Ulteriore passo avanti negli Stati Uniti: due progetti che puntano a studiare e a utilizzare la canapa come alimento per l’acquacoltura hanno ottenuto un finanziamento di 10 milioni di dollari del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense. Ecco di cosa si tratta.
Lo scorso ottobre, l’US Department of Agricolture (USDA) ha finanziato due progetti legati all’applicazione della canapa in acquacoltura. Il finanziamento è stato annunciato dal segretario Tom Vilsack come parte di un investimento di oltre 146 milioni di dollari in progetti di ricerca agricola sostenibile volti a migliorare un sistema alimentare e agricolo robusto, resiliente e rispettoso del clima.
“L’USDA sta affrontando sfide urgenti relative all’agricoltura e alle comunità in tutta la nostra nazione. Questioni critiche come l’insicurezza alimentare, la resilienza e la risposta alla siccità, la prevenzione delle malattie degli animali e l’interruzione del mercato richiedono investimenti per aiutare a far fronte a queste sfide”, ha affermato il segretario Tom Vilsack in un comunicato stampa rilasciato dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. “Questo è il momento per l’agricoltura, la silvicoltura e le comunità rurali di agire. Insieme possiamo aprire la strada con investimenti nella scienza e nella ricerca e con soluzioni intelligenti per il clima e che nutrono le famiglie, migliorano la redditività, la resilienza dei produttori e la salute delle foreste creando nuove opportunità di reddito e costruendo ricchezza che rimane nelle stesse comunità rurali”.
I due progetti finanziati rientrano in questo disegno più ampio voluto e promosso dall’USDA.
A fare da apripista è lo studio della Central State University dell’Ohio che punta ad analizzare e a indagare l’utilizzo della canapa come parte integrante e come alimento per l’acquacoltura. Un progetto, questo, nato come conseguenza dei numerosi problemi di sicurezza alimentare attualmente riscontrati e relativi al consumo di frutti di mare allevati con mangimi ricchi di additivi.
Triplice l’obiettivo del progetto della Central State University: l’approvazione della canapa come ingrediente alimentare sostenibile per la produzione di pesce ad alto valore nutritivo; la creazione di una forza lavoro più diversificata; e il confronto diretto con consumatori e produttori del settore. Quest’ultimo obiettivo, in particolare, mira a espandere i mercati nazionali di canapa e prodotti ittici collegati al sistema dell’acquacoltura, con conseguente aumento della sostenibilità della produzione.
A quello dell’Ohio si aggiunge il progetto guidato dal Colby College di Waterville, nel Maine, che confronterà e punterà a ottimizzare gli additivi per mangimi a base di alghe per le mucche da latte e ne valuterà l’impatto a livello degli animali, della fattoria e della comunità. Il progetto includerà inoltre lo sviluppo di programmi di sensibilizzazione per migliorare la produzione di latte, mitigare le emissioni di gas serra e recuperare i nutrienti per una produzione più sostenibile.
Secondo le ricerche più recenti, infatti, l’emissione di metano da parte dei bovini può essere ridotta grazie a un cambio dell’alimentazione, favorendo per esempio mangimi a base di specifiche alghe che, allo stesso tempo, attraverso l’acquacoltura possono essere prodotte con un’impronta di carbonio inferiore rispetto alle colture terrestri. Due aspetti positivi, questi, che potrebbero fornire una soluzione pratica e sostenibile per allevamenti di tutte le dimensioni, da quelli più vasti a quelli più piccoli.
In particolare, il progetto del Colby College andrà ad analizzare l’impatto degli ingredienti algali su un campione di bovini e di allevamenti statunitensi. Testando i differenti integratori con i mangimi disponibili in diverse aree geografiche, i ricercatori possono quindi provare a sviluppare un additivo nutriente ampiamente applicabile e di maggiore impatto sulla lotta contro il cambiamento climatico. A questo si aggiungerà una ricerca parallela sull’impatto degli integratori a base di alghe sul benessere generale degli animali coinvolti.
Martina Sgorlon