametro. Ma perché è così importante prenderlo in considerazione nella coltivazione di canapa? Perché la reazione del terreno ha una diretta influenza su:
– Accrescimento delle piante. Le piante per assorbire i nutrienti hanno bisogno di valori di ph adeguati, la Canapa ad esempio riesce ad assorbire bene i nutrienti solo in un range compreso tra circa 6 e 7. Quando il pH si riduce o aumenta in modo consistente uscendo fuori da questa piccola finestra, le piante faticano ad assorbire ciò di cui hanno bisogno e possono andare incontro a problemi di iponutrizione che non hanno nulla a che vedere con la “presenza” dei nutrienti nel terreno;
– Disponibilità degli elementi nutritivi. Le piante per poter assorbire i nutrienti, devono trovarli in forma solubile nella soluzione circolante. Ci sono alcuni elementi, la cui disponibilità è strettamente influenzata dal valore del ph. Questo significa che pure essendo presenti nel terreno, non è detto che siano resi disponibili all’assorbimento da parte delle radici. Per essere disponibili, gli elementi devono potersi trovare disciolti nella soluzione e devono poter necessariamente raggiungere la superficie dell’apparato radicale. Ad esempio in determinate condizioni di pH (terreni acidi es. <5,5) si ha una riduzione della disponibilità di Calcio, Magnesio, Boro e Molibdeno e una maggiore presenza di alcuni metalli come l’Alluminio, lo Zinco e il Ferro fino a concentrazioni elevatissime tali da indurre a fenomeni di fitotossicità. Al contrario nei terreni alcalini con valori >8-9 si determina la riduzione di disponibilità di Boro, Ferro, Fosforo, Manganese ed altri. Se vi è anche un elevato contenuto di Sodio, si avrà anche un blocco a carico di Calcio e Magnesio.
Ed ora, siete pronti a giocare ai piccoli chimici?
Maria Teresa Basciano – Agronoma e docente in Scienze degli alimenti
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