Canapa ad alti livelli di CBD come mangime per animali: una sperimentazione italiana

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La canapa ad alti livelli di CBD potrebbe essere utilizzata come mangime per gli animali aiutando concretamente le piccole aziende sia dal punto di vista economico che dal punto di vista logistico e organizzativo. Ecco la ricerca di Ruggero Amato, Dottore in Medicina Veterinaria.

La canapa come mangime per animali

Dare la possibilità di autoprodurre o, quantomeno, utilizzare un alimento in grado di migliorare la produzione di latte, in termini quantitativi e qualitativi, e risolvere i problemi logistici delle aziende agricole più piccole e isolate. È questo il duplice obiettivo di un progetto volto ad analizzare gli effetti della somministrazione di Cannabis come biomassa agli animali, in particolare alle capre.

Per saperne di più sullo studio, che è durato quattro mesi, da aprile a luglio, abbiamo intervistato Ruggero Amato, Dottore in Medicina veterinaria che si è occupato del progetto. 

Come è nato questo progetto? Quali necessità l’hanno spinta verso questa ricerca?
Io sono di Palermo e un paio di anni fa ho iniziato a notare che nelle campagne e nelle zone rurali della provincia ci sono molti allevamenti e pascoli anche se la vegetazione, soprattutto in estate, è messa a dura prova. Questi animali, negli anni, si sono certamente adattati, sono diventati più resistenti anche in caso di stress idrico, ma probabilmente, allo stesso tempo, sia per una questione logistica che economica, non hanno facile accesso a cure veterinarie particolarmente specifiche. A questo si aggiunge un altro problema. A differenza di quanto avviene per gli animali da compagnia è più difficile somministrare una cura specifica a un singolo animale se si parla di un allevamento, magari con centinaia o migliaia di capi, il che significa che un aiuto concreto può venire solo dalla gestione del gregge o della mandria e, quindi, anche dall’alimentazione.
In questo contesto mi sono chiesto come avrei potuto aiutare questi allevamenti più piccoli o rurali con un’integrazione alimentare, perché, dal mio punto di vista, il partire dall’alimentazione era l’unica soluzione efficace e l’unica che tutti avrebbero potuto utilizzare.
Quando ho valutato l’idea di analizzare l’uso della canapa per l’alimentazione, con mio stupore ho notato che, nonostante i numerosi studi fatti nell’ambito della medicina umana, in quella veterinaria il numero era notevolmente ridotto, soprattutto nel caso degli animali da pascolo o da latte. Così proposi il progetto al professor Federico Infascelli e alla professoressa Laura Rinaldi, del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali dell’Università di Napoli, che mi supportarono fin da subito nonostante l’incertezza della sperimentazione.

Quali sono gli aspetti sui quali avete deciso di focalizzare il progetto?
Tralasciando il fatto che la Cannabis è una pianta resistente, facile da coltivare e con riscontri ecologici positivi, tutti aspetti importanti in agricoltura, ci siamo focalizzati innanzitutto sull’elevata percentuale di CBD, che avrebbe potuto aiutare gli animali a sopportare meglio lo stress, considerato la prima causa, per quanto riguarda gli animali da latte, di diminuzione della produzione e che può avere origine da varie cause: stress idrico, legato alle condizioni igienico sanitario carenti, sovrappopolazione, e così via. Quindi, trovare il modo di rendere gli animali meno stressati era uno degli obiettivi principali sia per gli animali sia, ragionando in termini di produttività, per gli allevatori.
In più, l’altro aspetto che mi interessava era quello legato ai contenuti specifici della pianta di Cannabis, perché, in realtà, molti lavori che sono stati fatti in zootecnia si sono concentrati sull’utilizzo dei semi; i semi sono un’ottima fonte di acidi grassi e proteine, certo, però il loro uso è limitato. Nel fiore, invece, e nella biomassa sono contenuti flavonoidi e terpeni. I primi, in particolare, sono legati all’effetto anti ossidativo dei grassi e quindi alla migliore conservazione del latte e dei suoi derivati e della carne e questo è un aspetto interessante che non siamo ancora riusciti ad approfondire, ma sul quale lavoreremo in futuro.

E per quanto riguarda terpeni?
Per quanto riguarda i terpeni, invece, gli effetti sono molteplici: costituiscono il substrato, per così dire, per la produzione di acidi grassi (omega 6 e omega 3, per esempio), che creano a loro volta un latte qualitativamente migliore; in alcuni casi svolgono azione antibatterica; in altri ancora sono antiparassitari. Soprattutto quest’ultimo aspetto è molto importante, perché i ruminanti sono soggetti a vermi e parassiti gastrointestinali che nel tempo sviluppano una certa resistenza ai farmaci. Inoltre, ogni tipo di farmaco ha un suo tempo di sospensione e quindi, durante e dopo l’utilizzo, il latte prodotto non può essere commercializzato perché può contenere tracce del farmaco. Usando invece un antielmintico naturale come la
Cannabis si aggirano sia il rischio alla resistenza che il problema dei residui, perché sono sostanze che vengono metabolizzate velocemente.

Per questa ricerca sulla canapa come mangime che tipo di animali sono stati coinvolti nello specifico?
Quello che abbiamo fatto è stato utilizzare delle capre di un’azienda agricola in provincia di Frosinone, la Funky Farm, e più precisamente capre di razza Camosciata delle Alpi, che sono grandi produttrici di latte. A questi animali abbiamo somministrato una biomassa pari a 2 gr ad animale al giorno e, in particolare, abbiamo dato infiorescenze scartate di Cannabis, una biomassa con 4,22 gr % di CBD coltivata per altri settori dall’azienda Hemp Farm Lab (Centro operativo sviluppo canapa del sud).
Le capre erano tutte nel primo periodo di lattazione e il latte è stato utilizzato per l’alimentazione dei capretti, perché non c’erano i fondi necessari per fare analisi approfondite sul latte e per poi, quindi, avviare una commercializzazione sicura; si è trattato di una decisione presa per estrema cautela. 

Come si è svolta la ricerca?
Il gregge è stato diviso in due gruppi da sei animali ciascuno, uno al quale è stata data la biomassa di canapa e un gruppo di controllo. Contemporaneamente alla somministrazione abbiamo effettuato i prelievi di latte, la misurazione delle quantità di latte prodotto e i prelievi delle feci ogni 15 giorni. 

Quali sono stati i risultati dello studio?
Per quanto riguarda i prelievi delle feci non abbiamo avuto risultati concreti, l’andamento parassitologico nei due gruppi di animali non ha portato dati utili. Al contrario, però, in vitro, abbiamo avuto avuto risultati interessanti sfruttando estratti di CBD, distillati di CBD e CBD isolato puro al 99% che ci sono stati forniti da GianTec. Questa sperimentazione ci ha permesso infatti di isolare l’azione del CBD e di valutare la sua efficacia contro la schiusa delle uova dei parassiti che agiscono a livello gastrointestinale negli animali da latte.
Per distillato ed estratto abbiamo avuto buoni risultati, ma non eccezionali — nel caso dell’estratto l’inibizione è stata pari all’86,3% alla schiusa — e questo potrebbe renderlo un valido aiuto nel controllo parassitario, ma non una soluzione ai livelli di un farmaco, che in media agisce fino al 96,6%. Però per quanto riguarda il CBD isolato abbiamo ottenuto un risultato del 91,3% e per questo procederemo con ulteriori studi in merito. 

E dal punto di vista quantitativo e qualitativo del latte, invece?
Per quanto riguarda l’aspetto nutrizionale e la produzione di latte, invece, abbiamo ottenuto risultati più interessanti. Al primo prelievo le capre trattate avevano prodotto quantità inferiori di latte, probabilmente un fattore legato alla necessità di adattarsi alla nuova alimentazione, ma dal secondo prelievo le capre hanno iniziato a produrre di più e, alla fine del test, gli animali trattati hanno prodotto al giorno circa 300 ml di latte in più.
Se la quantità è aumentata, però, la composizione chimico nutrizionale non è variata. Normalmente, infatti, gli animali meno stressati producono latte più ricco di lattosio e viceversa, ma in questo caso non abbiamo notato variazioni, probabilmente perché gli animali provenivano già da condizioni di stress ridotto o nullo, ossia da condizioni di allevamento semi brado e semi estensive. Interessanti anche i risultati legati agli acidi grassi, perché due acidi grassi saturi, il palmitico e il laurico, presentavano andamento opposto: uno più alto nel gruppo di caprini testato e uno più alto nel gruppo di controllo. Entrambi sono acidi grassi associati a un aumento del rischio aterosclerotico, ma, allo stesso tempo, l’acido grasso laurico, presente in maggior quantità nel gruppo testato, è anche collegato a una diminuzione del rischio legato al diabete e all’insulino resistenza e alla difesa contro l’obesità, perché stimola determinati processi metabolici. Al contrario, l’acido grasso palmitico, più presente nel gruppo controllo e con valori statisticamente significativi, non ha alcun effetto positivo. 

Se questa è la situazione che si è presentata in merito agli acidi grassi saturi, qual è quella legata agli acidi grassi insaturi?
Per quanto riguarda gli acidi grassi insaturi abbiamo ottenuto un primo risultato legato al rapporto omega 6 e omega 3 che ci aspettavamo: le capre trattate avevano un rapporto più elevato tra omega 6 e omega 3, seppur ampiamente contenuto nel range ritenuto favorevole alla salute umana.
Oltre a questo, però, a noi interessava analizzare il CLA, l’acido linoleico coniugato, che ha effetti estremamente positivi per l’organismo, perché è legato alla diminuzione del rischio aterosclerotico, dei livelli di obesità e della proliferazione delle cellule cancerose. Questo acido grasso era contenuto in quantità decisamente maggiori nelle capre del gruppo trattato: un risultato inaspettato, ma molto interessante. 

Oltre a quelli già menzionati, quali sono i progetti per il futuro?
Proprio su Canapaindustriale.it ho letto del lavoro che stanno facendo in Australia sulla canapa come coltura foraggera per alimentare le pecore; si tratta in particolare di un lavoro molto interessante legato ai residui nel prodotto finito, un aspetto che noi non siamo riusciti ad approfondire per questioni economiche, come dicevo. Ora il nostro futuro è legato anche lo studio di questo gruppo australiano, con il quale siamo in contatto da qualche tempo.
Nel frattempo, quello che ci prefiggiamo di fare è proseguire su due fronti: da una parte quello della parassitologia approfondendo lo studio con estratti, distillati e CBD isolato, dall’altra quella della nutrizione più in generale testando come mangime sia altre risorse offerte dalla pianta (foglie, semi, derivati) sia gli effetti su altri animali (mucche, bufale, cavalli).

Martina Sgorlon

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