Per reinventare un futuro migliore, a volte, si può prendere spunto dal passato e dai fasti che furono. Quando si dice che eravamo i migliori produttori al mondo per la qualità della nostra canapa, si parla proprio della fibra, in particolare la fibra lunga, quella che dà vita alla canapa tessile.
Da antico “oro verde”, a causa dell’arrivo delle fibre sintetiche e dell’aumento delle produzioni di cotone, sommato al proibizionismo imperante, quel prodotto meraviglioso dal grande valore aggiunto per gli agricoltori oggi in Italia è solo un ricordo. Nonostante alcuni tentativi, anche abbastanza recenti, di riavviare una produzione di canapa tessile in Italia, non si è mai riusciti ad arrivare all’obiettivo sperato, e ancora oggi restano delle problematiche che alcune aziende stanno cercando di risolvere.
Tecnocanapa, azienda fondata da alcuni soci insieme a Cesare Tofani, storico canapicoltore che negli anni ha dato vita a diversi progetti e associazioni, ha messo a punto un sistema di trasformazione che potrebbe dare presto nuova vita alla canapa tessile in Italia.
Il punto da cui partire è che oggi in Italia non esistono impianti di stigliatura, e cioè quell’operazione che consente di separare la parte legnosa della canapa dalla fibra vera e propria. O meglio, ce ne sono due, uno di Assocanapa in Piemonte e uno di South Hemp di Rachele Invernizzi a Taranto, ma sono spesso fermi a causa della mancanza di materia prima che viene loro consegnata. Non solo, perché i vari imprenditori che avevano manifestato la volontà di creare un impianto di questo tipo, si erano poi tirati indietro davanti agli alti costi dell’operazione che, se non ben riuscita, non avrebbe garantito l’adeguato rientro economico, e poi per il fatto che fino a poco fa non ci sarebbero stati i volumi necessari di coltivazioni che avrebbero permesso l’approvvigionamento della materia prima, costituita dagli steli della pianta di canapa.
L’idea è quindi stata quella di capovolgere il paradigma e creare macchine mobili che possano essere trasportate per operare nelle zone in cui la canapa viene coltivata. “L’impianto può essere trasportato nei pressi di un centro di stoccaggio dove c’è canapa stoccata in rotoballe sufficiente per lavorare per un certo periodo, dopodiché viene spostato in un’altra località per fare la stessa cosa, riuscendo a far lavorare le macchine tutto l’anno per ammortizzare i costi e inoltre servendo quelle realtà che altrimenti sarebbero tagliate fuori”, racconta Cesare Tofani. Il collaudo e la sperimentazione sono già in atto ed è stato elaborato un sistema che permette di produrre fibra e canapulo puliti e di diversi formati. Il prossimo passo sarà quello di costruire dei moduli per altri impianti che possano soddisfare le esigenze specifiche di determinate aziende italiane ed estere, come ad esempio quelle francesi che, con una grande tradizione nella coltivazione del lino, stanno puntando anche su questo mercato.
Le macchine permettono di aprire le rotoballe in cui la canapa è stoccata, pulire gli steli da tutto ciò che viene raccolto insieme alla canapa come terra e sassi che potrebbero danneggiare l’impianto, tenendo l’umidità sotto controllo. La prima operazione è la scavezzatura, e cioè la prima rottura dello stelo che si fa con delle calandre, rulli scanalati che rompono le paglie di canapa che passano attraverso. Le fibre proseguono la lavorazione e il canapulo invece cade sotto alla macchina. La fibra ottenuta passa per la fase della scotolatura, in cui una turbina, grazie all’impatto di lame metalliche, pulisce ulteriormente le fibre separandole. A questo punto si hanno due prodotti: il canapulo, che viene vagliato per togliere le polveri che vengono comunque recuperate, e poi setacciato per avere 3 granulometrie diverse adatte a diverse applicazioni. E poi la fibra pressata, “liberata” dal canapulo che equivale a circa il 75% del peso dello stelo grezzo, che può essere utilizzata in loco oppure spedita comodamente per essere macerata, cardata, raffinata.
“La linea è stata montata ed è in collaudo. Stiamo verificando i rendimenti di produzione, le procedure ed i requisiti qualitativi delle paglie in entrata, delle fibre e del canapulo così ottenuti”, spiega Tofani. Mentre sull’impianto mobile specifica che: “I moduli adiacenti ed interconnessi, collocati su semirimorchio standard per trasporto container saranno collocati in un immobile adeguato, o in un’area coperta attrezzata, adiacente alle aree di stoccaggio materie prime. Le paglie saranno trasportate dai rimorchi agricoli o da camion aziendali e caricate tramite nastri trasportatori, quindi è opportuno prevedere un accesso adeguato ai mezzi. Il generatore o l’allaccio alla rete elettrica può essere fornito sul posto. Le balle di fibra possono essere avviate alle lavorazioni ulteriori in impianto fisso. Il canapulo viene aspirato, vagliato e imballato, per rimanere sul posto”.
Altro aspetto è quello di ricreare degli impianti di macerazione in Toscana, dove si effettueranno i procedimenti necessari per ottenere fibra tessile di qualità. Tutta l’operazione andrà di pari passo con dei disciplinari che verranno forniti agli agricoltori per permettere loro di coltivare al meglio la canapa anche per questo scopo.
Quindi, se non ci saranno intoppi, per il 2020 la canapa tessile italiana potrebbe essere di nuovo disponibile dopo una pausa durata quasi 70 anni.
Mario Catania