Con la coltivazione di canapa industriale legale dal 1998, evidentemente non sono bastati 23 anni per fare in modo che gli equivoci derivati dalla mala interpretazione della legge antidroga degli anni ’70 cessassero del tutto. Soprattutto in un momento in cui sono forti le spinte e gli sforzi per fare in modo che la canapa italiana torni ad avere il posto che le spetta nel mondo, con tutti i vantaggi ambientali, sociali ed economici che ne deriverebbero.
Lo scrivevamo nel 2015, e nemmeno l’approvazione nel 2016 della legge quadro che regolamenta la filiera della canapa industriale, sembra aver cambiato le cose in questo disgraziato Paese.
La dinamica è sempre la stessa: un sequestro (che poi spesso si risolve in un nulla di fatto) viene rilanciato dalla stampa locale come l’arresto del nuovo Pablo Escobar, in una raffica di equivoci e caccia alla streghe che prima di tutto fa male al Paese e al settore canapa, e poi rischia di distruggere le vite di agricoltori e cittadini onesti che spesso, per il semplice motivo di aver avviato un’attività legale inerente la canapa industriale, vengono additati come criminali e spacciatori. L’effetto è duplice: da un lato si alimenta il sospetto e il dubbio nei confronti di una pianta che è semplicemente un’incredibile risorsa, e dall’altra si fiaccano gli sforzi immani che tutto il settore sta compiendo da anni per essere apprezzato per quello che è: un settore agricolo con forti connessioni industriali che potrebbe generare una nuova economia italiana, la stessa che per decenni ci aveva portato ad essere i migliori produttori di fibra di canapa al mondo.
Questa storia ha per protagonista un imprenditore di 41 anni, che nelle provincia di Pesaro stava portando avanti una coltivazione per studiare le proprietà tessili della canapa. Un ricerca che sta dando anche i primi risultati concreti, visto che da questo progetto è nata Napee, la prima ecopelle ottenuta anche con canapa ricavata materie di scarto sviluppate nella sua coltivazione con un processo produttivo non prevede l’uso di solventi tossici né la realizzazione di scarti non riciclabili. Secondo i produttori “è il primo tessuto spalmato al 97% green, e cioè un biopolimero a base di oli naturali con un 20/30% di canapa”.
L’errore dell’imprenditore, che stava cercando di sveltire i processi della sua ricerca per arrivare in tempi brevi a produrre i polimeri che gli servivano, è stato quello di seminare canapa nel proprio giardino di casa, senza avere precedentemente costituito un’azienda agricola e quindi senza avere le tutele della legge 242 del 2016, quella che regolamenta la canapa industriale. Il punto da tener presente, però, è che anche senza questa registrazione formale, l’attività dell’imprenditore, verificabile, era evidentemente quella di ricercare genetiche adatte alla propria start up e che la varietà utilizzate sono state scelte tra quelle certificate a livello europeo, oltre al fatto che dai primi prodotti sono anche nati i primi brevetti.
Intanto, siccome dopo una segnalazione nel giardino dell’imprenditore sono state trovate 14 piante di cannabis e 23 grammi di infiorescenze, l’uomo è stato rinviato a giudizio. “Il mio assistito”, sottolinea l’avvocato Carlo Scalpelli che lo difende, “è un ricercatore e coltiva canapa per isolare il biopolimero e il canapulo. Si tratta di tessuti molto resistenti con i quali è possibile creare borse in ecopelle e nel processo porteremo avanti fino in fondo la nostra linea difensiva”.
Redazione di Canapaindustriale.it
PER APPROFONDIRE:
Ripartiamo dai concetti base: la canapa non è una droga, a cura dell’avvocato Giacomo Bulleri